La strana storia del campione Augusto Manzo nelle parole di Beppe Fenoglio
Il battitore di Santo Stefano Belbo è considerato uno dei più grandi giocatori di pallapugno di tutti i tempi e venne "mitizzato" dallo scrittore albese in uno dei suoi racconti"La notizia si sparse in un baleno. Gente che stava a lavorare sulla mezzacosta di Mombarcaro fischiò verso casa perché venissero a ritirare le bestie e scese come si trovava, nelle flanelle fradice di sudore e nei calzoni impastati di letame. Quelli del paese già si stringevano intorno al campione. Augusto Manzo, campione italiano di pallone elastico, era arrivato da Alba su un’auto di piazza per visionare Sergio". Si apre con queste parole il terzo racconto del ciclo Il paese di Beppe Fenoglio. Si tratta di un progetto mai completato dallo scrittore albese, di cui ci sono rimasti 82 fogli dattiloscritti suddivisi in cinque “capitoli” (I, II, II bis, III e XI). Nell’idea di Fenoglio quel progetto, a cui cominciò a lavorare nell’estate del 1954, subito dopo la pubblicazione de La malora, doveva rappresentare una sorta di ibrido tra una raccolta di storie brevi e un romanzo a mosaico, sul modello de Il borgo di William Faulkner, il suo autore americano preferito. L’intento era infatti quello di raccontare un ambiente (le Langhe) attraverso una serie di personaggi archetipici, senza un protagonista comune. Fenoglio abbandonò il progetto nell’estate del 1955, lasciando ai posteri solamente questi capitoli senza titolo: tre di essi (il primo, il terzo e l’undicesimo) sono considerati dei racconti fatti e finiti e sono contenuti nel volume Tutti i racconti pubblicato da Einaudi nel 2007, mentre gli altri due restano di difficile interpretazione.
E proprio il terzo racconto appare interessante, specialmente agli occhi dei lettori cuneesi. Rappresenta infatti uno straordinario incontro su carta tra due miti del nostro territorio: il campione di pallone elastico Augusto Manzo e, appunto, Beppe Fenoglio. Con la sua straordinaria prosa, in questa storia breve lo scrittore albese costruisce un vero e proprio spaccato di vita e cultura langhigiana raccontando la visita del grande campione a un paesino non meglio specificato delle colline (ma che non si fa fatica a identificare come Santo Stefano Belbo tra le due guerre). Lo scopo della visita di Manzo, nominato poche volte se non come "il campione", è quello di valutare il giovane terzino Sergio, per eventualmente ingaggiarlo nella sua “quadretta” complice l’infortunio del suo titolare. L’atmosfera creata da Fenoglio è paragonabile all’epica classica: Manzo è accolto dalla comunità e descritto dall’autore come un dio pagano che per un giorno fa visita ai mortali della Langa, increduli ed emozionati di fronte a tanta magnificenza. Ma l’aspetto più straordinario di questo racconto è rappresentato dal modo in cui Fenoglio gestisce i dialoghi, per lo più riguardanti gli aspetti tecnici del gioco del pallone elastico. Di fatto, con le sue battute ad effetto e il ritmo con cui le posiziona sulla carta, Fenoglio porta lo stile di Hemingway su una povera collina delle Langhe, che, come quasi sempre accade nelle opere “langhigiane” dello scrittore albese, viene caricata di un’universalità e di una profondità sorprendentemente credibili e a tratti commoventi.
E così le gesta del grande campione Augusto Manzo si sono riverberate anche nella letteratura. Ma questa mitizzazione sulla pagina messa in atto da Fenoglio non stupisce poi così tanto: se si legge anche solo a sommi capi la biografia del battitore, infatti, ci si rende conto della sua grandezza. Nato a Santo Stefano Belbo nel 1911, Manzo cominciò a praticare lo sport del pallone elastico da piccolissimo, continuando a giocare anche negli anni del liceo, frequentato in quanto i genitori desideravano per lui una carriera da veterinario. Fin da subito ci si rese conto che il ragazzo aveva la stoffa del campione, tanto che vinse da protagonista gli scudetti del 1932, 1933 (con la maglia di Torino) e del 1935 (con quella di Canelli) arrivando secondo nell’edizione 1934. Nel 1936 la vita e la carriera di Manzo presero una svolta inaspettata. Militare a Roma nel corpo dei Granatieri di Sardegna, tutti si accorsero del suo talento, tanto che venne trasferito a Livorno, dove cominciò a praticare il “pallone col bracciale”, fino agli anni Venti vero e proprio sport nazionale dell’Italia e largamente praticato soprattutto tra la Toscana e l’Emilia Romagna. Si trattava di una versione “evoluta” del pallone elastico piemontese, in cui i giocatori colpivano una palla più grande con l’ausilio di un imponente bracciale di legno contornato di “denti”. All’epoca i pallonisti erano di gran lunga gli atleti più pagati e celebrati del panorama sportivo italiano e Augusto Manzo arrivò a primeggiare anche in questa specialità guidando la compagine livornese alla conquista di due scudetti, nel 1937 e nel 1942, poco prima di essere richiamato alle armi. Dopo la guerra, Manzo tornò da istituzione vivente nel suo Piemonte e al pallone elastico, conquistando cinque scudetti consecutivi con l’Albese tra il 1947 e il 1951. Probabilmente fu in questa fase che Manzo conquistò definitivamente il cuore di Fenoglio e di centinaia di altri appassionati di quello sport. Il grande campione si ritirò dall’attività agonistica nel 1963 a cinquantadue anni. La continuità con l’esperienza biografica di Fenoglio continuò anche nell’attività professionale di Manzo, che divenne rappresentante vinicolo per le cantine Fontanafredda e Martini & Rossi. Fu inoltre consigliere comunale ad Alba dal 1951 al 1956 e dirigente della Federazione Italiana Pallone Elastico. Morì nel 1982 a seguito di un incidente stradale, ma il suo mito ha riecheggiato nel corso dei decenni grazie a quello che di lui hanno scritto, oltre che Fenoglio, anche penne illustri come Giampaolo Ormezzano, Giovanni Arpino, Franco Piccinelli e Bruno Perrucca.
Il caso del terzo racconto de Il paese è dunque un raro esempio di incontro tra due figure leggendarie della nostra terra. Commuove pensare che sia esistita un’epoca in cui la Granda sia riuscita a “sfornare” talenti simili in ambiti così diversi e, soprattutto, che questi talenti si siano prima di tutto conquistati a vicenda. E così un campione di pallone elastico è potuto diventare, anche solo per poche pagine, un eroe moderno come Milton o come Johnny: un personaggio che travalica i confini delle pagine in cui il suo autore l’ha confinato per continuare a raccontare qualcos’altro, qualcosa di più profondo e duraturo. È soprattutto leggendo pagine di questo tipo che si prova il grande rammarico di aver perso così presto un narratore straordinario come Beppe Fenoglio.
Giacomo Giraudo Cordero

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