Intrighi di confine: l’annessione di Briga e Tenda tra finti plebisciti e guerre di spie
Settantacinque anni fa il braccio di ferro per la sovranità sui due comuni cuneesi d’Oltralpe, conclusosi con il “rattachement” e l’esodo di chi voleva restare italianoDal 10 febbraio 2004 lo Stato italiano ha istituto il Giorno del Ricordo, celebrazione ufficiale dell’esodo di circa 350mila istriani, fiumani e dalmati dalle terre annesse alla Jugoslavia di là dall’Adriatico. La data del 10 febbraio è quella della firma del trattato di pace di Parigi nel 1947, l’ultimo atto della seconda guerra mondiale in Europa tra i vincitori del conflitto e le ex potenze dell’Asse. L’entrata in vigore del trattato però non sancì solo una sanguinosa rinuncia alle province italiane di Pola, Fiume e Zara sul confine orientale, ma anche una rettifica molto meno drammatica e tuttavia non meno controversa dall’altra parte delle Alpi.
Il Colle di Tenda? Un argine all’invasione sovietica della Francia
Le radici della futura contesa tra Italia e Francia per il possesso di Briga e Tenda risalgono al 1860, quando l’annessione dell’antica contea di Nizza allo Stato transalpino viene sancita con un plebiscito di dubbia legittimità. L’intera val Roja passa così sotto giurisdizione francese, eccettuati i due comuni dell’alta valle e la frazione di Mollières con le “terre di caccia” del re Vittorio Emanuele II. La clausola consente a Cavour di soddisfare le pressioni dello stato maggiore per ottenere un confine che impedisca, in caso di guerra con la Francia, una rapida discesa delle forze nemiche su Cuneo attraverso il Tenda. Ottantacinque anni dopo sarà questa stessa motivazione a riproporre, a parti invertite, la questione di Briga e Tenda come faccenda di primaria importanza strategica. Certo, sulle rivendicazioni di Parigi pesa tutta una serie di fattori simbolici: il ricordo della “pugnalata alle spalle” inferta dall’Italia mussoliniana nel 1940, il più risalente revanscismo anti-italiano nel Nizzardo alimentato da decenni di immigrazione, l’astio di Charles de Gaulle verso gli alleati angloamericani da cui già nei primi mesi del dopoguerra si sente abbandonato e vilipeso. Ma è soprattutto la minaccia ad Est a motivare il Generale e i suoi consiglieri, convinti che la guerra con il blocco sovietico sia solo questione di tempo: nell’eventualità che i carri armati con la stella rossa dilaghino nella pianura padana, i valichi alpini saranno l’unico argine all’invasione.
Se i piani di grandeur gollista, estesi in un primo tempo alla Valle d’Aosta e addirittura alle pianure di Torino e Cuneo, devono presto arretrare di fronte alla ferma opposizione degli alleati, su questo punto la Francia mette in chiaro di non voler cedere. Lo comprende anche l’Italia, tanto che in un promemoria del 1945 per il presidente del consiglio Parri è lo stesso capo di stato maggiore, generale Trezzani, a sostenere che Tenda e Briga possano essere sacrificate qualora l’appoggio francese sia “condizione necessaria e sufficiente” per mantenere il confine orientale sulla linea Wilson, salvaguardando cioè l’Istria e il Carso isontino. A Nizza, intanto, è attivo fin dal settembre 1944 il Comité de Rattachement de Tende et La Brigue à la France, auspice il presidente del club alpino Vincent Paschetta. Ad assumere un ruolo preminente tra gli annessionisti è un singolare personaggio, l’oriundo brigasco e futuro sindaco Aimable Gastaud. Poliglotta intelligente e spregiudicato, il 35enne Gastaud cela dietro all’anonima mansione di portiere d’albergo il proprio ruolo di agente del controspionaggio e punto di raccordo delle mobilitazioni filofrancesi.
La prima di queste viene messa in atto su ispirazione del governo e dei servizi segreti con i plebisciti del 29 aprile 1945. Al seguito delle truppe della France Libre guidate dal colonnello Widerspach, 220 tendaschi e brigaschi vengono radunati sulla place Masséna di Nizza la mattina del 28 aprile e instradati in val Roja sui camion dell’esercito. Il giorno dopo si tiene il “referendum” organizzato dal Comité, in realtà una pura e semplice operazione di propaganda: dal voto sono esclusi i residenti trasferitisi dopo il 1930 ma ammessi i membri della comitiva nizzarda, tutti emigrati residenti in Francia se non già figli di cittadini francesi. Addirittura si impone al votante di scrivere le proprie generalità sulla scheda onde ottenere “il grande onore di diventare francesi”, mentre l’opzione di mantenere la sovranità italiana non è nemmeno menzionata. Circa il reale sentimento delle popolazioni locali, è significativo il giudizio espresso da Mario Giovana, ex partigiano giellista e storico non sospettabile di acrimonia nazionalista: i propagandisti italiani e francesi si rivolgevano “a gente sballottata dalle crudeltà della guerra, abituata a procacciarsi faticosamente le risorse di vita, “periferia” economica e sociale in un paesaggio montano non mai favorito dalla sorte e attraversato da migrazioni costanti”. Di ciò d’altronde sono consapevoli anche i più accorti tra gli agitatori, come l’ufficiale di collegamento gollista Gaymard: “Gli abitanti di Tenda, sia quelli pro-italiani, sia i pro-francesi, sono prima di tutto tendaschi […]. In effetti i tendaschi non sono più italiani che francesi, essi sono nizzardi: i loro interessi sono a Nizza e gli avvenimenti degli ultimi anni ci hanno insegnato che i nizzardi erano fascisti o anti-fascisti secondo le circostanze. Se al momento del plebiscito un interesse qualunque li guida (traffici di divise, movimento dei cambi, vendita di legname al miglior gruppo a un paese o all’altro ecc.) essi non esiteranno a votare per il paese che favorirà le loro operazioni economiche”.
Il grande gioco all’ombra delle Alpi e l’esito inatteso del referendum
Nei ventinove mesi che separano la fine delle ostilità dall’annessione si combatte all’ombra delle Alpi per conquistare i cuori dei roiaschi, in quella che sovente assume i contorni di una piccola guerra di spie. Qui il contraltare di Gastaud è il sedicente conte Guido Alberti della Briga, già podestà di Mentone attivo nei Gruppi di azione nizzarda del generale Ezio Garibaldi, fascista acceso e nipote dell’eroe dei due mondi. Oltre a lui si segnalano tra le personalità di spicco il deputato liberale-monarchico Vittorio Badini Confalonieri, l’ingegner Aldo Ruffi e il tenente e presunto ex partigiano Aldo Lanteri, quest’ultimo a capo di un nucleo nazionalista non alieno a violenze e attentati. La natura composita del gruppo anti-annessionista è riflessa nelle due figure che nel luglio del 1945, dopo il provvisorio ritorno dell’amministrazione italiana imposto alla Francia, assumono l’incarico di sindaco: a Tenda la nomina va ad Angelo Durero, rispettato notabile liberale e antifascista, mentre a Briga Marittima la giunta è guidata da Francesco Dalfin, ex ufficiale della Mvsn e aderente alla Rsi. C’è da considerare del resto che le commistioni politiche non sono meno eterogenee tra i fautori del rattachement, nelle cui file anzi militano non pochi ex fascisti locali.
Fatto quanto mai sintomatico da questo punto di vista è l’esito del referendum costituzionale e delle elezioni costituenti del 2 giugno 1946. L’indicazione che giunge ai filofrancesi dal tenente Louis Kalck, ufficiale di collegamento presso la commissione alleata per Tenda e Briga, è di votare per i socialisti sfruttando le entrature che alcuni di loro hanno con la federazione del Psiup a Cuneo. I difensori dell’italianità della valle, per contro, votano in maggioranza per la Democrazia Cristiana e la monarchia. Il risultato però spiazzerà gli uni e gli altri: a Tenda il voto repubblicano supera di un’incollatura quello monarchico (799 suffragi contro 733) e il Psiup ottiene alla costituente una vittoria relativa con 691 voti contro i 592 della lista democristiana. A Briga, invece, la monarchia prevale con 601 voti sui 468 della repubblica e la Dc (forte di 436 voti) sopravanza i socialisti (347). A sorprendere - oltre all’alta affluenza - è soprattutto l’entità del voto monarchico specie tra i brigaschi, considerati più favorevoli all’annessione.
La visita della commissione internazionale e le speranze deluse degli italiani
Nel frattempo, un mese prima i due comuni contesi hanno ricevuto la visita degli otto componenti della commissione internazionale inviata dalla Conferenza dei quattro. È il momento più solenne perché si crede che il responso farà pendere la bilancia da una parte o dall’altra. I commissari sono chiamati a valutare attraverso una serie di colloqui sia gli aspetti etnico-linguistici, sia le preferenze della popolazione locale, sia le questioni di carattere pratico a cominciare dal controllo della principale risorsa dell’alta val Roja, le tre centrali idroelettriche che nel periodo prebellico avevano assicurato il funzionamento di 1350 km di rete ferroviaria e di industrie e cantieri navali tra Liguria e Piemonte. Dopo tre giorni di indagini, la commissione conclude che i sentimenti popolari sembrano essere più favorevoli all’Italia nel comune di Tenda, mentre le famiglie originarie di Briga prediligono l’unione con Nizza: “Era del tutto evidente, tuttavia, che una convinzione profonda a favore dell’una o dell’altra tesi era limitata a una relativamente piccola parte della popolazione. La preoccupazione principale degli abitanti dell’Alta Roja sembrava essere quella che fosse loro permessa libertà di movimento su e giù per la valle, e di commercio tanto con l’Italia che con la Francia”.
Da parte italiana il documento viene accolto con ottimismo, specie nella parte in cui caldeggia un utilizzo delle risorse idroelettriche non penalizzante per l’Italia. Ma nella tarda serata del 27 giugno, una notizia diffusa dalle emittenti radio francesi gela ogni speranza: si dà atto che lo stesso giorno, dopo un’improvvisa mossa del ministro sovietico Molotov che fino ad allora aveva intralciato le aspirazioni di De Gaulle, le quattro potenze hanno assegnato Briga e Tenda alla Francia. A nulla varranno le successive proteste dei filoitaliani che gridano al tradimento, promuovono petizioni sia a Roma che a Parigi e cercano sponde politiche accarezzando perfino l’effimero progetto di una “zona franca” lanciato dal federalista ventimigliese Emilio Azaretti sul modello dello Stato libero fiumano. A Cuneo si costituisce un Comitato di solidarietà pro Briga e Tenda sotto gli auspici del sindaco Antonio Toselli, che indice per il 6 luglio una partecipata manifestazione davanti al municipio cui prendono parte anche vari ex capi partigiani.
Addio all’Italia: la piccola diaspora d’Oltralpe e la guerra della memoria
Ma è ormai tutto vano. La questione di Briga e Tenda era fin da principio troppo grande per pensare che le potenze mondiali la lasciassero nelle mani dei loro abitanti o degli stessi governi, come dimostra il fatto che tra le conclusioni della commissione e la decisione in favore di Parigi non passano nemmeno due mesi. L’ultimo periodo di amministrazione italiana trascorre in un clima di crescente disillusione e relativa quiete. Prima e dopo che la bandiera nazionale venga ammainata dal municipio di Tenda, la sera del 15 settembre 1947, se ne vanno circa 700 residenti, in massima parte persone di provenienza esterna giunte in valle per lavoro. Il 12 ottobre si tiene il referendum previsto dalla legge francese: un mero atto formale, che tuttavia stupisce gli stessi promotori per l’entità della partecipazione al voto. All’imbocco della galleria, intanto, un migliaio di “irredentisti roiaschi” (in realtà rimpolpati da esuli fiumani) protestano un’ultima volta.
Gli echi della battaglia politica si spengono presto lasciando il posto a qualche limitata contesa memorialistica. Ne documenta gli esiti un reportage del periodico di destra Candido nel 1958, mostrando come la “francesizzazione” non risparmi la storia: così, per esempio, il tenente Ettore Ardisson caduto ad Adua diventa nella nuova epigrafe Héctor Ardisson e la targa ai brigaschi “caduti nelle battaglie per l’onor d’Italia combattute” durante le guerre d’indipendenza muta iscrizione in “valoreaux brigasques, tombés au champ d’honneur”. Sempre a Briga il monumento al colonnello Giovanni Pastorelli, eroe della guerra italo-turca, viene trasferito dalla piazza centrale e i resti degli alpini caduti in servizio sono esumati e collocati in un ossario comune. Non altrettanto avverrà a Tenda, dove in compenso l’amministrazione celebra come martire il giovane Auguste Boin, unica vittima del rattachement: secondo la vulgata, Boin sarebbe stato ucciso il 17 settembre 1945 da un carabiniere per aver gridato “vive la France!” rifiutando di identificarsi. Boin, cittadino italiano, non era però conosciuto come membro del movimento annessionista. La sua sorte, a detta di testimoni filofrancesi come Joseph Vassallo, sarebbe da imputarsi a un tragico incidente dopo che uno dei proiettili sparati a terra a scopo intimidatorio l’aveva raggiunto di rimbalzo.
Fonte: Mario Giovana, Frontiere, nazionalismi e realtà locali. Briga e Tenda (1945-1947), Edizioni Gruppo Abele
Andrea Cascioli
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