Quando Annibale varcò le Alpi scendendo in valle Po con la sua armata
Da sempre il tema affascina gli storici: secondo alcune recenti ricerche il condottiero cartaginese marciò verso Roma attraverso il Colle delle TraversetteNon attraverso il Moncenisio, né per il Piccolo San Bernardo o per il Monginevro. Annibale avrebbe valicato le Alpi per attaccare Roma passando per il Colle delle Traversette, passo a 2.950 metri nel gruppo del Monviso, scendendo poi in valle Po. Difficile da immaginare, considerando i sentieri impervi di quel fazzoletto di montagna - sul versante italiano più che su quello francese, nella valle del Guil - ma soprattutto i 10-15 mila cavalli, i muli, i 37 elefanti e tutto l’equipaggiamento militare che l’armata guidata dal condottiero cartaginese portava con sé: eppure è questa, ad oggi, una delle ipotesi più accreditate su un’impresa che da sempre affascina gli storici e gli appassionati di storia.
Il passaggio delle Alpi da parte di Annibale e del suo esercito è collocato nel 218 avanti Cristo e rappresentò la fase iniziale delle ostilità della seconda guerra punica dopo la presa di Sagunto, nella penisola iberica (nell’attuale comunità autonoma di Valencia) da parte dei cartaginesi. Annibale iniziò la sua marcia verso Roma nel mese di maggio: l’obiettivo era combattere in territorio nemico, sorprendendo le forze romane prima che queste potessero attaccare direttamente Cartagine. Secondo gli storici il condottiero sperava inoltre di suscitare con la sua presenza in Italia una rivolta generale dei popoli italici, sottomessi al domino della Repubblica romana: cosa che effettivamente avvenne con le popolazioni celtiche di Boii e Insubri, nel nord Italia, che una volta scoperta l'avanzata cartaginese nei territori dell’attuale Francia (all’epoca Gallia transalpina) si ribellarono al dominio romano. Una situazione che obbligò i Romani a dirottare verso la pianura Padana le forze che si trovavano a Pisa, pronte all’imbarco verso la Gallia per bloccare l’avanzata cartaginese.
Nel frattempo Annibale, una volta attraversato il Rodano e sconfitta la tribù dei Volci, decise di non dirigersi verso l’Italia passando lungo la costa, ma attraversando le montagne, sicuro che allontanandosi dal mare sarebbe stato meno probabile uno scontro con i Romani. L’esercito cartaginese arrivò al cospetto delle Alpi intorno alla fine di settembre, senza subire particolari attacchi da parte delle popolazioni celtiche incontrate sulla sua strada, a differenza di quelle montanare, che avrebbero poi provato invano a opporre resistenza. Le truppe erano però profondamente segnate dal freddo (gli uomini di Annibale erano ormai abituati al sole della costa iberica), dalla fatica per la lunghissima marcia già affrontata e dai timori per la traversata che ancora le aspettava. Annibale giunse al valico per passare le Alpi dopo una marcia di nove giorni, occupando borghi e villaggi trovati sulla strada. L'esercito si fermò poi per due giorni, sorpreso anche da una nevicata caduta mentre si era ormai entrati in ottobre inoltrato. Secondo lo storico romano Tito Livio a rinfrancare l’esercito cartaginese, affaticato e ormai sull’orlo della disperazione per un’impresa che sembrava impossibile, sarebbe poi stata la vista del Po e della pianura Padana che si estendeva al di là delle Alpi, apparsa una volta arrivati nel punto più alto della traversata.
Qual era, però, quel valico? Il tema, come detto, affascina da sempre gli storici, da quelli dell’antichità come Livio e Polibio ai contemporanei. Il “giallo” è stato riacceso in epoca moderna anche da una contesa alimentata dal campanilismo: in tanti, insomma, hanno rivendicato il passaggio dell’esercito cartaginese nei propri territori a scopo turistico. Secondo i ricercatori di una collaborazione internazionale tra la Queen’s University di Belfast e la York University di Toronto la spedizione passò sul Colle delle Traversette. Una tesi che non si basa su voci o leggende, ma su ricerche e rilievi concreti, e che come detto in apertura è ritenuta la più attendibile ed accreditata dagli ambienti scientifici. Questo itinerario era già stato ipotizzato e reso noto agli specialisti del settore nel 2008, ma è solo nel 2016 che la teoria è stata ufficialmente diffusa, corredata di prove biologico-archeologiche raccolte durante ricerche sul campo iniziate nel 2014.
Nel mese di gennaio del 2016 i risultati sono stati resi pubblici dal responsabile delle ricerche, William Mahaney, direttore del gruppo di lavoro e Professore Emerito di Microbiologia alla Università di York di Toronto, nel primo numero della rivista archeologica Archaeometry. Il lungo resoconto è sintetizzato nel seguente riassunto: “Un ampio accumulo di feci mammifere nel sito alluvionale sulla parte superiore della valle del Guil vicina al Monviso, datata al 218 dal Carbonio 14, fornisce la prima attestazione del passaggio di un certo numero - sostanzioso ma non precisato - di mammiferi entro il periodo cronologico della invasione punica dell’Italia. […] I risultati riportati da tale scoperta costituiscono la prima prova chimica e biologica del passaggio di un vasto numero di mammiferi, praticamente indicante la strada dell’armata annibalica a quell’epoca”.
Il 3 aprile del 2016 ne ha poi dato ulteriore riscontro ufficiale Chris Allen, Docente Anziano di Microbiologia alla Queen’s University di Belfast, riportando sulla rivista scientifica telematica “The Conversation” la scoperta fatta: ad aiutare a localizzare il sito dove Annibale attraversò le Alpi era stato quindi il rinvenimento di una grande quantità di antichi batteri di sterco equino. Queste deduzioni erano conosciute già dal 2014, rivelate dalla Università di Dublino (DCU) in un rapporto che rimase però interno all’ambiente accademico, lontano dall’eco mediatica arrivata due anni dopo.
Sulla base dei due storiografi antichi più attendibili dell’epoca vicina agli avvenimenti punici (i già citati Polibio e Tito Livio) e degli altri numerosi studiosi moderni e contemporanei, l’analisi storica di Mahaney era giunta inizialmente a concentrarsi su tre possibili vie battute da Annibale e dal suo esercito: una settentrionale, attraverso il Moncenisio o il Colle Clapier; una seconda detta intermedia, tramite il Massiccio del Pelvoux e il Monginevro; infine il terzo itinerario, quello meridionale, tramite il Colle delle Traversette. La stima dei tempi di spostamento di un esercito equipaggiato in marcia per ciascuna di quelle vie, effettuata da Mahaney già nel 2004, lo aveva fatto poi propendere per l’adozione della strada meridionale come “l’itinerario più diretto per accedere all’Italia settentrionale dal bacino del Rodano”. Una conclusione, questa, basata anche sull’informazione polibiana secondo cui il comandante cartaginese “era disceso nelle pianure del Po, più in basso che lungo la Dora Riparia”. Altre condizioni topografico-geologiche determinanti avevano inoltre condizionato la scelta: l’analisi delle conformazioni rocciose alle Traversette effettuata da Mahaney già a partire dal 2010 aveva infatti rivelato fenomeni di ingente rovina artificiosa dei versanti montani, inducendo il professore canadese ad approfondire in quei luoghi il possibile uso umano di alcuni famosi sistemi per la sfaldatura forzata dei massi che ostruivano il passaggio a truppe e animali (indicati da Livio) tramite il loro riscaldamento col fuoco e la conseguente spaccatura violenta per mezzo di getti di aceto. Uno dei fattori decisivi, quest’ultimo, nello scegliere il sito dove condurre scavi di sondaggio più approfonditi per cercare tracce del passaggio di uomini.
Scavi dai quali è poi scaturito l’eccezionale rinvenimento, a circa 40 centimetri di profondità, di feci mammifere conservatesi nel tempo mediante i loro batteri. Materia organica rinvenuta in quantità massiccia, compatibile con il passaggio dell’imponente esercito di Annibale e non spiegabile secondo i ricercatori in condizioni normali, che le analisi datano al secondo secolo avanti Cristo, quello in cui si combattè la seconda guerra punica. I resti di escrementi sono stati ritrovati, peraltro, nei pressi di una zona paludosa, in cui presumibilmente all’epoca poteva trovarsi un lago, l’unico della zona in grado di abbeverare un grande numero di animali. Analisi genetiche hanno rivelato nel sito una prevalenza di Clostridia, batteri caratteristici delle feci equine. Minori quantità di questi microbi, il cui materiale genetico si conserva anche per migliaia di anni, sono state trovate anche in altri punti del valico.
La scoperta, pur rilevante dal punto di vista archeologico, non ha però contribuito a dirimere in maniera definitiva i dubbi sulla traversata di Annibale: c’è infatti chi ritiene che la teoria scaturita dai ritrovamenti si scontri con la realtà del sito, fatto di sentieri impervi sui quali il passaggio è proibitivo anche per un singolo mulo o per un singolo cavallo, quindi quasi impensabile per un esercito delle dimensioni di quello di Annibale, per i suoi equipaggiamenti e addirittura per degli elefanti. Per altri, invece, Annibale scelse di proposito un percorso meno battuto per evitare altri attacchi da parte delle popolazioni montanare, e proprio a causa dei ripidi pendii affrontati il suo esercito registrò durante la traversata ingenti perdite. Il dibattito, insomma, resta aperto.
Quel che è certo è ciò che accadde dopo, con l’arrivo dell’armata cartaginese nella penisola italiana. Una volta raggiunta la pianura, a circa venti giorni dall’inizio della marcia attraverso le Alpi, per l’esercito di Annibale arrivò il momento del vero riposo. Le truppe, stremate, erano state dimezzate: di 38 mila fanti e 8 mila cavalieri ne erano rimasti rispettivamente 20 e 6 mila (i numeri variano a seconda delle fonti), centinaia di cavalli erano stati travolti dalle valanghe, solo 21 elefanti su 37 sopravvissero (solo uno, secondo gli storici, superò poi il rigido inverno del nord Italia, ma anche in questo caso esistono versioni discordanti). Quando l’avanzata ricominciò, l’esercito cartaginese condusse alla resa in pochi giorni i Taurini e gli Insubri: combattimenti che provocarono il terrore nelle popolazioni limitrofe e nelle tribù celtiche della pianura, che decisero di affidarsi alla protezione dello stesso Annibale senza opporre resistenza. Gli scontri con le truppe romane iniziarono a nord del Po, dove il console Publio Cornelio Scipione aveva fatto convergere i propri uomini (molto più a nord di quanto Annibale avesse previsto). Il piano del condottiero cartaginese, in ogni caso, era riuscito: la sua inattesa offensiva costrinse Roma ad abbandonare precipitosamente i piani di attacco a Cartagine. Negli scontri l’esercito di Annibale ottenne nette vittorie prima sul Ticino e poi sul Trebbia, con le truppe romane che furono distrutte e i superstiti costretti a riparare verso l’odierna Piacenza. La seconda guerra punica si sarebbe conclusa solo sedici anni dopo, nel 202 avanti Cristo. Gli scontri terrestri si sarebbero protratti in Spagna, in Sicilia, in Sardegna, ma anche nei Balcani, in Grecia e in Africa. Dopo essere stata in un primo momento sorpresa dall’audace azione di Annibale Roma sarebbe poi riuscita a resistere, vincendo la guerra e assicurandosi il dominio su tutta l’area del Mediterraneo occidentale. Alcuni studiosi hanno definito la seconda guerra punica “la prima guerra mondiale dell’antichità”.
Andrea Dalmasso
CRISSOLO Annibale - Colle delle Traversette - Storia