Quando Cuneo divenne la capitale del Risorgimento polacco
Nel 1862 l’ex convento di San Francesco fu sede della scuola militare in esilio, chiusa per volontà russaPubblicato in origine sul numero del 24 marzo 2022 del settimanale Cuneodice: ogni giovedì in edicola
“Che tu possa vivere in tempi interessanti” recita un detto cinese che equivale, in realtà, a una maledizione. I “tempi interessanti” nell’occhio dello storico sono infatti il più delle volte quelli peggiori per chi vi si trovi immerso. Oggi sono senz’altro “tempi interessanti” quelli che l’Ucraina è costretta ad affrontare, come di riflesso succede a un intero angolo di Europa.
La Polonia, innanzitutto, divenuta rifugio per quasi due milioni di civili ucraini (ma il flusso aumenta di giorno in giorno) che hanno lasciato le proprie case dopo l’inizio dell’invasione. Strana inversione dei ruoli, per una terra che nella sua tormentata storia ha visto più spesso i suoi figli fuggire dall’oppressione straniera. Di questa lunga odissea è stata testimone anche la nostra Cuneo. Tuttora se ne conserva memoria in una lapide, murata dieci anni fa presso l’ex chiesa di San Francesco, dove si ricorda che per alcuni mesi nel corso del 1862 la città dei sette assedi fu sede della Scuola Militare Polacca in esilio. Si tratta di un episodio sconosciuto anche a molti cuneesi di oggi, ma non secondario nella storia delle relazioni tra Italia e Polonia, tanto solide - nel periodo in cui entrambe lottavano per la loro unità - da sfociare in una reciproca menzione nei versi dell’inno nazionale (caso unico al mondo). “Già l’aquila d’Austria / le penne ha perdute; / il sangue d'Italia / bevé, col Cosacco / il sangue polacco: / ma il cuor le bruciò” recita infatti la quinta strofa del “Canto degli Italiani” di Goffredo Mameli.
Il riferimento del patriota e poeta genovese è alla triplice spartizione della Confederazione polacco-lituana, operata tra il 1772 e il 1795 da Austria, Russia e Prussia. Sul finire del XVIII secolo, quello che era stato uno dei più nobili regni dell’Europa orientale si ritrovò del tutto smembrato. I polacchi avrebbero dovuto attendere fino al 1918 per riavere la propria indipendenza, ma non mancarono nel frattempo d’impegnarsi in insurrezioni dentro e fuori dai patri confini. In Italia un ufficiale polacco, il generale Ludwik Mierosławski, arrivò a comandare l’esercito costituzionale durante la rivoluzione antiborbonica in Sicilia del 1848. A lui Garibaldi promise sostegno all’indomani dell’unificazione: promessa che si concretizzerà nella partecipazione di circa 600 volontari, sotto il comando di Francesco Nullo, alla rivolta polacca del 1863.
Tra l’indipendenza italiana e la cosiddetta “rivolta di gennaio” in Polonia si colloca la parentesi cuneese di questa epopea. Sotto la Bisalta i futuri insorti polacchi arrivarono nella primavera del 1862. Il governo Rattazzi era intenzionato a tener fede alle aspirazioni garibaldine, ma anche preoccupato dalle reazioni diplomatiche. Onde evitare di provocare la Russia, si decise così di spostare la sede del costituendo Collegio Militare Polacco da Genova, sede di grandi traffici e cospirazioni, alla più discreta Cuneo. L’11 aprile la giunta deliberò la concessione ai cadetti dell’ex convento di San Francesco. I primi polacchi giunsero il 26, accolti in stazione dai 600 bersaglieri al comando del colonnello Emilio Pallavicini. Nel volume I polacchi a Cuneo nel 1862, Walter Cesana riporta la testimonianza del 22enne Roman Roginski, uno dei circa 160 cadetti passati dalla Granda: Roginski si batterà contro i russi, venendo quindi imprigionato ed esiliato in Siberia per trent’anni. È lui a rievocare un episodio significativo riguardo al comandante dei bersaglieri: “Avevamo intenzione di donargli una spada, ma prima che la stessa arrivasse da Parigi, Pallavicini andò in Aspromonte contro Garibaldi. Quest’ultimo si procurò una ferita, mentre Pallavicini era generale di brigata”.
Così Roginski descrive la sua successiva permanenza in città: “Cuneo è posta in una località molto pittoresca, all’angolo di congiunzione delle Alpi con gli Appennini. Nelle vicinanze, a quindici verste [unità di misura in auge nella Russia zarista, corrispondente a poco più di 1 km, ndr], sulle montagne si trova uno stabilimento di cura dove giungono delle graziose ladies inglesi a dondolarsi sulle amache con un libro in mano finché non arriva lo spleen”. Il probabile riferimento alle terme di Valdieri è avvalorato da un accenno alla presenza del re Vittorio Emanuele, del quale si dice che “ogni secondo martedì veniva a Cuneo” per cacciare: “Gli facevamo il saluto militare quando lo incontravamo, come si fa nell’esercito, e lui ci riveriva in modo molto cortese, era davvero il Re galantuomo…”.
L’accoglienza dei cuneesi ai polacchi, propiziata dai seguaci di Mazzini e Garibaldi, fu entusiastica. In prima fila nel salutarli il prefetto Antonino Plutino, ex volontario tra i Mille, e l’avvocato Nicolò Vineis, direttore della Sentinella delle Alpi. Il giornale locale dedicò un’intera prima pagina all’evento, tanto che il nuovo comandante della Scuola, il generale Józef Wysocki, ringraziò da Parigi il giornalista. Domenica 1 giugno, per la festa dello Statuto albertino, i cadetti ospiti sfilarono in alta uniforme alla rivista militare in piazza d’Armi, presso l’odierna caserma Cesare Battisti. Li ritroveremo in prima fila anche in una triste occasione, le esequie del sindaco di Cuneo Francesco Lovera, morto all’improvviso il 18 luglio: “La rappresentanza della generosa e prode emigrazione della bionda e martire Polonia”, scrisse la Sentinella delle Alpi, si incaricò di portare il feretro fino alla chiesa.
Tra quanti rievocheranno con affetto quella fugace presenza in città c’è un illustre cuneese acquisito, lo scrittore Edmondo De Amicis. Nei suoi Ricordi d’infanzia e di scuola, l’autore di Cuore appunta: “Di molti di quei giovani votati alla morte ho ancora nella mente l’immagine, che mi si presenta sempre accompagnata dal suono armonioso della loro lingua, di cui raccoglievo curiosamente qualche parola passando accanto ai loro crocchi, mentre commentavano le notizie giornaliere della guerra santa che li aspettava”. Beninteso, non mancò nemmeno qualche scaramuccia, come quando un certo Thuchowski - esasperato dalle serenate di alcuni ubriachi ad un’attrice di teatro - allontanò gli spasimanti gettandogli acqua da una finestra: “Si voleva dare inizio ad una sfida a duello, - annota Roginski - ma i compagni di Thuchowski non accettarono questo scontro e proposero che tutti gli ufficiali che erano a Cuneo, in numero di 159, si trovassero per un duello, a sciabole, con tutti gli studenti della scuola militare”.
La disfida venne scongiurata, non così, però, la chiusura della Scuola dopo soli tre mesi. È questo il prezzo che il governo russo imponeva al neonato regno d’Italia, in cambio del riconoscimento diplomatico. Rattazzi si piegò alle ragioni della realpolitik, suscitando lo sdegno della Sentinella e di numerosi altri giornali. Il 30 luglio 1862, novantasei giorni dopo l’arrivo, i polacchi lasciarono Cuneo, salutati da una folla commossa: “Polacchi non vi diciamo addio - scriverà Vineis nel suo commiato - perché quando i Cuneesi penseranno a qualche cosa di magnanimo e di gentile, ricorderanno voi; non vi diciamo addio perché confidiamo che, sorgendo presto l’alba del riscatto, voi ritornerete pieni di gioia e liberi a salutare questi monti che ora dovete lasciare”.
Andrea Cascioli
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