Non c’era caporalato al centro d’accoglienza di Racconigi: assolto l’ex responsabile
Matteo Monge era accusato di aver trattenuto i soldi versati dagli immigrati per il trasporto: “Abbiamo cercato di dare un senso all’integrazione sul territorio”Nessuna ombra di caporalato sulla gestione del centro di accoglienza straordinario per richiedenti asilo a Racconigi. Solo, casomai, una contabilità un po’ pasticciata. Quella per cui Matteo Monge, l’allora responsabile della struttura, è finito a processo con un’accusa infamante, oggi smentita dal giudice Marco Toscano che lo ha assolto “perché il fatto non sussiste”.
In lacrime l’imputato, presente alla lettura della sentenza come a tutte le udienze precedenti. Per lui il sostituto procuratore Pier Attilio Stea aveva chiesto una condanna a un anno, cinque mesi e dieci giorni: “Un caso che porta in evidenza l’ipocrisia che sta dietro il mondo dell’accoglienza ai richiedenti asilo” aveva detto il magistrato nella requisitoria. Perno delle accuse era il contributo economico che la cooperativa Liberitutti, cui era affidato il CAS nell’ex hotel Carlo Alberto, chiedeva agli immigrati ospiti in pagamento delle spese di trasporto. Per circa un anno, fino al 2018, i richiedenti asilo assunti nelle aziende agricole del Saluzzese avevano usufruito di un pullmino messo a disposizione dalla cooperativa.
Si era deciso di farlo, ha spiegato Monge, in seguito a un tragico incidente nel corso del quale aveva perso la vita un ospite afghano, investito mentre andava a lavorare in bicicletta: “Questa esigenza ci fece riflettere molto sul tema della sicurezza stradale”. Di qui la decisione di organizzare il trasporto, per il quale veniva richiesto un “biglietto” di cinque euro al giorno. Soldi che, sostiene l’imputato, “venivano consegnati in ufficio e messi in una cassa. Questa cassa veniva utilizzata per i bisogni ‘extra’: compravamo un gelato per i ragazzi a settimana, o qualche sfizio come i datteri”. L’ex responsabile del centro ammette di non aver mai rendicontato quelle entrate e di aver mantenuto il sistema dei pagamenti anche quando dei trasporti avevano iniziato ad occuparsi le aziende, con mezzi propri. “Era anche quella una scelta condivisa” dice Monge: “L’équipe sosteneva che in questo trasporto ci fosse anche un messaggio pedagogico”.
Giustificazioni che non avevano persuaso la pubblica accusa: “Non parliamo di grosse cifre, ma sono stati individuati versamenti sistematici sui conti di Monge: ne ha ricavato qualcosa, a costo di chi svolgeva ore di lavoro non pagate e a costo dell’erario”. Per analoghe accuse ha patteggiato il titolare di un’azienda agricola di Costigliole Saluzzo, ammettendo pagamenti in nero. I richiedenti asilo viaggiavano da Racconigi verso il Saluzzese alle prime luci dell’alba: lavoravano in media tra le 47 e le 57 ore settimanali, sottolinea il pm, a fronte delle 36 di base previste.
Questioni alle quali, tuttavia, il responsabile del CAS era estraneo, a detta dell’imprenditore. “Non mi riconosco nella figura dell’intermediario” ha risposto l’accusato, sintetizzando in questi termini la vicenda: “C’era una richiesta di lavoro pressante, quasi assillante, che veniva dai ragazzi. Dall’altra parte c’era una richiesta che arrivava da più datori di lavoro all’esterno”. Lui, dice, si limitava a mettere in contatto gli uni e gli altri: “Abbiamo sempre cercato di lavorare in modo professionale. Fornendo i servizi essenziali richiesti dalla Prefettura e cercando anche di dare un senso a una parola di cui tutti si riempiono la bocca, ma che pochi riescono a vivere: l’integrazione sul territorio”.
Andrea Cascioli

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