19 settembre 1943: il giorno in cui Boves conobbe la furia nazista
Sono passati 76 anni dall'eccidio: 350 case date alle fiamme dalle SS, 25 vittime. La ricostruzione di uno dei giorni più tragici della storia della provincia di Cuneo“Quel settembre “era buono per i funghi”. Il padrone del caffè Cernaia imbottigliava il dolcetto arrivato da Dogliani; nella calzoleria Borello si preparavano gli zoccoli, per i giorni di fango e di neve. Le cose di sempre in un villaggio piemontese che non aveva capito la guerra e neppure la confusione, dopo la disfatta; vissuto per secoli nel suo quieto sogno di alberi, di fontane, di vicende e di commerci minimi; costretto ora a esprimere in poche ore, in una luce rossastra, tutta la capacità umana di soffrire”. Il racconto, sul sito dell'ANPI, si apre con queste righe. Il villaggio è Boves, quel settembre “buono per i funghi” è quello del 1943. Quella sofferenza è quella del giorno 19 di quel mese, un giorno dal quale oggi sono passati 76 anni esatti. Una domenica che sembrava uguale a tante altre, ma che si trasformò in uno dei giorni più tragici della storia della provincia di Cuneo: il giorno dell'eccidio di Boves.
Il 19 settembre del 1943, come detto, è una domenica. Dall'armistizio sono passati undici giorni: Pietro Badoglio l'ha firmato, ma ha lasciato le truppe italiane senza alcuna indicazione su come comportarsi con i tedeschi e con gli Alleati, il paese va alla deriva.
Proprio a Boves è nata una delle prime formazioni partigiane italiane: si tratta di un reparto di militari italiani, agli ordini dell'ufficiale Ignazio Vian, - il quale verrà fucilato dai fascisti a Torino un anno più tardi - che dopo l'8 settembre si è rifugiato sulle montagne e ha dato il via alla resistenza alle truppe tedesche. Il 19 settembre un gruppo di partigiani sceso in paese a far provviste si imbatte in una Fiat 1100 con a bordo due militari tedeschi, li cattura senza troppe difficoltà e li conduce prigionieri in montagna, in valle Colla. I due fanno parte della divisione SS Leibstandarte "Adolf Hitler" che pochi giorni prima si è insediata a Cuneo: la notizia si diffonde in fretta, in breve tempo sono in arrivo dal capoluogo mezzi e militari che attaccano le postazioni partigiane. Negli scontri perdono la vita un partigiano, l’ex marinaio Domenico Burlando di Genova, e un soldato tedesco, il cui corpo viene abbandonato dai compagni in ritirata.
Le SS, comandate dall'Oberführer Theodor Wisch e dal Sturmbannführer Joachim Peiper, occupano Boves e convocano immediatamente il parroco, don Giuseppe Bernardi, insieme al commissario della prefettura. Non trovando traccia di quest'ultimo, il suo posto viene preso dall'ingegnere bovesano Antonio Vassallo. Ai due viene intimato di presentarsi presso i partigiani chiedendo la restituzione degli ostaggi, pena la rappresaglia su Boves. Il parroco, a tutela dei civili, chiede al comandante tedesco di scrivere su un pezzo di carta che avrebbe risparmiato il paese se la “missione” fosse andata a buon fine. “Non serve, la parola di un tedesco vale più di cento firme di italiani”, la replica del comandante. Con una Lancia Augusta ed una bandiera bianca ben visibile don Bernardi e Vassallo risalgono quindi la valle, superando diversi posti di blocco tedeschi, fino a raggiungere il luogo dove i partigiani hanno stabilito la loro base. Dopo una lunga trattativa gli ostaggi vengono rilasciati con tutta l'attrezzatura e anche la loro Fiat 1100. La liberazione dei due ostaggi e la restituzione del corpo del soldato tedesco caduto in battaglia non placa la furia delle SS, che poco dopo le ore 15.30 danno inizio all'eccidio.
A Boves molti sono già fuggiti in campagna nelle ore e nei giorni precedenti, in paese è rimasto principalmente chi non è in grado di muoversi: anziani, invalidi, malati, donne e bambini. Le SS incendiano il paese, circa 350 case la cifra ufficiale, e uccidono 25 persone compresi il parroco don Bernardi e Vassallo i quali, addirittura, vengono bruciati vivi dopo essere stati portati in giro per le strade e costretti ad assistere alla distruzione del paese. Anche il vicecurato don Mario Ghibaudo, 23 anni, viene barbaramente ucciso mentre aiuta vecchi e bambini a fuggire e nell'intento di dare l'assoluzione ad un anziano morente.
Quello di Boves è stato uno dei primissimi episodi del sistema repressivo tedesco che prevedeva azioni contro la popolazione civile in risposta alle azioni partigiane e dei militari italiani. Tra il 31 dicembre 1943 ed il 3 gennaio 1944 la città subirà poi una seconda ondata di violenze: in questo caso l'esercito tedesco metterà in atto alcuni rastrellamenti nella zona montana per coprire la propria ritirata ed evitare i "colpi" dei gruppi partigiani presenti in zona. Il paese, soprattutto nelle frazioni montane, verrà di nuovo dato alle fiamme: 59 i morti tra civili e partigiani.
Dopo la guerra due avvocati italiani tenteranno di portare in Tribunale a Stoccarda gli autori della strage, a cominciare da Peiper, ma il processo non sarà mai celebrato. L’ufficiale verrà poi condannato a morte per la strage di decine di prigionieri americani (circa 80) a Malmedy, in Belgio, durante l’offensiva delle Ardenne di fine 1944. La sentenza sarà successivamente commutata in ergastolo, ma Peiper sarà poi rilasciato nel 1956. Morirà nel luglio del 1976 in un incendio scoppiato nella sua casa francese di Travers, in Borgogna, dove si era trasferito sotto falso nome. Secondo alcune ricostruzioni il rogo sarebbe stato doloso, appiccato da ex partigiani francesi comunisti che avevano scoperto la vera identità della vittima. La figlia di Antonio Vassallo, Liliana, che a 18 anni dovette riconoscere la salma carbonizzata del padre, è stata per tutta la vita professoressa di lettere nelle scuole medie della zona tra Boves e Mondovì ed è morta nel giugno del 2012.
FONTI
1. sito Associazione Nazionale Partigiani Italiani – www.anpi.it
2. Boves, 19/9/1943: la prima strage nazista in Italia – di Silvia Morosi e Paolo Rastelli - Corriere della Sera - http://pochestorie.corriere.it/2018/09/21/boves-1991943-la-prima-strage-nazista-in-italia/
Andrea Dalmasso
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