Come mai si dice che Cuneo è pari a Sagunto per fedeltà?
Per scoprirlo è necessario scartabellare la storia della nostra città tornando all’assedio del 1557, tra ''assalti così cruenti e aspri mai fatti in nessun luogo del mondo, neppure dai turchi''Che c’azzecca Cuneo con la seconda guerra punica? Poco e niente. Eppure c’è una scritta a tutt’oggi presente nello stemma della città, che in qualche modo lega l’abitato che sorge tra il Gesso e la Stura a un centro eretto dagli Iberici sull’antica cittadella fortificata di Arse, nel V secolo avanti Cristo. Stiamo parlando della moderna Sagunto, che se per numero di abitanti può essere paragonata al capoluogo della Granda, contando anch’essa all’incirca 60 mila abitanti, vince alla grande il confronto con la nostra città per quanto riguarda la ricchezza storica e culturale. Com’è noto Cuneo ha una storia relativamente breve, poco più di 800 anni, ed è quantomeno singolare un parallelismo così ardito, ma otto secoli non sono pochi.
La frase in questione è “Cuneum fide par Sagunto, fortuna superior”. Un enunciato che significa: Cuneo è pari a Sagunto per fedeltà, ma come valore - il termine fortuna, che in latino aveva un altro significato rispetto all’italiano (sorte, destino n.d.r.) fu poi sostituito con virtute (virtù) - è superiore. La città spagnola è diventata nei secoli la ‘fedele’ per antonomasia quando nel 228 a.C. fu assediata dai cartaginesi di Annibale Barca. Resistette strenuamente e venne saccheggiata soltanto dopo otto mesi dalle truppe di colui che il sommo storico Theodor Mommsen definirà “il più grande generale dell’antichità”. Gli abitanti di Sagunto, circondati dalle forze nemiche, attesero a lungo e invano l’intervento dell’alleata Roma, ma questo non arrivò mai a causa dei tentennamenti del Senato e la città spagnola fu rasa al suolo. Di qui la famosa citazione di Tito Livio: “Mentre a Roma si discute, Sagunto cade”.
L’attacco a Sagunto fu il casus belli della seconda guerra punica. In conseguenza dell’attacco e della distruzione della città amica, Roma chiese a Cartagine la testa di Annibale e la consegna delle ricchezze che per anni erano arrivate dalla Spagna. Al rifiuto degli africani, quella che nei secoli successivi sarebbe diventata la più grande potenza del mondo conosciuto diede inizio alle ostilità. Il resto è storia conosciuta. Nelle scorse settimane abbiamo dato spazio all’episodio più noto di quella guerra, vale a dire la traversata delle Alpi da parte di Annibale con gli elefanti al seguito: secondo alcune recenti ricerche, il condottiero cartaginese marciò verso Roma attraverso il Colle delle Traversette. Le relazioni tra la Granda e quei fatti si fermano qui. O no?
Un altro collegamento è la frase sopra citata. Infatti, pur essendo soltanto un confronto di valori, si riferisce all’assedio del 1557, quando Cuneo dimostrò il suo vigore respingendo i francesi comandati dal maresciallo Charles de Cossé, sire di Brissac. Il contesto era la guerra che il re di Francia Enrico II stava muovendo al sovrano di Spagna Filippo II, per la conquista del ducato di Milano e del Regno di Napoli. In quegli anni il Piemonte fu preso in mezzo e a Cuneo toccò di essere assalita dalle truppe transalpine: al comando di Brissac c’erano 15.000 fanti, 1.500 cavalli, 4.000 guastatori, 19 cannoni, 2 colubrine e vari pezzi di artiglieria minore.
La città tra i due fiumi, divenuta famosa per la sua abilità di resistere alle forze nemiche nel corso dei secoli, contava poco più di 500 soldati. Ma alle mancanze degli uomini d’arme supplirono i cittadini: un migliaio di civili si misero al lavoro costruendo fortificazioni, distribuendo viveri e curando i feriti sotto la guida del governatore Carlo Manfredi di Luserna, oggi ricordato con una via nel centro storico. Monsignor Alfonso Maria Riberi, storico e fondatore della Società degli studi storici, archeologici ed artistici di Cuneo, descrisse così la battaglia: “Un assedio memorabile per la durata, per il numero e l’accanimento degli assalitori”. Dopo due mesi i francesi levarono le tende a fronte delle 4 mila perdite, contro le 338 dei cuneesi. “In questo scenario - scrisse Riberi - due figure sono degne di ricordo in modo speciale: una di un uomo, l’altra di una donna”. La prima è quella del capitano calabrese ‘Menicone’, al secolo Domenico Giordano: “Riuscito in una notte a penetrare in Cuneo attraversando tutto l’esercito nemico”. Nel Museo Civico, ricorda Giovanni Cerutti nella sua 'Storia di Cuneo - avvenimenti e personaggi’, è conservato un suo ritratto. Per l’altra metà del cielo si distinse Beatrice di Savoia Pancalieri. Così la descrive Riberi: “(…) moglie del governatore Conte di Luserna, non si commosse al messaggio con cui il Brissac le annunziava che avrebbe fatto scempio del suo bambino di appena un mese, caduto nelle sue mani, se la città non si fosse arresa”. Il maresciallo francese non mise poi in atto l’infanticidio, ma ciò comprova la determinazione dei cuneesi di allora.
Una testimonianza diretta del valore degli abitanti della città arriva dal cronista di Borgo San Dalmazzo, Dalmazzo Grasso, che scriveva ammirato: “(…) la città fu assediata per tutto il mese di giugno con assalti così cruenti e aspri che non credo siano mai stati fatti in nessun luogo del mondo, neppure dai turchi. Non so in quale modo i cuneesi abbiano potuto essere così forti e saldi nella fedeltà verso il nostro signor duca e non temere né rovine, né distruzioni di mura e case, poiché avevano deciso di perdere la vita e i beni piuttosto che la libertà”. Nell’estate dello stesso 1557 si combatté la battaglia di Saint Quentin, dove il duca Emanuele Filiberto di Savoia, a capo dell’esercito di re Filippo II, ottenne la vittoria decisiva contro i francesi. Due anni dopo venne firmata, nella cittadina di Cateau Cambrésis, la pace tra Francia e Spagna: al duca ‘Testa di Ferro’ vennero restituiti il Piemonte e la Savoia. A garanzia degli accordi al duca toccò in sposa Margherita, sorella del re di Francia (che aveva dieci anni in più di lui), mentre il re di Spagna Filippo II convolò a nozze con la figlia del sovrano un tempo nemico, Elisabetta.
Sempre nel 1559 il duca Emanuele Filiberto di Savoia, per ringraziare i cuneesi del valore dimostrato due anni prima, firmò un diploma con il quale concedeva a Cuneo il titolo di città e l’autorizzazione a istituire i collegi e l’università (anche se l’opportunità non venne sfruttata). L’anno successivo (1560), dopo la fine delle ostilità, il duca venne di persona a Cuneo. A raccontare l’ingresso in città del condottiero è Giovanni Francesco Corvo, nella sua Cronaca di Cuneo (la traduzione è ancora di Giovanni Cerutti): “Il serenissimo Duca nostro di Savoia fece la sua entrata in Cuneo il giorno di San Michele, domenica, con la sua serenissima consorte, Madama Margherita di Valois, con grande onore. Entro in città sopra un ponte che attraversava tutto il fossato ai piedi delle mura, e tale ponte era adornato con bellissimi tappeti di grande valore, di stendardi antichi e altre cose meravigliose. Giunto sopra il bastione di Nostra Donna (nelle vicinanze del Duomo) vi era un arco di trionfo, come usavano fare gli antichi romani quando ottenevano qualche vittoria contro i loro nemici, e sopra l’arco vi erano scritte queste parole: ‘Cuneo fide par Sagunto, fortuna superior’”.
Nella visita il duca ‘Testa di ferro’ gettò le basi per le modifiche urbanistiche intraprese nella città, che negli anni successivi diventerà la più importante roccaforte nel Piemonte meridionale. Vennero demoliti il vecchio quartiere Quaranta e la prima chiesa di Sant’Ambrogio con l’intenzione di procedere all’edificazione di una Cittadella, ma questa è un’altra storia. Per la nostra basti sapere che l’arco di trionfo non c’è più, ma la scritta la si può trovare tuttora all’interno di palazzo Civico, in sala Giunta. Davanti all’affresco dipinto dal Persico che rappresenta l’arrivo del Duca nella nostra città campeggia la riproduzione di una grande moneta: su di essa è riportata la scritta che celebra il valore dimostrato dai nostri concittadini nel 1557.
Samuele Mattio
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