KOSTANTINO - CAMBIA[MENTI] IN TERRE ALTE
All'Ecomuseo della pastorizia si inaugura la mostra del fotografo Luca Giacosa. Uno sguardo che gioca con l'immaginario onirico per interrogarsi sui cambiamenti climatici e sul futuro della pastoriziaSabato 8 luglio, alle ore 17, presso la saletta incontri dell’Ecomuseo della Pastorizia di Pontebernardo si inaugura la mostra KOSTANTINO - CAMBIA[MENTI] IN TERRE ALTE del fotografo Luca Giacosa. Quindici scatti notturni, in bianco e nero, per interrogarsi sui cambiamenti climatici e sulle relative conseguenze nel sistema agro-pastorale montano e nella forma mentis di allevatori e agricoltori. L'autore, partendo dai racconti di Kostantino, pastore incontrato durante la permanenza Valle Stura, riflette sulla sfida epocale dei cambiamenti climatici, sulla figura del pastore e sul futuro della pastorizia, sulla capacità di adattamento dell'uomo. E lo fa, partendo dalla riflessione sugli archetipi, giocando con un immaginario onirico, astratto, irreale, con l'emozione e con la luce artificiale del flash, che illumina l'oscurità come “una lampada di un viandante di notte”. Abbiamo fatto qualche domanda al fotografo, che ha alle spalle una formazione in Documentary Photography presso l'University of Wales di Newport, per saperne di più sulla genesi di questo lavoro e approfondire la sua poetica.
Il titolo della mostra fa riferimento all'incontro con Kostantino, pastore della Valle Stura. É dal tempo passato insieme a lui, dai vostri dialoghi e dai suoi racconti che ha preso vita il tuo progetto fotografico? Mi racconti di quest'incontro?
“Ho vissuto molti anni in Valle Stura ed ho conosciuto diversi pastori, gli incontri con loro hanno ampliato le mie conoscenze sul mondo della pastorizia. Ho conosciuto sia allevatori e pastori autoctoni, che pastori di altri paesi, principalmente rumeni ed albanesi, ma anche senegalesi, ghanesi e francesi. É un mondo molto duro, soprattutto in Italia, dove il lavoro di migranti è spesso svolto in condizioni precarie. Basta attraversare il confine per rendersi conto delle differenze lavorative nel settore. Spesso i lavoratori esteri arrivano da situazioni di povertà e bassa scolarizzazione, non sempre sono pastori per 'nascita', men che mai possono permettersi il lusso di farlo per vocazione come noi europei. Kostantino è solo uno dei pastori che ho incontrato. Gli ho chiesto di raccontarmi un po' la sua vita, fin da quando si ricordava per arrivare al suo attuale lavoro, indirizzando le domande sui temi legati alla mostra, per sapere come lui vedesse i cambiamenti climatici. Cresciuto orfano di padre da quando aveva otto anni, primogenito, si è sobbarcato il lavoro per aiutare la madre a crescere i fratelli, saltando ovviamente la scuola. Sembra un cliché, ma non lo è, è la sua vita, come era la vita di tutti gli abitanti delle nostre montagne fino a pochi decenni fa. Dalla 'povertà', da intendere come istruzione non scolastica e non come ignoranza, della sua cultura sono apparsi discorsi legati alla vita quotidiana di un pastore, che forse manca del quadro globale dei cambiamenti climatici, ma capisce le sfide che questi portano al suo mestiere. É affiorata anche l'idea che in realtà, per quanto i cambiamenti climatici siano effettivamente una sfida epocale, il mestiere del pastore, come quella di tutti noi se ci pensiamo, cambia di continuo. Non siamo fissi in una società immutabile, non siamo persone sempre uguali a se stesse, il pianeta su cui viviamo non ha condizioni stabili. Da sempre, da quando esiste la vita, il cambiamento è parte di questo mondo, la condivisione, il mescolamento di conoscenze, l'innovazione (non in senso illuminista), sono il sale quotidiano, per quanto la politica, la religione, soprattutto occidentali, cerchino invece di convincerci del contrario...”.
Quindici fotografie notturne in bianco e nero, in formato quadrato, per interrogarsi sul rapporto-uomo natura, sul cambiamento climatico e sulle sue conseguenze nel sistema agro-pastorale montano e nella forma mentis di agricoltori e allevatori. Fotografie scattate di notte, con la luce del flash che illumina e cristallizza nel buio elementi come gli alberi, le case,l'acqua, i pascoli, gli animali, il bosco e un'unica figura umana di spalle. Nell'astrazione delle forme e nel silenzio ancestrale della notte, si percepisce un'atmosfera irreale e onirica. L'oscurità aiuta a vedere?
“Le foto in formato 1x1 sono un mio pallino. Sono appassionato dell'assenza di dinamismo di questo formato, la forte formalità, la definizione di uno spazio che mi risulta quasi pittorico. Il bianco e nero anche è una scelta personale, ma come spesso accade aiuta ad astrarre il soggetto ritratto, a trasferirlo in una dimensione altra, slegandolo da una realtà documentaria. Non è mia intenzione come artista dare delle risposte, affermare qualcosa, sposare e dimostrare una tesi. L'intento della mia fotografia è quello di far interrogare chi vede le foto, di lasciarlo libero di interpretare ciò che vede in modo personale. Per questo cerco di abbandonare la narrativa documentaristica per creare un immaginario diverso, mio, puoi definirlo onirico, astratto, in cui chi guarda si può perdere e trarre le sue conclusioni, se vuole trarre delle conclusioni, se no spero che nascano delle domande in lui. La figura umana dell'ultima foto della mostra è un invito ad osservare, a confrontarsi con la natura che ci circonda, poi ognuno si farà le domande e si darà le risposte che desidera. Ma se non germoglia un pensiero, non si va da nessuna parte. L'immaginario che creo io lo definirei però emozionale, non saprei come meglio definirlo, cerca di suscitare emozioni, di smuovere gli animi, in primo luogo il mio, spingendomi a farmi nuove domande, ad allargare i confini di ciò che conosco, a gettare luce su nuove aree intorno a me, accettando di essere circondato dall'ignoto e dal buio che rimangono predominanti. Questo riesco a farlo solo con le emozioni. Pur arrivando dalla fotografia documentaria, quello è un immaginario che non mi appartiene più, troppo didascalico, troppe domande ovvie e risposte ancora più ovvie, che portano gli utenti della fotografia a distaccarsi dai temi ritratti perché spesso banalizzati, ma ancora più spesso sfruttati fino all'ossessione dai media, con la conseguenza di svuotare i temi del loro valore. Non sto a divagare sui danni della nostra società dell'immagine...lo facciamo un' altra volta. Le immagini sono volutamente create per rendere irreali se stesse. Gioco sempre con l'assenza di un orizzonte, flebile linea a cui la nostra mente abituata alla prospettiva si aggrappa per comprendere e dare ordine a ciò che vede. Gioco con la gravità, ribaltandola, anche qui un altro metodo che abbiamo di analizzare il mondo che ci circonda. A livello visivo il nostro cervello legge ciò che vede in un certo modo, negando queste caratteristiche l'occhio è costretto ad osservare un immagine che non comprende e (spero) si ritrovi nell'immaginario astratto di cui parlavo prima. Senza punti di riferimento è più facile essere liberi. L'oscurità, la notte...di giorno il sole rischiara le cose, definendone i contorni, disegnando ombre, volumi. Le cose sono evidenti, la vita viene vissuta, gli eventi avvengono. Di notte non è che tutto si fermi, accade molto di più di quanto si pensi. Ma i contorni si perdono, le ombre avvolgono tutto, lo spazio ideale per mescolare le carte, per mettere in discussione le convinzioni. L'oscurità non aiuta a vedere i cambiamenti, aiuta ad essere ciechi per poter vedere con occhi nuovi. L'uso del flash è come quello della lampada di un viandante di notte: illumina piccole aree dello spazio che lo circonda, senza dare una visione d'insieme, illuminando dettagli, paure, figure antropomorfe, lati profondi e reconditi della mente. Blocca in un momento. Mi piaceva l'idea di giocare con l'idea di fotografare i cambiamenti climatici con una luce che blocca, quasi una luce stroboscopica proiettata in Valle Stura, che non dà una visione generale, ma suggerisce ombre e luci dei cambiamenti climatici e la pastorizia”.
Ti sei concentrato sull'indagine di alcuni archetipi. Perché questa scelta?
“La scelta di lavorare su degli archetipi è data in primo luogo dalla proliferazione di immagini sul cambiamento climatico presenti sui media e dal mio desiderio di non ripercorrere alcuna strada già battuta. Ho immaginato diversi approcci narrativi, e nessuno mi convinceva, nessuno mi sembrava che riuscisse a rappresentare ciò che volevo narrare, né che rispecchiasse la mia visione. Sembra assurdo, ma i cambiamenti climatici diventano facilmente una chiacchiera da bar...pioggia, piene dei fiumi, siccità, incendi...ma dietro a tutti questi aspetti si trova un archetipo (stiracchiando un po' il concetto di archetipo). Per cui ho iniziato a fotografare il fiume Stura. Acqua. Cos'è un fiume, cosa trasporta, come cambia il paesaggio che attraversa. Da qui mi sono mosso analizzando altri aspetti evidentemente legati ai cambiamenti climatici e alla pastorizia, come l'acqua in altre forme, i pascoli, gli animali, i boschi, i manufatti degli uomini. La ricerca visiva era rivolta al contatto tra uomo e natura ed alla capacità evocativa delle immagini di fare pensare ad altro che a ciò che veniva ritratto. Non tutte le immagini sono la rappresentazione di un archetipo, ma il processo di creazione, perché le fotografie si creano, non si catturano, era guidato dalla ricerca intorno a questi archetipi che penso siano legati ai cambiamenti climatici”.
KOSTANTINO - CAMBIA[MENTI] IN TERRE ALTE sarà visitabile fino al 31 dicembre negli orari di apertura con visita guidata gratuita: nei mesi di luglio e agosto, tutti i fine settimana, dalle 15 alle 18, e da settembre a dicembre il primo fine settimana del mese, sempre dalle 15 alle 18. Eventuali aperture straordinarie verranno comunicate sui siti e sui canali social dell’Unione Montana Valle Stura e dell’Ecomuseo.
Francesca Barbero
PIETRAPORZIO Ecomuseo della Pastorizia - Luca Giacosa