Finta mail aziendale “dirottava” i clienti, il giudice assolve l’ex tecnico accusato
Nessun colpevole nel sospetto caso di sabotaggio tra due imprese del fotovoltaico di Marene e Fossano: “Non si sa chi abbia falsificato l’indirizzo di posta”Un “sabotaggio industriale” in piena regola, quello per cui il titolare di un’azienda di impianti fotovoltaici con sede a Marene ha portato a processo un suo ex dipendente. L’imprenditore accusava il tecnico che aveva lavorato a lungo come manutentore nella sua ditta di aver manomesso la mail aziendale, allo scopo di “dirottare” i clienti. In favore di chi? Del suo ex socio, sosteneva l’autore della denuncia.
L’imputato, G.G., era assunto fin dal 2011 e si occupava degli aspetti manutentivi, anche in relazione diretta con i clienti. Nel 2015, poi, i due soci dell’azienda avevano diviso le loro strade: “G.G. era rimasto a lavorare con me, mentre il mio ex socio aveva avviato un’attività analoga a Fossano” ha spiegato al giudice l’ex datore di lavoro. “Tra noi - ha aggiunto - c’è un contratto di non concorrenza in base al quale l’altra società si impegnava a non operare su determinati clienti. Per maggior sicurezza avevo anche cambiato tutte le password per accedere alle singole posizioni dei clienti, soltanto io e G.G. ne eravamo in possesso”.
La scoperta dell’inghippo risaliva a una segnalazione: “Dopo essere stato chiamato da un cliente di Genola ho constatato che i suoi impianti erano fermi da tre giorni e che la nostra mail di riferimento era stata sostituita da una molto simile, ma differente. A quel punto ho mangiato la foglia: il cliente mi disse che avevano provato a contattarmi senza riuscirci, allora si era rivolto a G.G.”. Con il dipendente, al momento della segnalazione, i rapporti si erano già fatti problematici: “Ho scoperto che anche altre mail e password erano state cambiate. Gli alert automatici sulle avarie arrivavano a una mail facente capo all’azienda del mio ex socio, anche quelli relativi ai clienti compresi nel contratto di non concorrenza”.
Per cercare di venire a capo della faccenda, il giudice ha incaricato un perito: “La mail è stata senz’altro modificata, ma non è stato possibile risalire a chi lo abbia fatto” ha concluso il consulente. Il sostituto procuratore Pier Attilio Stea aveva comunque chiesto la condanna a nove mesi di reclusione e il risarcimento del danno (l’ex datore di lavoro lo aveva quantificato in circa 90mila euro di contratti persi). “Il silenzio dell’imputato in questo processo è assordante, perché se fosse vero che il denunciante si è inventato tutto sarebbe stato utile capire perché lo avesse fatto” ha aggiunto l’avvocato Giuseppe Fissore per la parte civile. Di tutt’altro parere il difensore, avvocato Corrado Sogno: “Manca la prova che a modificare la mail sia stato davvero G.G.: potrebbe essere stato un suo collega o il titolare dell’azienda per cui è andato a lavorare in seguito. La perizia non ha permesso di accertarlo”.
Ad analoghe conclusioni è pervenuto il giudice Giovanni Mocci, il quale ha assolto l’imputato per mancato raggiungimento della prova.
a.c.
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