Bartolomeo Vanzetti, il pescivendolo cuneese che divenne apostolo della libertà
Il 23 agosto 1927 negli Stati Uniti veniva eseguita la condanna dell’anarchico di Villafalletto, vittima con Nicola Sacco di uno dei più celebri casi di ingiustizia: solo dopo 50 anni la loro memoria verrà riabilitataÈ il tardo pomeriggio del 14 ottobre 1927 quando un corteo funebre attraversa le strade di Villafalletto, accompagnando la deposizione al cimitero di un’urna cineraria. Ci sono decine di villafallettesi, mancano però il podestà e il prete, che si era anche opposto alla tumulazione prima che questa venisse autorizzata dal vescovo di Fossano. Perché quella non è una sepoltura qualsiasi: è l’ultimo addio a Bartolomeo Vanzetti, le cui ceneri sono arrivate dall’America insieme a quelle di Nicola Sacco, compagno nelle lotte e nel tremendo caso di ingiustizia che renderà immortali i nomi dei due anarchici italiani.
Bartolomeo Vanzetti era nato nel paese della Granda l’11 giugno del 1888. È il primo dei quattro figli di Giovanni Battista, che gestisce una caffetteria e ha un passato da emigrante in California, e di Giovanna Nivello, una vedova già madre di un bimbo. Il piccolo ‘Tumlin’, come lo chiamano in famiglia, frequenta la scuola fino a 13 anni ma è poi indotto, come molti, a cercarsi un lavoro: lo trova a Cuneo, nella pasticceria Comino, poi da altri pasticceri a Cavour, a Cuorgnè e infine a Torino.
Nella capitale della nascente industria italiana rimarrà per due anni, tra il 1905 e il 1907, avvicinandosi al socialismo ‘deamicisiano’ dei compagni di lavoro. Quando torna in famiglia, colpito da una brutta pleurite, incontra i vecchi socialisti del paese tra i tavoli del caffè di suo padre e diventa un autentico agitatore. Ma la morte prematura della madre lo sconvolge, spingendolo a lasciare di nuovo Villafalletto per cercare fortuna a New York, dove sbarcherà nel giugno del 1908.
I primi anni nella ‘terra della speranza’ saranno tutt’altro che idilliaci per il ventenne cuneese. Bartolomeo è un gran lavoratore ma non tollera ingiustizie, e spesso si trova per questo costretto a cambiare lavoro e città. Come un avventuriero di Jack London viaggia da un posto all’altro offrendosi per qualsiasi mestiere. Con i pochi soldi messi da parte riuscirà infine ad acquistare un carretto da pescivendolo, poco tempo dopo la fine della Grande Guerra. Nel frattempo ha anche trascorso qualche mese in Messico, proprio per sfuggire all’arruolamento: lì ha conosciuto un altro italiano, Nicola Sacco (il cui vero nome era Ferdinando), emigrato da Torremaggiore in provincia di Foggia.
Vanzetti e Sacco continueranno a frequentarsi da buoni amici anche al ritorno negli Usa. Sono entrambi corrispondenti di Cronaca Sovversiva, un giornale edito dall’anarchico vercellese Luigi Galleani. Gli immigrati italiani, come Errico Malatesta, Aldino Felicani e lo stesso Galleani, sono infatti un'avanguardia nel movimento operaio americano, che attraversa un’evoluzione impetuosa in quegli anni ma va anche incontro a ondate di feroce repressione, specie dopo la rivoluzione russa.
Cosa sia per lui quell’America, il giovane militante lo racconta nelle lettere spedite a Villafalletto, raccolte negli anni Settanta nel volume biografico a cura di Aldo Gedda “Gridatelo dai tetti”: “Qui la giustizia pubblica è basata sulla forza e sulla brutalità, e guai allo straniero e in particolare l’italiano che voglia far valere la ragione con mezzi energici: per lui non ci sono che il bastone delle guardie, le prigioni, i codici penali. Non credere che l’America sia civile, ché nonostante non manchino grandi qualità nella popolazione americana e ancor più nella totalità cosmopolita, se gli levi gli scudi e l’eleganza del vestire trovi dei semibarbari, dei fanatici e dei delinquenti”. Questo Vanzetti scrive in una lettera spedita alla sorella Luigina il 12 gennaio 1911, senza ancora sapere quanto tali parole dovranno suonare per lui profetiche.
Le leggi sulla deportazione provocano l’espulsione di decine di migliaia di ‘sovversivi’ tra gli emigranti, mentre la più importante unione sindacale, l’Industrial Workers of the World di Eugene Debs, viene processata per ‘filogermanesimo’ durante la guerra. La stretta repressiva si fa ancora più forte in seguito, con i raid ordinati dal ministro della Giustizia Mitchell Palmer: in uno di questi, il 7 marzo 1920, viene arrestato dall’Fbi a New York l’anarchico Andrea Salsedo, operaio tipografo che collabora con Cronaca Sovversiva. Il suo caso offrirà a Dario Fo lo spunto per lo spettacolo Morte accidentale di un anarchico, subito dopo la morte di Giuseppe Pinelli. Anche Salsedo, infatti, precipiterà da una finestra dell’edificio in cui è detenuto in circostanze poco chiare.
La morte di Salsedo avviene il 2 maggio, in corrispondenza con l’inizio del ‘caso Sacco e Vanzetti’. Proprio quel giorno, infatti, ‘Bart’ si è diretto a Boston per far visita all’amico Nicola, che progetta di rientrare in Italia dopo la morte della madre. Dopo una riunione con i compagni, il 5 maggio, i due vengono trovati in possesso di armi illegali e arrestati da un poliziotto in borghese. Tre giorni più tardi il procuratore Frederick Katzmann li incrimina per un duplice omicidio avvenuto il 15 aprile a South Braintree, nel corso di una rapina.
Le prove a loro carico sono risibili, anche perché i due anarchici hanno alibi ineccepibili. Durante il processo un testimone afferma addirittura di aver capito che i rapinatori fossero “italiani o russi” dal modo in cui correvano. Vanzetti viene accusato anche di una precedente rapina, avvenuta alla vigilia di Natale, mentre lui era intento a vendere il pesce a decine di clienti che si presentano per scagionarlo. Nel corso del processo desta scandalo il cosiddetto ‘caso De Falco’: un’impiegata del tribunale di Dedham, Angelina De Falco, afferma a nome dell’avvocato Katzmann, fratello del procuratore che ha incriminato Sacco e Vanzetti, di poter ottenere la libertà per loro in cambio di 40mila dollari. Viene smascherata dal comitato che difende i due accusati, ma incredibilmente assolta dalla corte.
Nel frattempo il giudice Webster Thayer, che ha già ottenuto una prima condanna per rapina contro Vanzetti, fa di tutto per farlo condannare anche per gli omicidi. Ci riesce infine il 21 luglio 1921, ottenendo un verdetto di morte dalla giuria popolare. Dal carcere Bartolomeo non smette di gridare la sua innocenza alla famiglia e al mondo intero: “Non tenete celato il mio arresto. - raccomanda al padre - No, non tacere, io sono innocente e voi non dovete vergognarvi. Non tacete ma gridate sui tetti, a tutti, del delitto che si trama al mio danno”. Per i due reclusi si mobilitano le masse e gli intellettuali nel mondo intero: in una delle ultime lettere, Vanzetti stimerà in 50 milioni le persone che nel mondo si sono mosse a suo favore con appelli e petizioni. Perfino Benito Mussolini, dall’Italia, attiva l’ambasciata di Washington e il console a Boston per ottenere una revisione del processo o la grazia. Le mozioni al tribunale si susseguono finché arriva un incredibile colpo di scena: il detenuto portoghese Celestino Madeiros, già condannato a morte, confessa di aver preso parte alla rapina di South Braintree e scagiona Sacco e Vanzetti.
Ma non basta nemmeno la confessione a salvare chi si vuole colpevole. Cadute tutte le mozioni, il 9 aprile 1927 il giudice Thayer procede alla comminazione della pena: “Sono tanto convinto di essere nel giusto - afferma Vanzetti davanti a colui che lo sta condannando a morte - che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora”. L’esecuzione sulla sedia elettrica, rinviata due volte, viene messa in atto pochi minuti dopo la mezzanotte del 23 agosto 1927: “Desidero ora perdonare certe persone per ciò che mi stanno facendo” dirà il condannato al direttore del carcere Hendry, che in lacrime lo guarda salire sul patibolo.
Toccherà a Luigina Vanzetti il triste compito di riportare le ceneri del fratello e di Nicola Sacco in Italia: “Volli un tetto per ogni famiglia, un pane per ogni bocca, una educazione per ogni cuore, la luce per ogni intelletto” aveva scritto Bartolomeo nella sua autobiografia in carcere. Cinquant’anni dopo, alla presenza della sorella più giovane Vincenza, anche il suo paese ne celebrerà la memoria dopo la riabilitazione.
Andrea Cascioli
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