Amore e morte nell’Africa italiana: il noir di Giorgio Ballario tra le ambe dell’Eritrea
“L’equivoco del sangue” è la nuova, attesissima indagine del maggiore Aldo Morosini. Giovedì alle 18 la presentazione con l’autore, all’Ippogrifo Bookstore di CuneoÈ un passato sbiadito in fretta, più delle fotografie che lo ricordano, quello del colonialismo italiano in Africa. Una “parentesi” durata in realtà oltre sessant’anni, nel corso dei quali migliaia di italiani e centinaia di migliaia di eritrei, somali, libici ed etiopi vissero e morirono, all’ombra del tricolore con la croce sabauda.
Di tutto ciò è rimasto poco o nulla nella coscienza collettiva nazionale. Più del senso di colpa per il passato coloniale - tema caldo per altri popoli europei, semmai - domina l’indifferenza. Per qualche motivo si tende anche a relegare l’intero arco storico alla sua fase finale, cioè il ventennio fascista, quando in realtà al regime si deve la sola conquista dell’Etiopia nel 1936. Tutte le altre imprese sono precedenti, compresa l’invasione della Libia nel 1911: ironia della sorte, la volle il moderato Giolitti e l’avversò Benito Mussolini, allora socialista massimalista, che fu pure arrestato durante le proteste contro la spedizione in quello che Gaetano Salvemini definiva un “cassone di sabbia” (il petrolio era di là da venire).
Alla stessa guerra italo-turca è legata anche l’acquisizione del Dodecaneso, poi amministrato per quasi un quindicennio da un diplomatico che di Giovanni Giolitti era addirittura compaesano, il peveragnese Mario Lago. Di lui abbiamo parlato tempo fa, ricordando come la sua opera fu molto apprezzata dalle comunità locali: in suo onore fu fondata la colonia agricola di Peveragno Rodio, oggi riconvertita in una base militare dell’esercito ellenico. Pagine di storia, ben più tragiche, erano già state scritte in Africa con il sangue di un altro peveragnese, il maggiore Pietro Toselli, caduto sull’Amba Alagi contro Menelik (lo ha menzionato Wilbur Smith in un suo romanzo), e poi ancora del generale saviglianese Giuseppe Arimondi, eroe di Adua. Nello stesso anno, il 1896, morì nella battaglia di Abba Garima il cuneese Secondo Solaro, cui è intitolata la passeggiata che porta all’ascensore panoramico.
A Giorgio Ballario, giornalista torinese e scrittore di noir, va il merito di aver riacceso l’interesse per le vicende dell’Africa italiana facendone lo sfondo di una delle saghe letterarie oggi più longeve, quella di Aldo Morosini. Padovano, arruolato nell’Arma dei carabinieri e poi nella Pai (la Polizia dell’Africa italiana), il maggiore Morosini è un investigatore tenace e poco incline alle manfrine politiche, animato soprattutto da un senso di giustizia che viaggia di pari passo con l’irrequietezza delle sue vicende sentimentali e familiari. Lo affianca una galleria di comprimari dai caratteri ben delineati, su tutti il maresciallo astigiano Eusebio Barbagallo, un “Watson” pieno di simpatia contadina, e lo sciumbasci Tesfaghì, il cui apporto come mediatore con gli indigeni si rivelerà fondamentale in più di un’occasione.
“L’equivoco del sangue”, settimo e finora ultimo capitolo delle indagini di Morosini, arriva due anni dopo l’uscita dell’avventura più “chandleriana” del maggiore, raccontata ne “Il prezzo dell’onore”. Morosini in quell’occasione aveva addirittura dovuto lasciare la divisa, colpito da accuse infamanti, per vestire i panni di addetto alla sicurezza in un locale notturno di Asmara dalla nomea ambigua. Questa volta, invece, il maggiore si troverà a indagare sull’efferato omicidio di Samya, domestica eritrea di una delle famiglie più in vista nella borghesia asmarina, i Bouchard. Siamo nel dicembre 1937, nell’imminenza dell’insediamento di Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, come vicerè d’Etiopia. L’indagine sui Bouchard, agrari di fede valdese, si intreccia ai sospetti del regime nei confronti delle missioni protestanti locali, accusate di offrire rifugio agli sciftà etiopi che organizzano la resistenza contro l’occupazione.
Il sangue a cui si allude nel titolo è quello delle vittime, ma anche dei legami misteriosi che uniscono tra loro i protagonisti. L’Asmara di quegli anni è descritta da un inviato de La Stampa, con divertito stupore, come “città senza donne”. Le donne però ci sono eccome: sono le eritree con cui molti italiani intrattengono a volte rapporti mercenari, altre volte invece autentiche relazioni sentimentali, in teoria proibite dalla legge contro il madamato ma in pratica tollerate, in silenzio, dalle autorità. Questa è l’indagine in cui Morosini si confronta più a fondo con le contraddizioni della mentalità coloniale, scoprendo verità del passato che faranno luce sugli accadimenti del presente. Ma nello stesso tempo, l’ufficiale della Pai è chiamato a riflettere sugli aspetti oscuri della storia italiana in Africa, come il massacro di Debra Libanòs. Odio e misericordia, amore e morte, uniti in un affresco dai colori vividi come in un tramonto sulle isole Dahlàc, o in un viaggio tra le foreste selvagge dell’Anseba, dove l’autore conduce i suoi lettori con una narrazione sapiente. Le letture di Seneca, un mantra per il protagonista, suonano come un richiamo a meditare sulla caducità del tempo: in pochi anni, anche il sogno di una “seconda Roma” africana finirà nella polvere, insieme a tante illusioni e a tante vite.
Giovedì 21 novembre alle ore 18 Giorgio Ballario sarà all’Ippogrifo Bookstore di Cuneo, in corso Nizza, per presentare l’ultimo libro e dialogare con i lettori.
Andrea Cascioli
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