Andrea da Busca agli States
Assistant Professor fa ricerca sul cancro
Nel nostro viaggio alla ricerca di buschesi all’estero ci accorgiamo dai loro racconti che non è tutto così semplice, soprattutto all’inizio. Oggi vi presentiamo Andrea Bonetto, volato negli Stati Uniti dove si occupa di ricerca sul cancro.
Parlaci di te, dove sei nato e cresciuto?
Sono nato a Saluzzo, cresciuto a Busca, ho frequentato il Liceo Scientifico Peano a Cuneo, conseguito la laurea in Biotecnologie a Torino, Dottorato in Patologia a Torino, lavorato per un anno al Gaslini di Genova facendo ricerca su distrofia muscolare. Ho un fratello maggiore ingegnere che vive a Torino, mamma risiede e lavora a Busca, papà è deceduto in un incidente nel 2010.
In quale momento e cosa ti ha spinto a partire? Perché hai scelto gli Stati Uniti? (dove sei etc)? Dopo un anno a Genova passato a lottare con la solita mancanza di meritocrazia all’italiana ho deciso di partire per fare ricerca negli Stati Uniti, dove ci sono più opportunità lavorative e dove fare il ricercatore è considerato un lavoro serio e relativamente ben retribuito. Nel febbraio 2010 sono partito da solo con le mie due valigie e mi sono trasferito a Miami, dove avevo ottenuto un contratto di lavoro come Postdoc alla University of Miami. A quei tempi vivevo a Miami Beach: bella vita, sempre estate, spiaggia e relax al di fuori del lavoro (anche se si lavorava moltissimo rispetto all’Italia!). Nell’estate del 2011, dopo circa un anno e mezzo, il mio capo si è trasferito a Philadelphia e ho deciso di seguirla. Ho vissuto a Philadelphia per due anni esatti, lavorando alla Thomas Jefferson University. Philadelphia è una bella città, cosmopolita, molti musei, ottimi ristoranti, un buon quartiere italiano dove acquistare prodotti autentici, a poche ore di viaggio da New York o Washington. Nel 2013 il mio capo si è nuovamente trasferito e dopo un breve periodo sono stato promosso ad Assistant Professor presso la Indiana University di Indianapolis (dove vivo da quasi 4 anni). Indianapolis è una città di media grandezza, molto americana, non il massimo della vita, molto fredda in inverno (le temperature possono anche arrivare a -20/-30 gradi).
La tua famiglia ti ha appoggiato fin da subito? Sì decisamente, non hanno mai cercato di farmi cambiare idea sapendo che sono sempre stato un viaggiatore. Mio nonno era nato negli USA e sono cresciuto col mito dell’America. Inoltre abbiamo parenti abbastanza vicini nel Michigan ed in California. Parlaci di questa tua esperienza. Sono Assistant Professor, l’equivalente di una posizione da Ricercatore Universitario in Italia. Mi occupo di ricerca sul cancro, in particolare degli effetti collaterali della chemioterapia e cerco di identificare terapie per abbattere tale tossicità e migliorare la qualità della vita del paziente. Oggigiorno passo la maggior parte del tempo in ufficio, scrivo articoli (da pubblicare su riviste scientifiche) e soprattutto preparo progetti e richieste di finanziamento (qui, a differenza dell’Italia, lo stato non regala soldi a pioggia a tutti, ma bisogna sudarseli… il sistema è molto competitivo e stressante). Spesso ho meetings e conferenze, devo presentare dati, presenziare a incontri con collaboratori. Inoltre a volte ho anche incarichi didattici (devo fare lezione agli studenti). Al momento ho un tecnico di laboratorio che lavora con me nel mio laboratorio, presto ci sarà un postdoc che seguirà un progetto sotto la mia guida, oltre a due studentesse per una esperienza di ricerca di alcuni mesi, per cui sarò anche impegnato nel loro training. In base a quanti finanziamenti sarò in grado di ottenere, potrò assumere altro personale. Inoltre, il sistema americano prevede che in base all’ammontare di tali finanziamenti ed alla qualità del curriculum vitae si possa ambire a posizioni migliori e promozioni. Nel mio caso spero di potermi trasferire altrove, in qualche città più dinamica e vitale. I ritmi sono molto intensi e la pressione è molta, spesso si lavora anche 10-12 ore al giorno, sette giorni la settimana (specialmente quando ci sono scadenze da rispettare). Tuttavia ho la possibilità di viaggiare per lavoro (per andare a conferenze scientifiche) e quando il lavoro lo permette amo saltare sul primo aereo e andare alla scoperta di nuovi posti o a trovare amici altrove (che, grazie anche ai miei vari spostamenti ed al fatto che gli scienziati sono una comunità nomade, sono sparsi un po’ dovunque negli USA). Nonostante gli impegni, ancora trovo il tempo di cucinare… spesso cerco di mantenere le tradizioni culinarie italiane (nonostante sia difficile trovare gli ingredienti ad Indianapolis).
Raccontaci un episodio particolare vissuto ad oggi. Uno solo in questi 7 anni è difficile ne scelgo tre: il viaggio nel deserto dell’Arizona per visitare Death Valley, Gran Canyon and Monument Valley: paesaggi unici al mondo; l’ultimo lancio dello space shuttle da Cape Canaveral in Florida (8 luglio 2011): una lunga attesa nel traffico per pochi secondi di azione (ma pur sempre un evento storico!); la foto con Francesco Totti, incontrato per caso a Miami Beach.
La maggior difficoltà dei primi periodi? Le difficoltà iniziali sono state enormi, soprattutto perché, almeno nel mio caso, ero da solo, non conoscevo nessuno e non conoscevo la città. Ho passato le prime due settimane in un residence a Miami e nel frattempo cercavo di capire come sopravvivere o risolvere problemi apparentemente semplici come trovare casa, allacciare la corrente elettrica, avere una connessione internet, aprire un conto in banca spostarmi da un punto all’altro della città (i mezzi pubblici non sono molto efficienti in America), fare la spesa. Dopo aver iniziato a lavorare fortunatamente ho conosciuto altre persone, molti Italiani e cittadini europei, spesso nella stessa situazione o con simili esperienze, che sono diventati una seconda famiglia o una sorta di comunità di supporto che ha reso tutto più semplice. È stata una esperienza molto difficile, ma posso dire che grazie a tutto ciò che ho imparato in quei primi due mesi, i miei successivi traslochi a Philadelphia e poi a Indianapolis, sono stati una passeggiata.
Cosa ti manca di Busca? Come mantieni i contatti con l’Italia? Di Busca e dell’Italia ovviamente mi mancano, oltre ad amici e famiglia, il cibo buono (in particolare i salumi, formaggi e la vera pizza!), i ritmi più rilassati e la minor competizione sul lavoro, e la bellezza delle nostre città. L’America é un gran posto dove crescere lavorativamente, con infinite possibilità e incomparabili bellezze naturali e città moderne, ma anche tanti problemi (razzismo, divario tra classi sociali, mancanza di educazione, sistema sanitario migliorabile e troppo costoso). Mantengo i contatti grazie ad Internet: Skype, Facebook, Whatsapp.
Qualche consiglio a chi volesse seguire un percorso simile al tuo? È una esperienza unica, che non capita a chiunque… per chi volesse provare il consiglio è di chiarirsi le idee e, una volta deciso, partire senza avere paura… non ci saranno rimpianti, tanto più che si può sempre tornare indietro! In particolare nel mio settore, nonostante tutte le difficoltà e i sacrifici, i vantaggi di lavorare in questo Paese sono comunque moltissimi rispetto all’Italia. Si é rispettati, si guadagna bene (non benissimo, se paragonato ad altri mestieri: la scienza é comunque sottopagata anche qui!), si ha molta flessibilità e si può fare carriera in fretta se si è bravi e/o fortunati. Ovviamente bisogna lavorare sodo e rimboccarsi le maniche, senza piangersi addosso (come spesso si fa in Italia).
Davvero interessante l’esperienza di vita del nostro concittadino Andrea.
Parlaci di te, dove sei nato e cresciuto?
Sono nato a Saluzzo, cresciuto a Busca, ho frequentato il Liceo Scientifico Peano a Cuneo, conseguito la laurea in Biotecnologie a Torino, Dottorato in Patologia a Torino, lavorato per un anno al Gaslini di Genova facendo ricerca su distrofia muscolare. Ho un fratello maggiore ingegnere che vive a Torino, mamma risiede e lavora a Busca, papà è deceduto in un incidente nel 2010.
In quale momento e cosa ti ha spinto a partire? Perché hai scelto gli Stati Uniti? (dove sei etc)? Dopo un anno a Genova passato a lottare con la solita mancanza di meritocrazia all’italiana ho deciso di partire per fare ricerca negli Stati Uniti, dove ci sono più opportunità lavorative e dove fare il ricercatore è considerato un lavoro serio e relativamente ben retribuito. Nel febbraio 2010 sono partito da solo con le mie due valigie e mi sono trasferito a Miami, dove avevo ottenuto un contratto di lavoro come Postdoc alla University of Miami. A quei tempi vivevo a Miami Beach: bella vita, sempre estate, spiaggia e relax al di fuori del lavoro (anche se si lavorava moltissimo rispetto all’Italia!). Nell’estate del 2011, dopo circa un anno e mezzo, il mio capo si è trasferito a Philadelphia e ho deciso di seguirla. Ho vissuto a Philadelphia per due anni esatti, lavorando alla Thomas Jefferson University. Philadelphia è una bella città, cosmopolita, molti musei, ottimi ristoranti, un buon quartiere italiano dove acquistare prodotti autentici, a poche ore di viaggio da New York o Washington. Nel 2013 il mio capo si è nuovamente trasferito e dopo un breve periodo sono stato promosso ad Assistant Professor presso la Indiana University di Indianapolis (dove vivo da quasi 4 anni). Indianapolis è una città di media grandezza, molto americana, non il massimo della vita, molto fredda in inverno (le temperature possono anche arrivare a -20/-30 gradi).
La tua famiglia ti ha appoggiato fin da subito? Sì decisamente, non hanno mai cercato di farmi cambiare idea sapendo che sono sempre stato un viaggiatore. Mio nonno era nato negli USA e sono cresciuto col mito dell’America. Inoltre abbiamo parenti abbastanza vicini nel Michigan ed in California. Parlaci di questa tua esperienza. Sono Assistant Professor, l’equivalente di una posizione da Ricercatore Universitario in Italia. Mi occupo di ricerca sul cancro, in particolare degli effetti collaterali della chemioterapia e cerco di identificare terapie per abbattere tale tossicità e migliorare la qualità della vita del paziente. Oggigiorno passo la maggior parte del tempo in ufficio, scrivo articoli (da pubblicare su riviste scientifiche) e soprattutto preparo progetti e richieste di finanziamento (qui, a differenza dell’Italia, lo stato non regala soldi a pioggia a tutti, ma bisogna sudarseli… il sistema è molto competitivo e stressante). Spesso ho meetings e conferenze, devo presentare dati, presenziare a incontri con collaboratori. Inoltre a volte ho anche incarichi didattici (devo fare lezione agli studenti). Al momento ho un tecnico di laboratorio che lavora con me nel mio laboratorio, presto ci sarà un postdoc che seguirà un progetto sotto la mia guida, oltre a due studentesse per una esperienza di ricerca di alcuni mesi, per cui sarò anche impegnato nel loro training. In base a quanti finanziamenti sarò in grado di ottenere, potrò assumere altro personale. Inoltre, il sistema americano prevede che in base all’ammontare di tali finanziamenti ed alla qualità del curriculum vitae si possa ambire a posizioni migliori e promozioni. Nel mio caso spero di potermi trasferire altrove, in qualche città più dinamica e vitale. I ritmi sono molto intensi e la pressione è molta, spesso si lavora anche 10-12 ore al giorno, sette giorni la settimana (specialmente quando ci sono scadenze da rispettare). Tuttavia ho la possibilità di viaggiare per lavoro (per andare a conferenze scientifiche) e quando il lavoro lo permette amo saltare sul primo aereo e andare alla scoperta di nuovi posti o a trovare amici altrove (che, grazie anche ai miei vari spostamenti ed al fatto che gli scienziati sono una comunità nomade, sono sparsi un po’ dovunque negli USA). Nonostante gli impegni, ancora trovo il tempo di cucinare… spesso cerco di mantenere le tradizioni culinarie italiane (nonostante sia difficile trovare gli ingredienti ad Indianapolis).
Raccontaci un episodio particolare vissuto ad oggi. Uno solo in questi 7 anni è difficile ne scelgo tre: il viaggio nel deserto dell’Arizona per visitare Death Valley, Gran Canyon and Monument Valley: paesaggi unici al mondo; l’ultimo lancio dello space shuttle da Cape Canaveral in Florida (8 luglio 2011): una lunga attesa nel traffico per pochi secondi di azione (ma pur sempre un evento storico!); la foto con Francesco Totti, incontrato per caso a Miami Beach.
La maggior difficoltà dei primi periodi? Le difficoltà iniziali sono state enormi, soprattutto perché, almeno nel mio caso, ero da solo, non conoscevo nessuno e non conoscevo la città. Ho passato le prime due settimane in un residence a Miami e nel frattempo cercavo di capire come sopravvivere o risolvere problemi apparentemente semplici come trovare casa, allacciare la corrente elettrica, avere una connessione internet, aprire un conto in banca spostarmi da un punto all’altro della città (i mezzi pubblici non sono molto efficienti in America), fare la spesa. Dopo aver iniziato a lavorare fortunatamente ho conosciuto altre persone, molti Italiani e cittadini europei, spesso nella stessa situazione o con simili esperienze, che sono diventati una seconda famiglia o una sorta di comunità di supporto che ha reso tutto più semplice. È stata una esperienza molto difficile, ma posso dire che grazie a tutto ciò che ho imparato in quei primi due mesi, i miei successivi traslochi a Philadelphia e poi a Indianapolis, sono stati una passeggiata.
Cosa ti manca di Busca? Come mantieni i contatti con l’Italia? Di Busca e dell’Italia ovviamente mi mancano, oltre ad amici e famiglia, il cibo buono (in particolare i salumi, formaggi e la vera pizza!), i ritmi più rilassati e la minor competizione sul lavoro, e la bellezza delle nostre città. L’America é un gran posto dove crescere lavorativamente, con infinite possibilità e incomparabili bellezze naturali e città moderne, ma anche tanti problemi (razzismo, divario tra classi sociali, mancanza di educazione, sistema sanitario migliorabile e troppo costoso). Mantengo i contatti grazie ad Internet: Skype, Facebook, Whatsapp.
Qualche consiglio a chi volesse seguire un percorso simile al tuo? È una esperienza unica, che non capita a chiunque… per chi volesse provare il consiglio è di chiarirsi le idee e, una volta deciso, partire senza avere paura… non ci saranno rimpianti, tanto più che si può sempre tornare indietro! In particolare nel mio settore, nonostante tutte le difficoltà e i sacrifici, i vantaggi di lavorare in questo Paese sono comunque moltissimi rispetto all’Italia. Si é rispettati, si guadagna bene (non benissimo, se paragonato ad altri mestieri: la scienza é comunque sottopagata anche qui!), si ha molta flessibilità e si può fare carriera in fretta se si è bravi e/o fortunati. Ovviamente bisogna lavorare sodo e rimboccarsi le maniche, senza piangersi addosso (come spesso si fa in Italia).
Davvero interessante l’esperienza di vita del nostro concittadino Andrea.
Roberta Bima
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