Cercava un pezzo di storia, ma ha trovato un film dimenticato: l'incredibile storia di 'Sogno d'Amore'
Anni fa un uomo raccontò a un giovane dell'esistenza di immagini dell'eccidio di Boves del '43. Quando anni dopo vennero ritrovati dei negativi quest'ultimo fantasticò, ma...Correva l’anno 1988 quando un testimone oculare dell’eccidio di Boves raccontò al giovane documentarista Sandro Gastinelli che il 19 settembre 1943 un uomo aveva ripreso le fasi che precedettero la strage dal balcone dell’Albergo Cernaia. Un girato che, se ritrovato, sarebbe una scoperta dal grande valore storico: com’è tristemente noto quel giorno i nazisti appiccarono il fuoco a più di trecento abitazioni e trucidarono 25 innocenti.
“Quelli della mia generazione hanno studiato parecchio quei fatti”, racconta Gastinelli, che oggi di anni ne ha 53 e la scorsa estate ha affiancato alla sua carriera di regista e cameraman la gestione di un locale a Rosbella, frazione di Boves, aperto insieme alla famiglia: “In quegli anni lavoravo per Telecupole, era la mia prima esperienza lavorativa. Eravamo in Liguria per realizzare una puntata di una trasmissione che parlava di gastronomia condotta da Raoul Molinari. Eravamo ad Alassio, intervistammo un signore. Si chiamava Gibì Besio, immagino Giovanni Battista. Era avanti con gli anni già all’epoca, poteva averne a occhio e croce 65, non so se oggi sia ancora vivo. Sapendo che ero di Boves mi raccontò quel che aveva visto. Il giorno dell’eccidio Besio alloggiava all’albergo Cernaia, era un villeggiante: mi rimase impresso il momento in cui mi disse di avere vicino un uomo che armeggiava con una cinepresa e aveva documentato l’accaduto”. Quel dettaglio colpì il giovane Gastinelli: “Avevo appena iniziato il mestiere, questa cosa mi incuriosì. Di certo mi sembrò subito verosimile, supposizione confermata dal fatto che una decina di fa uscì su YouTube un filmato che riprendeva Boves con un 16 mm già nel 1936”.
A caricare quelle immagini di Boves nel ventennio fascista ‘sul tubo’ è stato un italoamericano, Mario Grigni, che all’epoca delle riprese era un bambino. A girarle era stato suo zio Joe Dolza, uomo d’affari attivo tra Torino e il Basso Piemonte con la passione per le macchine da presa, ma torniamo a Besio: l’uomo raccontò con dovizia di particolari quel che aveva visto e il dettaglio di quei negativi andati perduti solleticò la fantasia di Gastinelli. Non diamo però per scontato che tutti i nostri lettori conoscano la vicenda di cui stiamo parlando e facciamo dunque un passo indietro.
LA FURIA NAZISTA SI ABBATTE SU BOVES
Il 19 settembre 1943, quando erano trascorsi undici giorni dall’annuncio dell’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile firmato da Pietro Badoglio con gli Alleati, a Boves si era appena costituita una delle prime formazioni partigiane italiane: un reparto di militari comandati dall'ufficiale Ignazio Vian. A lui nel dopoguerra verrà dedicata la caserma di San Rocco Castagnaretta, che oggi ospita il II° Reggimento Alpini. In quei giorni il paese e le truppe sparse in giro sui vari fronti erano piombate nel caos, mentre il generale e Vittorio Emanuele II si erano diretti a Bari, sul territorio controllato dagli alleati. “Ti ricordi la fuga ingloriosa con il re, verso terre sicure, siete proprio due sporche figure, meritate la fucilazion”, recitava la canzone satirica “La Badoglieide” composta dallo scrittore cuneese Nuto Revelli e altri membri di Giustizia e Libertà.
Come detto alcuni partigiani rifugiatisi all’ombra della Bisalta avevano iniziato un’azione di resistenza contro le truppe tedesche, fino a poche settimane prima alleate dei soldati italiani, ma che a quel punto controllavano il territorio da occupanti. Tutto ebbe origine quando il gruppo di Vian prese in ostaggio due soldati teutonici di passaggio nel centro di Boves.
In tutta risposta le SS, comandate dall'Oberführer Theodor Wisch e dal Capitano Joachim Peiper, occuparono Boves e convocarono immediatamente il parroco, don Giuseppe Bernardi, insieme al commissario della Prefettura, che risultò irreperibile e venne rimpiazzato dall’industriale ingegner Antonio Vassallo, uomo stimato dai suoi compaesani. Ai due venne chiesto di fare da tramite presso i partigiani, chiedendo la restituzione degli ostaggi e minacciando la rappresaglia sulla città. Una lunga trattativa, preceduta da schermaglie tra soldati tedeschi e patrioti nelle quali perse la vita un militare dell’esercito occupante, portò alla liberazione dei due ostaggi, ma i nazisti non rispettarono gli accordi e decisero di vendicare la morte del soldato ucciso colpendo la popolazione civile.
Misero a ferro e fuoco il paese massacrando 25 persone. Gli invasori non risparmiarono nemmeno i sacerdoti don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo, oltre all’industriale Vassallo. Nei mesi successivi Boves, martoriata dalla guerra, subì un altro eccidio nel quale perirono 59 persone, ma per efferatezza e metodo il primo è tragicamente rimasto nella memoria collettiva, passando alla storia come il primo massacro nazista sul territorio italiano.
BOVES BRUCIA, MA LA CASA DI BERRINI È SALVA
Per comprendere a fondo tutta la vicenda è necessario fare ancora una piccola deviazione sulla strada della storia. Il 19 settembre 1943 a Boves furono incendiate 350 case, compresa la sede municipale di piazza Italia, ma molte abitazioni si salvarono. Una di questa ultime era la villa di Nino Berrini.
Quella del regista e drammaturgo che nelle sue opere - ‘Il Beffardo’ la più nota, ma si ricordano anche ‘Francesca da Rimini’ e ‘Il Tramonto di un re’- tentava di coniugare l’estetismo dannunziano con il teatro tardo ottocentesco è una vicenda che vale la pena raccontare, anche se va detto che non ci sono riscontri e fino a prova contraria si tratta di un pettegolezzo messo in giro da qualche malelingua, o poco più.
Dopo l’ordine tedesco di bruciare la città Berrini era preoccupato per la sua incolumità e per la sorte della casa in cui abitava, fatta costruire da suo padre, importante banchiere. In quei momenti concitati gli venne in mente di essere in possesso di un salvacondotto che i militari tedeschi non potevano ignorare. Si trattava di un un ritaglio di giornale che raccontava della reazione di Adolf Hitler alla lettura di un suo scritto. Secondo l’articolo il Führer si era speso in elogi per l’autore. Quel trafiletto, mostrato al comandante nazista, consentì al giornalista di avere salva la vita e la casa.
Carattere spigoloso e incline a comportamenti sopra le righe, dopo la seconda guerra mondiale tentò anche il romanzo, pubblicando nel 1946 “Il villaggio messo a fuoco”, che narra vicende della Resistenza e dell'occupazione tedesca, e abbozzandone un altro mai portato a termine, “Quelli della Bisalta”. Trascorse gli ultimi anni nella villa paterna, curando, da appassionato cinofilo, il suo allevamento di bracchi, e scrivendo. Morirà nel 1962. Nel testamento lasciò una cifra consistente per dar vita alla Fondazione che oggi porta il suo nome, donando la casa al Comune con il desiderio che fosse legata ad azioni culturali.
LA RISCOPERTA DEI NEGATIVI
Torniamo sulla carreggiata principale del nostro racconto. Precisamente al 1999, quando il ‘nostro’ Gastinelli venne a conoscenza del ritrovamento di alcuni negativi proprio nello scantinato della villa di Nino Berrini da un esponente dell’amministrazione comunale di Boves. La sua mente andò dritta alla testimonianza di Gibì Besio: “E se lì dentro ci fossero le immagini riguardanti i momenti che precedettero l’eccidio?”. Il documentarista si recò alla villa del drammaturgo.
"A metà della rampa di scale che conducevano nei sotterranei avevano trovato delle scatole di ferro che sembravano contenere vecchie pellicole cinematografiche - Gastinelli racconta come se i fatti fossero accaduti ieri -. Alcuni lembi erano usciti, qualcuno ci aveva addirittura camminato sopra”. “Caspita, pensai, e se fosse davvero quella roba là? Raccolsi le 12 bobine e mi presi l’incarico dal Comune di Boves di capire cosa ci fosse dentro. Immaginavo che avrebbero comunque avuto bisogno di un importante restauro”.
L’occhio esperto del regista capì rapidamente che il contenuto della pellicola non era quello da lui ipotizzato, in quanto sopra era riportata una scritta: “Sogno d’Amore (Viralba film società anonima di Roma)”. Fu comunque una scoperta clamorosa.
IL FILM “SOGNO D’AMORE” TORNA A VIVERE
Si trattava di ‘Sogno d’amore’, un girato fino ad allora creduto perduto del regista Ferdinando Maria Poggioli. Oggetto di pettegolezzi a causa di un’omosessualità mai nascosta ma mai dichiarata, Poggioli conobbe la consacrazione come regista nel 1940 con il film ‘Addio giovinezza’, che lo affiancò al livello di altri registi calligrafici come Mario Soldati. Antifascista, era sceso a compromessi con il regime per continuare a vivere di cinema, ma quando scoppiò la guerra civile, piuttosto che recarsi a Salò, lasciò ‘Sogno d’Amore’ incompiuto. Poggioli morì la notte del 2 febbraio 1945, a soli 47 anni, a causa di un’esalazione di gas in casa, ma per qualche tempo si rincorsero le ipotesi di suicidio e omicidio a scopo di rapina.
Una curiosità? Le riprese del subirono numerosi rallentamenti a causa delle bizze dell’attrice protagonista: Miriam di San Servolo - al secolo Maria Petacci, sorella minore della più conosciuta Claretta, “amante ufficiale” di Benito Mussolini. Molto attiva nel ventennio, dopo la caduta del fascismo proseguì la carriera cinematografica in Spagna con lo pseudonoimo di Miriam Day, ma non ebbe grandi fortune.
LA RICERCA E IL RESTAURO
Tutto questo Gastinelli non poteva saperlo. Lo scoprì a stretto giro di posta grazie a una corrispondenza con un giornalista di Gorizia, Sandro Scandolara, conosciuto a un festival cinematografico. Fu lui, a inizio millennio, a fargli il nome della Cineteca del Friuli di Gemona, alla quale si rivolse su incarico del Comune di Boves per il restauro e la valorizzazione dell’opera. Ne nacque una fruttuosa collaborazione con il direttore Livio Jacob, che portò, a 13 anni dal ritrovamento - nel 2012 - alla prima proiezione dei trenta minuti di film portati in salvo grazie al lavoro della Cineteca. La proiezione si svolse all'interno del Premio Amidei, riconoscimento cinematografico dedicato all’omonimo sceneggiatore, che viene consegnato a Gorizia dal 1981.
CHE COSA CI FACEVA L’ORIGINALE DEL FILM A BOVES?
Un lieto fine? Più o meno, perché resta da capire che cosa ci facesse la copia originale del film a casa di Berrini. Nel duemila, mentre aveva affidato il girato alla Cineteca del Friuli per il restauro, Gastinelli si occupò di rispondere all’interrogativo. Il suo compito fu più semplice del previsto in quanto Berrini era un grafomane meticoloso e in vita custodì gran parte della sua corrispondenza. A facilitare ancora il lavoro di ricerca fu un’opera di catalogazione interna alla biblioteca civica di Boves effettuata a metà anni ’90 dall’allora laureanda in Lettere Laura Corpore.
Gastinelli ritrovò così la corrispondenza tra Berrini e Alexander Wataghin - datata 1920 -, dalla quale s’intuisce che i due avevano a che fare con la proprietà dei diritti d’autore della versione italiana di una commedia in quattro atti scritta in russo da Giovanni Kossorotoff. Quest’ultimo, originario di San Pietroburgo, morì suicida nel 1913 all’età di 39 anni a Terrioki, una piccola stazione climatica sul Baltico. Scrisse diverse commedie, inutile aggiungere che quella che interessa a noi si chiama ‘Sogno d’Amore”, che sarà messa in scena solamente dopo sua morte ed ebbe un grande successo.
“Il pubblico e la critica l’hanno incontrata con uguale entusiasmo” scrive l’attrice Ada Poliakow a Wataghin. La commedia piace in Russia, ma anche in Europa: a curarne la versione e riduzione italiana e ad acquisirne i diritti sono gli stessi Berrini e Wataghin. Nel 1940, a una ventina d’anni dalle prime corrispondenze in cui viene citata l’opera, viene addirittura stipulato un contratto per la diffusione della commedia nei teatri del Sudamerica. Nel ’43 Berrini viene a sapere da un amico che c’è una casa produttrice interessata a realizzarne una versione cinematografica e, non essendo stato contattato da nessuno, s’inalbera: “Non possono far nulla, il lavoro è mio. Per derivarne un soggetto non possono presentare che il mio testo, che è l’unico pubblicato in tutto il mondo. Facciano pure, pagheranno i danni poi”.
Berrini prosegue nella sua battaglia, facendo scrivere una diffida da un avvocato al regista Poggioli e ai vertici della Viralba Film. Di qui ingaggia una lunga battaglia legale che vincerà nel 1947, quando caduto il fascismo e svaniti gli appoggi economici del Minculpop, la Viralba fallirà sommessamente. I negativi del film erano in possesso della Polizia di Frontiera spagnola, in quanto Miriam di San Servolo aveva tentato di portarli con sé nella sua nuova vita nella penisola iberica, ma se li era visti sequestrare al confine. Berrini ne entrerà in possesso l’anno successivo.
IL FINALE È APERTO
Anche questo aspetto è stato chiarito, ma la storia potrebbe proseguire, in quanto Gastinelli ha ancora un cruccio: “Se su internet si ricerca Sogno d’Amore non esce fuori in nessun modo il nome di Nino Berrini. Questa cosa mi turba perché aveva passato vent’anni a cercare di rivendicare la paternità della versione italiana, mi piacerebbe rimettere le cose al loro posto. Una sfumatura? Forse, ma per uno come me, geloso delle cose che fa, è un dovere morale”, afferma sorridendo.
Oggi, come anticipato, Gastinelli gestisce un locale a Rosbella, la “RosBettola”: “La nostra mission è anche fare cultura e mi piacerebbe raccontare questa storia. Sono in contatto con Fausta, nipote di Nino Berrini, e vorrei organizzare un evento per presentare la ricerca, proiettando ciò che rimane del film e leggendo qualche brano di ‘Sogno d’Amore’. Si potrebbe anche tracciare un ritratto di Poggioli, regista semi-dimenticato. In tutto questo vorrei coinvolgere l’amministrazione di Boves, so che avrebbe interesse e voglia di portare avanti una manifestazione di questo tipo - conclude Gastinelli -. Se non ci fosse stata la pandemia l’avrei già fatto”.
E il filmato dei momenti antecedenti l’eccidio di Boves? Chissà dove si trova.
Di certo quella fu un’azione di rappresaglia feroce che ancora oggi, a 78 anni di distanza, fa rabbrividire. Lo scorso 20 settembre si è svolta la cerimonia commemorativa. La ricorrenza è stata caratterizzata dalla consegna della cittadinanza onoraria al sindaco di Schondorf Am Ammersee, paesino della Baviera dove è sepolto Peiper, morto bruciato vivo nel 1976 nella sua casa di Traves, in Francia (l’abitazione fu colpita da bombe molotov).
Il percorso di amicizia e riconciliazione nei confronti della città tedesca è partito cinque anni fa, non senza qualche riottosità da parte di alcuni, ma oggi si sta arrivando al gemellaggio. Gli atti ufficiali saranno firmati a luglio in Germania e poi a Boves, con ogni probabilità a settembre, in occasione del 78esimo anniversario dell’eccidio. “Non dobbiamo correre, ma camminare insieme - ha detto il sindaco di Boves Maurizio Paoletti -. Si tratta di un atto che ha grande importanza storica ed è la cosa di cui vado più orgoglioso dei miei sette anni di amministrazione”.
E chissà che un domani, anche grazie a queste righe, a Boves o chissà dove nel mondo, a qualcuno non venga in mente di scoprire cosa contengono quei vecchi negativi che da tempo riposano in soffitta.
Samuele Mattio
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