Il mito di Giovanna d’Angiò, la Maria Maddalena dei provenzali
Prima dannata nella realtà della sua figura storica, viene poi riabilitata e addirittura santificata dall’immaginario postumo della fantasia popolarePubblicato in origine sul numero del 19 maggio del settimanale Cuneodice: ogni giovedì in edicola
“C’è bisogno di miti” scriveva Pavese, nel 1942, in una lettera a Fernanda Pivano. Nelle contrade di Provenza e, più in là, in tutte le terre d’Oc, di qua e di là delle Alpi, il mito di cui c’era bisogno è quello della regina buona, la nosto Rèino Jano, immortale, come tutto ciò che appartiene alla fantasia, perché “solo ciò che non è avvenuto mai e in nessun luogo non invecchia”.
Stavolta però, pur nella trasfigurazione operata dalla fantasia collettiva di un popolo, la protagonista del mito è realmente esistita. “Il tempo dirocca i castelli e rafforza il verso”, diceva Borges. Il verso, la poetica e soprattutto il racconto popolare, col loro potere rievocativo rinsaldano il mito.
La regina dolorosa
Il 12 maggio 1382, dopo un anno di prigionia, dapprima a Castel dell’Ovo, poi a Nocera e, infine, nel castello di Muro Lucano, moriva, all’età di cinquantasei anni, Giovanna I d’Angiò, la regina dei quattro mariti. Venne uccisa, si narra, soffocata tra due cuscini di piume, per inscenare una morte naturale. A commettere, o a commissionare l’efferato omicidio, fu Carlo III di Durazzo, che aveva invaso il regno di Napoli e che, per ragioni di discendenza, con la morte della regina le sarebbe succeduta sul trono di Napoli. Proprio quel Carlo al quale, in tenera età, Giovanna aveva salvato la vita, quando stava per essere vittima di una congiura. Quel giorno di maggio di sette secoli fa, uscita dalla convulsa temporaneità di una breve esistenza, la Rèino Jano era pronta a entrare nella pacata eternità del mito. “Si dice che fosse santa”, ci racconta Margherita, l’ultima abitante della borgata Colletto dell’Ollasca di Monterosso Grana. “Si dice che risalisse le valli facendo del bene alla gente”, ci conferma Teresa da S. Pietro Monterosso. Per riuscire a individuare quel legame imprescindibile che collega il mito alla storia e comprendere le ragioni che hanno animato la fantasia di un popolo nella creazione della leggenda della regina buona, o addirittura santa, dobbiamo iniziare le ricerche frugando nella travagliata vicenda esistenziale della regina. Ostaggio dei potenti, trattata - spesso maltrattata - dai mariti come un oggetto da possedere per il conseguimento del potere, la “regina dolorosa”, come venne chiamata in una profezia, troverà nella sofferenza un’occasione di riscatto e redenzione.
È forse questo uno dei motivi per cui Giovanna, nonostante una condotta di vita scellerata, sia a Napoli che in Provenza incontrerà i favori del suo popolo e godrà di una costante benevolenza. Per quanto riguarda la gente della sua Provenza, la regina, in cambio dei denari necessari per difendere il suo reame, concederà a piene mani libertà e franchigie alle comunità dei suoi sudditi, di qua e di là dalle Alpi, e questo contribuirà ad accrescere una già diffusa popolarità.
Giovanna e Maddalena, le ragioni del mito
Giovanna I d’Angiò, con la sua leggenda sospesa tra l’immaginario e il reale, con la sua storia animata dall’intrigante dualismo tra “santa” e “puttana”, tra vittima e carnefice, la nosto Rèino Jano, prima dannata nella realtà della sua figura storica viene poi riabilitata e addirittura santificata dall’immaginario postumo della fantasia popolare.
Impossibile non arrivare a un accostamento con la vicenda terrena di Maria Maddalena, l’altro grande mito di Provenza. Anche lei, per strade assai diverse, prima meretrice e poi santa. Giovanna, come Maddalena, secondo una leggenda, avrebbe conosciuto il pentimento e la conversione e, per meritarsi il perdono, si sarebbe ritirata in una grotta a digiunare e pregare. Sarebbe stato Gesù in persona a concedere il perdono a Maria Maddalena, dopo quattordici anni di preghiera e penitenza nella Santo Bàoumo. A perdonare il vissuto peccaminoso della regina, raccontano dalle nostre parti, sarebbe stato San Dalmazzo, il santo di Pedona. Giovanna si sarebbe poi ritirata in una grotta sul Bec d’Arnostia, nei pressi di Borgo San Dalmazzo.
Alla gente di Provenza evidentemente piacciono queste figure di peccatrici che si redimono attraverso la sofferenza e l’espiazione. La Rèino Jano e Marìo Madaléno, incredibilmente affini nella loro estrema diversità, sono le due grandi protagoniste femminili della mitologia provenzale. La nostra gente, innamorata di queste due personalità dalla doppia anima, vera o presunta tale, ne ha propagato il mito. È curioso come la leggenda della Maddalena sia stata promossa proprio del casato degli Angiò. Carlo II, il nonno di Giovanna I, venuto a conoscenza della storia di Maria Maddalena, visitato in sogno dalla santa, ne fece cercare le reliquie nel luogo presunto della sua sepoltura.
Una rigogliosa pianta di finocchio, come aveva rivelato il sogno, ne avrebbe indicato l’ubicazione nei campi in cui si svolgevano le ricerche. Disseppellite le spoglie della santa, Carlo avviò la costruzione di una basilica dedicata a Maria Maddalena. È intrigante che nella suddetta basilica, accanto a una ricca iconografia della santa, in un bassorilievo che orna una delle chiavi di volta del soffitto sia presente l’effigie della Rèino Jano. Separate da più di un millennio, ma unite da analoghe vicissitudini di vita e, soprattutto, di leggenda, suggellati da reliquari, sculture e dipinti, i due grandi miti di Provenza si incontrano nella sacralità della grande basilica di Saint Maximin-la-Sainte-Baume.
Renato Lombardo
CUNEO Storia - occitania - provenza - Giovanna d'Angiò - cultura provenzale