“Gatti morti nei mangimi”. Monge denuncia le frasi shock comparse sui social
A processo due donne residenti nella Granda. Una di loro, ex dipendente, ammette di aver scritto i commenti incriminati: “Poi me ne sono dimenticata”Si parlava di mangimi realizzati con carcasse di animali randagi, riferimenti al “pesce scaduto” e crudeltà varie: “Quando hanno tritato i pulcini vivi le uova si erano schiuse”. Chi scriveva queste frasi su Facebook, intervenendo sul profilo di un’amica, assicurava di aver visto tutto con i suoi occhi: “In Monge ci ho lavorato, tritavano anche i gatti che trovavano in giro”.
Affermazioni talmente gravi da indurre l’azienda di Monasterolo di Savigliano, un colosso del settore con 500 milioni di euro di fatturato, a presentare denuncia per diffamazione. Insieme all’autrice delle frasi incriminate, L.B., residente a Racconigi, è a processo una fossanese, P.B., che nella stessa conversazione avrebbe replicato: “Gente come quella risolve tutto con la famosa mazzetta”.
In aula ha deposto Franca Monge, amministratrice delegata dell’impresa di famiglia che da 65 anni produce alimenti per animali domestici, dando lavoro a 500 dipendenti ed esportando in oltre cento Paesi. I commenti social, spiega, erano stati portati alla sua attenzione dalla responsabile dell’ufficio marketing: “L.B. è stata nostra dipendente, - ricorda - a un certo punto è stata invitata all’esodo: c’era stato un accordo sindacale per la sua uscita”. Una vicenda che risale al 2011. Quanto ai controlli sulle materie prime, assicura l’imprenditrice, non c’è da temere: “I fornitori sono macelli, prima di vendere le carni il macello emette un certificato di idoneità controllato dal nostro ufficio controllo qualità e dall’Asl. Tutti i macchinari hanno una scheda, ogni singolo prodotto viene conservato e controllato in caso di necessità: per i Paesi esteri abbiamo anche la certezza del Dna dei prodotti nei barattoli”.
L’ex operaia ha ammesso quanto le viene addebitato: “Sicuramente ho scritto io quelle frasi, poi me ne sono completamente dimenticata”. Dissapori con l’azienda? “Per me era una famiglia, avevo un buon stipendio e mi trovavo bene”. I problemi sarebbero sorti dopo: ai turni notturni in fabbrica lei imputa i successivi problemi di insonnia che l’hanno costretta anche a cure psichiatriche. Quando era in Monge, racconta, aveva adottato animali trovati nello stabilimento: “Avevo preso un gatto, mi è stato spiegato che era arrivato su un container dalla Russia e aveva una zampa rotta. I capiturno e la direzione mi avevano anche ringraziata. Poi una ex collega mi ha portato un’altra gatta, sempre dalla Monge”.
La coimputata, al contrario, nega perfino di avere un profilo Facebook. Tutto sarebbe nato da un equivoco, quando era stata convocata in caserma: “I carabinieri di Fossano volevano sapere se avessi un profilo Facebook. Sono stata presa alla sprovvista e ho risposto di sì, ma in realtà quel profilo è su Instagram”. La versione è stata confermata sia dall’attuale compagno che dall’ex marito della signora. Alla presunta titolare di quel profilo, registrato a suo nome, gli investigatori erano risaliti tramite una foto della patente: “Ma in questo account c’è solo una foto di schiena, non mi spiego come l’abbiano associata alla mia patente”.
Circa gli accertamenti svolti il maresciallo maggiore Michele De Iaco, all’epoca al comando dei carabinieri di Scarnafigi, ha chiarito di non avere svolto indagini tecniche. È incerto anche il fatto che il profilo della terza persona coinvolta, dove è avvenuta la conversazione, fosse o meno visibile a qualunque utente di Facebook. Il 13 maggio se ne parlerà durante la discussione del caso.
Andrea Cascioli

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