Con un amico tentò di violentare una prostituta a Savigliano, condannato un giovane sikh
La vittima, una cinese clandestina, si era presentata sconvolta e ferita all’arrivo dei carabinieri. Uno dei due aggressori si è reso irreperibile dopo la violenzaAi carabinieri aveva aperto la porta in evidente stato di shock, con una mano tumefatta e sanguinante: “La ragazza - ha raccontato un militare - barcollava ed era confusa, parlava pochissime parole d’italiano. Era vestita con un baby doll rosso, quando ci ha visti è scoppiata a piangere”.
All’interno dell’appartamento, i carabinieri avevano identificato due giovani, entrambi indiani di origine sikh: G.S., classe 1998, e S.S., classe 1999. Appena 22 e 21 anni rispettivamente all’epoca dei fatti, nel luglio di tre anni fa. I due avevano cercato di giustificarsi con le forze dell’ordine, anche loro in italiano stentato: “Hanno detto che capivano di aver sbagliato e che non lo avrebbero più fatto, proponevano un ‘risarcimento’ di mille euro per evitare la denuncia” ha ricordato l’appuntato scelto Enrico Attale, del nucleo radiomobile di Savigliano.
L’intervento in via Lamarmora, nell’area del Parco Graneris, era stato sollecitato intorno alla mezzanotte e mezza da una donna che aveva appena finito di lavorare in un locale. Al 112 aveva detto di aver assistito a una strana scena, osservando due ragazzi che cercavano di entrare in un alloggio che lei sapeva essere meta di prostituzione: “Mi ha colpito l’insistenza di questi due giovani, volevano entrare ma lei non era d’accordo” ha raccontato in tribunale. Lei era la stessa ragazza cinese che poco dopo avrebbe aperto, in lacrime, ai carabinieri. La testimone ha riferito di averli visti discutere in maniera animata, fin quando i due uomini avevano spalancato e poi richiuso la porta: “Ricordo la faccia di lei, come se stesse cercando aiuto. Teneva la mano sulla porta accostata e si è ferita”. All’arrivo della pattuglia, una decina di minuti più tardi, nella casa sembrava essere tornata la quiete. I militari avevano suonato più volte il citofono e perlustrato il caseggiato per controllare se vi fossero altri ingressi. Solo dopo altri venti minuti sarebbero riusciti a entrare. Su quanto accaduto in quel lasso di tempo c’è la testimonianza della vittima dell’aggressione, resa nell’immediatezza dei fatti. La donna non è mai comparsa in tribunale: si è appreso che era in Italia da clandestina e che solo negli ultimi tempi aveva intrapreso la via della prostituzione, non sapendo come continuare a pagare l’affitto dell’alloggio. Dopo la violenza è tornata nel suo Paese e si è resa irreperibile. Anche il più giovane dei due imputati, S.S., non è stato rintracciato. A processo è finito così il solo G.S., chiamato a rispondere di imputazioni gravissime: violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona e lesioni aggravate.
Per il 25enne il sostituto procuratore Alessia Rosati aveva chiesto una condanna a otto anni e tre mesi di carcere: “È stata una violenza di gruppo anche se i due, scambiandosi i ruoli tra loro, non hanno consumato un rapporto completo” ha detto la rappresentante dell’accusa. La prostituta aveva dichiarato di essere stata strattonata e buttata sul letto, dove gli aggressori l’avevano spogliata a forza. In seguito entrambi avevano cercato di violentarla a più riprese, senza riuscirci. La violenza era continuata anche mentre i carabinieri tentavano di entrare: solo dopo molte insistenze di lei i due ventenni avevano allentato la presa, consentendole di arrivare alla porta. L’avvocato Alberto Summa, difensore dell’imputato, non ha negato i fatti in contestazione ma ha chiesto di derubricarli nella forma tentata: quanto al sequestro, non essendoci querela il reato non è più perseguibile ai sensi della legge Cartabia.
Il collegio giudicante ha infine condannato G.S. a quattro anni di carcere, ritenendolo colpevole di tentata violenza sessuale e lesioni. “Per noi era come uno di famiglia” ha raccontato l’agricoltore presso cui il giovane lavorava: “Una persona corretta, sempre puntuale, un po’ timida. Non lo abbiamo mai rimproverato una volta”.
a.c.
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