Il giorno che Bene divenne Bene Vagienna e altre storie poco note della Granda
Nel 1862 un decreto impose il cambio di denominazione alla città augustea e ad altri 44 comuni cuneesi. Il motivo? C’erano troppi “doppioni” nella nuova Italia unitaÈ trascorso nel 2022 il 160esimo anniversario di un evento che ha a suo modo segnato la storia della provincia Granda, almeno sul piano della toponomastica. Si tratta della pubblicazione del regio decreto del 4 dicembre 1862, con il quale si accoglieva il cambio di denominazione di ben 45 comuni.
A sollecitare l’innovazione era stata una circolare del ministero dell’Interno datata al 30 giugno di quello stesso anno, relativa all’“Identità della denominazione di diversi Comuni”. Il neonato Regno d’Italia - la cui unificazione risaliva a poco più di un anno prima - si era posto il problema della coesistenza tra una quantità di centri abitati, prima appartenenti ai vari Stati della penisola, con un nome identico. Considerando che per introdurre il codice postale ci sarebbe voluto ancora più di un secolo, ce n’era abbastanza per far impazzire i postini, ma anche le autorità e i normali cittadini: basti pensare a quante località, dall’Alpe a Sicilia, condividono appellativi come “castelletto”, “villanova” o “torre”!
Se un terzo dei quasi ottomila comuni italiani ha un nome composto, ciò si deve in gran parte alla famosa circolare contro le omonimie, definite “spesso cagione di equivoci e d’imbarazzi così per i privati come per le pubbliche amministrazioni”. Il suggerimento ai “doppioni” era “se non di cangiare affatto la loro denominazione, almeno di farvi qualche aggiunta che si potrebbe desumere dalla speciale situazione di ciascun Comune, secondo che si trova in monte o nel piano, al mare o sovra un fiume o torrente”. Le amministrazioni, sollecitate dai prefetti, si adeguarono.
In provincia di Cuneo alcune “aggiunte” ebbero plurime manifestazioni: i toponimi “Piemonte” (aggregato a Bagnolo, Caramagna, Limone), “d’Alba” o “Albese”, “Langhe”, “Mondovì” e quelli ispirati ai corsi d’acqua, cioè i vari appellativi riferiti a Tanaro, Grana, Stura, Pesio, Macra (Maira) e così via. Tra il 1862 e il 1863 l’attuale Briga francese divenne Briga Marittima, le due Magliano furono ribattezzate Magliano Alpi e Magliano d’Alba (dal 1910 ridenominata Magliano Alfieri), le due Monasterolo si “sdoppiarono” tra Monasterolo Casotto e Monasterolo di Savigliano, San Michele Mondovì marcò la sua differenza da San Michele Prazzo (poi annessa a Prazzo in epoca fascista, assieme a Ussolo). Ci fu chi alla doppia denominazione preferì un parziale cambio di nome: perciò Torricella è ora Torresina, Morra è La Morra, Valloriate ha preso il posto di Valloria e Vicoforte quello di Vico.
Un caso a sé stante è quello di Bene Vagienna. Ne parla un volume intitolato “160 anni fa Bene diventò Bene Vagienna. Fu un errore storico?”, frutto della collaborazione tra il Centro Studi Piemontesi e l’associazione Amici di Bene, che raccoglie gli atti di un convegno del 2022. L’“errore” a cui si allude è appunto l’aggiunta del determinante “Vagienna”, un chiaro richiamo alla romana Augusta Bagiennorum e prima ancora alla tribù dei Liguri Bagienni o Vagienni, che abitarono quel territorio fin verso la metà del II secolo avanti Cristo. Prima del fatidico 1862 la città era identificata solo come Bene, forma volgarizzata del medievale Benne che richiama la stessa origine etnica. Una ridondanza inutile, si è poi sostenuto: lo studioso Francesco Ravera propose perciò la modifica in Bene di Piemonte o Bene Piemonte, stante l’esigenza di distinguerla dalla comasca Bene Lario.
“Non è stato un errore ma una scelta consapevole” risponde invece Attilio Offman, curatore del volume storico insieme a Gustavo Mola di Nomaglio e Michelangelo Fessia: “Siamo in pieno Risorgimento ed era considerato un aspetto di grande importanza storica e patriottica richiamare il ricordo dei Bagienni e delle origini romane”. Analoghi richiami “etnici” andavano per la maggiore soprattutto fra Abruzzo e Puglia: “In cima alla ‘hit parade’ troviamo i Sanniti, poi Bruzi, Dauni e altri popoli italici”. Il saggio di Offman, partendo da questo spunto, contiene una digressione erudita sui confini dell’antico territorio dei Bagienni, più tardi inglobato nella Regio IX Liguria sotto Augusto.
“Il territorio è abbastanza collocato, ma era molto probabilmente assai più vasto di quanto si pensi” sostiene lo storico. A suffragare questa ipotesi è un passo della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, dove si afferma che le sorgenti del Padus (il fiume Po) si trovassero in “finibus Ligurum Bagiennorum”, vale a dire ai confini del territorio dei Bagienni. Possibile che l’insigne naturalista e geografo, morto nell’eruzione di Pompei, avesse preso una cantonata? Per Offman non è così: lo prova la sua conoscenza del Po, dove afferma che il letto del fiume “riemerge” a Forum Vibii Caburrum (Cavour). Oggi noi sappiamo che la maggior portata del corso d’acqua da quel punto in poi si deve alla sua conformazione e non a un fenomeno carsico, ma questa era l’opinione diffusa tra gli antichi.
“È uno spunto - argomenta Offman - per qualche osservazione sulla collocazione dei Ligures, nell’elenco che Plinio il Vecchio redige superando i limiti della Regio IX Liguria: sono dieci popolazioni, tra cui appunto i Bagienni. C’è la tendenza ad attribuire ai Bagienni tutte le vallate occidentali della provincia di Cuneo: secondo me non è così, tutto il territorio della valle Stura e delle valli Gesso e Vermenagna a mio parere dovrebbe essere attribuito ai Turi e altre vallate ai Veneni”.
Quanto alla questione del nome, la conclusione è che “non si può chiedere agli storici di affrontare un compito che compete semmai agli amministratori. Se si sceglie Bene, si sceglie di ricordare la storia gloriosa di questa città fino al 1861. Se si sceglie Bene Vagienna si ricorda in particolare la temperie risorgimentale”.
Andrea Cascioli
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