18 settembre 1943-15 febbraio 1944: i cinque mesi in cui a Borgo San Dalmazzo fu aperta una porta verso l’inferno
Nel Giorno della Memoria ripercorriamo la storia del campo di concentramento borgarino, uno dei quattro aperti dalle autorità naziste nel nord Italia, dal quale furono deportati 357 ebrei“Borgo San Dalmazzo ha ospitato uno dei quattro campi di concentramento che erano presenti nel nord Italia, per questo noi abbiamo il dovere, più di altri, di tenere viva la memoria, non solamente in questo periodo, ma 365 giorni all’anno”. Con queste parole, la scorsa settimana, la vice sindaco di Borgo San Dalmazzo Roberta Robbione ha inaugurato la mostra “Campioni nella Memoria”, allestita all'interno della biblioteca civica “Anna Frank” in occasione delle celebrazioni per il Giorno della Memoria. Istituito dalle autorità tedesche e operativo tra il settembre del 1943 e il febbraio del 1944, il campo borgarino fu uno dei luoghi simbolo della persecuzione nei confronti degli ebrei in Italia, insieme a quelli di Fossoli e Bolzano e alla Risiera di San Sabba a Trieste.
Il campo aprì la sera del 18 settembre 1943. Pochi giorni prima circa 800 ebrei, una volta iniziato il ripiegamento delle truppe italiane della IV Armata di stanza in Francia dopo l'armistizio dell'8 settembre, erano fuggiti dal confino coatto di Saint Martin Vesubie e attraversando le Alpi a piedi erano scesi in valle Gesso. Si trattava di polacchi, tedeschi, ungheresi, austriaci, slovacchi, rumeni, russi, greci, turchi, croati, belgi e francesi che speravano che dopo l’8 settembre l’Italia potesse essere un luogo sicuro. Da questa parte delle montagne, a Valdieri, i fuggitivi trovarono però quelle forze tedesche alle quali speravano di sfuggire lasciando la Francia. I nazisti avevano occupato Cuneo il 12 settembre, oltre 300 persone furono catturate durante il rastrellamento in valle sei giorni più tardi. Gli ebrei stranieri arrivati da Saint Martin Vesubie – compresi coloro che si presentarono spontaneamente dopo un bando diramato dal Comando tedesco di Borgo San Dalmazzo - vennero schedati la sera stessa, ma di quei registri oggi non c’è più traccia. Negli archivi del Comune di Borgo San Dalmazzo è presente un elenco che riporta 349 nomi, che si stima sia stato compilato più di un mese dopo l’internamento dei prigionieri. Agli ebrei catturati il 18 settembre si erano aggiunti quelli rastrellati dalla Gestapo a Cuneo e dintorni e quelli che, dopo aver trovato rifugio nelle montagne e nelle borgate intorno a Borgo San Dalmazzo, furono trovati e fermati dai tedeschi nei giorni successivi all'arrivo da Saint Martin Vesubie.
Alcuni erano riusciti a fuggire gettandosi dai camion che dalla valle Gesso trasportavano i catturati verso Borgo San Dalmazzo, altri confondendosi tra la folla che si era radunata sul piazzale antistante l'ex caserma degli Alpini scelta come Polizeihaftlager. Un episodio in particolare, quel giorno, fece capire ai borgarini che la guerra, fino ad allora vista solo dagli occhi di chi era stato al fronte, era davvero arrivata in paese: Leonardo Bagni, militare italiano nativo di Empoli che travestito da donna stava cercando di scappare ed evitare l’arresto, fu fermato dai tedeschi ed immediatamente fucilato sul posto.
“Metafora in muratura del passaggio di consegne tra il fascismo italiano e l’occupazione nazista, tra la persecuzione dei diritti che dal 1938 il fascismo aveva progressivamente messo in atto e la persecuzione delle vite che il nazismo dal ’41 stava sistematicamente realizzando”: così viene descritto il campo di concentramento borgarino da Adriana Muncinelli ed Elena Fallo, nel loro libro “Oltre il Nome – Storia degli ebrei stranieri deportati dal campo di Borgo San Dalmazzo”, pubblicato da Le Chateau nel 2016. Il campo non aveva l’aspetto macabro al quale i lager rimandano l’immaginario collettivo: non c’erano torrette di guardia, non c’era il filo spinato, si trattava semplicemente dell’ex caserma degli Alpini “Principe di Piemonte”, abbandonata da anni, sita nel piazzale che oggi ospita le scuole medie e l’Asl. C’erano Carabinieri addetti alla sorveglianza interna, c'erano militari tedeschi, i quali controllavano sia i prigionieri che i Carabinieri stessi, ma alcuni detenuti avevano permessi per uscire e godevano di autorizzazioni a ricevere visite all’interno del campo, oltre che a comunicare con i parenti all'esterno. Nelle settimane successive molti borgarini si mossero per portare ai prigionieri cibo, coperte, indumenti e altro materiale, tutto quanto potesse in qualche modo alleggerire il peso della permanenza nel campo. Figura fondamentale fu quella di don Raimondo Viale, che insieme a don Francesco Brondello, oltre a fornire aiuti materiali agli internati, si prodigò per coloro che erano riusciti ad evitare la cattura e che si nascondevano nelle vallate circostanti: a lui dal 1998 è intitolata la piazza dove sorgeva il campo.
La permanenza dei prigionieri nel campo in ogni caso fu fin da subito molto dura: la caserma, dopo tanti anni di abbandono, era sporca, fatiscente e priva dei servizi fondamentali, dai materassi al riscaldamento. Sarebbero poi stati gli stessi detenuti ad allestire un’infermeria e a ripulire i locali, sfruttando anche gli aiuti ricevuti dai borgarini. Ad una sistemazione precaria si aggiungevano poi le continue violenze, le umiliazioni e i soprusi da parte delle SS. Gli uomini in salute nei due mesi successivi furono costretti a svolgere lavori pesanti, proprio come accadeva nei più grandi campi di concentramento in altre parti d’Europa: il più delle volte si trattava di trasportare alla stazione ferroviaria tutto ciò che veniva razziato sul territorio e poi inviato in Germania.
Tra i detenuti ci fu chi riuscì a salvarsi dalla deportazione alla quale gli ebrei erano destinati: alcuni riuscirono ad evadere e scappare, altri si salvarono perchè ricoverati nell’ospedale di Cuneo (quelli ricoverati a Borgo, invece, non furono risparmiati), chi per malattie contratte durante l'internamento, chi per incidenti durante il lavoro nel campo. A fine ottobre, inoltre, furono liberati i prigionieri cuneesi, gli “ariani” che secondo i rapporti dell’epoca erano stati “erroneamente arrestati”, e nel campo rimasero solamente gli ebrei stranieri.
A inizio novembre anche le forze tedesche della Waffen SS, inviate sul fronte russo, lasciarono Borgo San Dalmazzo. Furono rimpiazzate in provincia di Cuneo dalla Wermacht, la quale decise di lasciare ai Carabinieri la gestione del campo. Nel frattempo, il 20 novembre, si concluse la deportazione verso Auschwitz degli ebrei internati nel campo di Drancy, a nord est di Parigi: un evento che indirettamente condannò anche i prigionieri di Borgo San Dalmazzo. Fu in quel momento, infatti, che il comandante del campo di Drancy Alois Brunner ordinò la partenza di coloro che erano detenuti nell'ex caserma degli Alpini “Principe di Piemonte”: la direttiva fu trasmessa a Borgo San Dalmazzo dall'Ufficio antiebraico della Gestapo di Nizza e la mattina del 21 novembre fu comunicata ai prigionieri. Su Borgo stava iniziando a nevicare quando agli internati fu ordinato di prepararsi per la partenza. Nelle cucine del campo gli ebrei si affrettarono a recuperare tutto il cibo possibile, i Carabinieri offrirono loro cappotti e provviste per il viaggio: un viaggio lungo, si andava “nel Reich”, come avevano comunicato le SS arrivate al campo la mattina. Alle 11, mentre la nevicata si faceva più fitta, arrivò l’ordine di partire, con quattro o cinque militari tedeschi a scortare gli ebrei verso la vicina stazione ferroviaria, dove dieci-dodici vagoni merci erano stati predisposti la sera precedente: alle 13, dopo essere stati depredati di denaro e gioielli, tutti i detenuti furono caricati sui vagoni. Alle 14 il convoglio partì verso Nizza via Savona per poi fare tappa a Drancy e, tra dicembre e gennaio, ripartire verso Auschwitz: a bordo del treno partito il 21 novembre 1943 dalla stazione di Borgo San Dalmazzo c’erano 331 ebrei.
Dopo quel nefasto 21 novembre il campo rimase chiuso per 12 giorni, prima di essere riaperto su iniziativa della Repubblica Sociale Italiana a inizio dicembre: il Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi, per mettere immediatamente in chiaro l’orientamento dello stato fantoccio, dispose l’arresto degli ebrei presenti sul territorio nazionale e la loro detenzione nei campi di concentramento provinciali, contestualmente alla confisca di tutti i loro beni. Nei due mesi successivi altri 26 ebrei, 23 italiani e 3 stranieri, sarebbero così stati rinchiusi nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo, in attesa di un destino analogo a quello di chi li aveva preceduti. Un nuovo convoglio partì dalla stazione ferroviaria borgarina, diretto a Fossoli, alle 5.30 del mattino del 15 febbraio 1944, un orario strategico scelto in modo che la popolazione non si accorgesse di ciò che stava succedendo: alcuni furono poi deportati ad Auschwitz, altri a Buchenwald.
Dei 357 ebrei detenuti nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo e successivamente deportati, 78 non arrivavano ai 21 anni, 7 avevano meno di un anno. Pochissimi riuscirono a sopravvivere: i nomi di 19 superstiti campeggiano in verticale nel Memoriale di fianco alla stazione ferroviaria, simbolo visivo di chi era riuscito a rimanere in piedi. “Diciannove sentinelle della memoria che avevano potuto testimoniare, anche per gli altri che non erano tornati, i cui nomi, invece, stanno distesi a terra”, scrivono Adriana Muncinelli ed Elena Fallo: secondo le ricerche condotte dalle autrici di “Oltre il Nome” negli anni successivi, però, i superstiti sarebbero stati almeno 39.
Al termine del conflitto, per vent'anni il campo rimase così com'era quel 15 febbraio del 1944, quando gli ultimi prigionieri lo lasciarono: abbandonato al suo destino, ferita aperta in una città che per molti anni avrebbe fatto fatica a riparlare di ciò che vi era successo in quei cinque mesi. Non si fece nulla per conservare la struttura, né per costruire una consapevolezza dolorosa, ma necessaria ed istruttiva: i gesti concreti per mantenere viva questa memoria sarebbero arrivati solo decenni più tardi. Tra il 1964 e il 1974 un'intera ala dell'edificio venne demolita per fare spazio alla nuova scuola media della città. Solo una targa, accanto all'ingresso, fu posta a ricordo dei fatti avvenuti durante la guerra. Nei decenni successivi l'edificio che oggi ospita gli ambulatori e gli uffici dell'Asl si sarebbe poi sovrapposto a ciò che restava della ex caserma degli Alpini: una parte venne ristrutturata, un'altra abbattuta e ricostruita. Oggi di quello che fu il campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo rimangono l'androne, un salone, ristrutturato e intitolato a don Raimondo Viale, e il cortile interno. E' rimasta come allora, invece, la stazione ferroviaria dalla quale partirono i convogli.
Nel 2000 don Raimondo Viale è stato insignito dell'onorificenza di Giusto fra le Nazioni dall'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme. Nel 2001 Borgo San Dalmazzo ha ricevuto dall'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la Medaglia d'Oro al Merito Civile per l'aiuto offerto agli ebrei perseguitati. Il Memoriale che ricorda gli ebrei deportati dal campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo di fianco alla stazione ferroviaria è stato inaugurato nel 2006.
FONTI
1. Oltre il Nome, storia degli ebrei stranieri deportati dal campo di Borgo San Dalmazzo - Adriana Muncinelli, Elena Fallo - Le Chateau, 2016
2. Borgo nella Resistenza - Mauro Fantino - Il Mensile di Borgo, 1994
3. Nella notte straniera. Gli ebrei di St. Martin Vésubie - Alberto Cavaglion - L’Arciere, 1981
4. Comune di Borgo San Dalmazzo - http://comune.borgosandalmazzo.cn.it/citta/campo_ebrei.html
Le fotografie d'epoca del campo sono esposte nella sala "Don Raimondo Viale" dell'Asl di Borgo San Dalmazzo.
Andrea Dalmasso
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