‘Ius primae noctis’, nacque a Cuneo la leggenda nera del Medioevo?
È il giurista Giovanni Francesco Rebaccini a descrivere per la prima volta nel 1484 l’odioso (e immaginario) privilegio dei signori feudali. Raccontando la fondazione della città tra Gesso e SturaMolti cittadini cuneesi conoscono, almeno per sommi capi, il racconto a metà tra storia e mito di come fu fondata la città sull’Altipiano alla confluenza tra Gesso e Stura. Quello che nessuno - o quasi - sa è che questo mito di fondazione è forse la prima prova documentale che attesti l’esistenza di una leggenda nera sul Medioevo la cui eco risuona fino ai giorni nostri: lo ius primae noctis.
Nel 1484 esce nella sua forma definitiva il primo lavoro storico sulla città di Cuneo. L’autore è anonimo, ma diversi indizi di peso reperiti dagli storici successivi portano a identificarlo con il giurista Giovanni Francesco Rebaccini, insigne personalità locale della seconda metà del Quattrocento che in città ricoprirà i ruoli di giudice, consigliere comunale, sindaco ed emissario alla corte dei duchi di Savoia.
La ‘Cronica loci Cunei’ di questo volenteroso pioniere è un manoscritto preziosissimo nonostante le numerose imprecisioni che contiene. Queste, del resto, dipendono anche dal fatto che nel momento in cui scrive l’archivio comunale è già sprovvisto delle carte più antiche ed è passato attraverso duri fatti d’armi e molteplici cambi di signoria. Falsa è ad esempio la data di nascita del Comune che Rebaccini posticipa al 1220, mentre noi sappiamo che il primo documento attestante l’esistenza di Cuneo data al 23 giugno 1198.
Nell’edizione moderna del testo, curata nel 1981 da Piero Camilla con il titolo ‘La più antica cronaca di Cuneo’, si sottolinea come “è vero che per l’origine di Cuneo, e poi per il Duecento e il Trecento (sino al 1382, alla dedizione al Savoia) il cronista sbaglia quasi tutte le date; ma tutti i fatti sono veri”. A cominciare dall’episodio storico che è alla base della fondazione di Cuneo, la rivolta dei popolani di Caraglio contro il loro signore. Che questa sia avvenuta e abbia avuto il suo epicentro in quel comune, conferma Camilla, lo prova il fatto che ancora gli statuti cuneesi del 1380 riconoscono a Caraglio e a Valgrana, sole fra tutte le ville del distretto, il diritto di inviare al Consiglio di Cuneo rispettivamente quattro e tre consiglieri.
Quella che è ancora più interessante, però, è la descrizione dei motivi di risentimento dei caragliesi e degli “altri popoli che con il giogo della medesima servitù da’ i suoi Signori erano travagliati et oppressi”, per citare l’aulica traduzione italiana ottocentesca del manoscritto latino. L’elenco dei soprusi attribuiti ai gentiluomini dal Rebaccini è lungo e circostanziato: si parla di ingiustificate intromissioni nelle successioni ereditarie, di “decime, taglie et altre servitù”, di contratti da cui i nobili “rapivano la nona parte del presso” e di servizi imposti agli uomini e ai loro animali “tutto l’anno senza discressione”. Ma c’è ancora qualcosa: “Finalmente sottometendo la raggion alla libidine e sensualità defloravano le figlie de suditi e parimente le spose volendo prevenire li sposi, persuadendo a’ sudditi questa esser luoro antica raggione e privileggio luor concesso [dagli imperatori] anticamente tra le regalie dei feudi; facevano anco spessissime volte molti adulterii, stupri, sforsi, villanie et ingiurie senza vergogna o rispetto alcuno”.
Anche se nel testo originale latino questa locuzione non c’è, qui si parla del terrificante e leggendario sopruso legalizzato che noi conosciamo tuttora come ius primae noctis. E stando alle fonti che ci è stato possibile reperire è verosimilmente la prima volta che se ne parla, in Italia e forse non solo. Già, perché il famigerato ‘diritto della prima notte’ è uno dei tanti luoghi comuni sul Medioevo di cui in epoca medievale non si conosce nemmeno una testimonianza. Non ne parlano i ‘fabliaux’ francesi del Duecento, poemetti satirici che pure di intrecci tra sesso e potere trattano spesso e senza nessuna remora morale o timore dell’autorità. Non ne scrive un autore come Boccaccio nel suo Decamerone, un secolo dopo. E, quel che più conta, non se ne trova una sola traccia nelle migliaia di documenti giuridici che sono arrivati fino a noi, dove tuttavia i privilegi dei feudatari sugli uomini (e le donne) a loro soggetti vengono descritti nella maniera più minuziosa.
Il professor Alessandro Barbero, che ha dedicato a questa secolare bugia una sua lezione al Festival della Mente di Sarzana nel 2013, cita un solo possibile antecedente al racconto del nostro Rebaccini: nel 1247, in Francia, il signore e i monaci di Verson si accordano sui rispettivi obblighi citando la tassa che i contadini devono pagare quando prendono moglie in un altro villaggio. Questa clausola è molto frequente nella vita dei contadini medievali, perché non è detto che i ‘forestieri’ che vengono a lavorare la terra da fuori pagheranno le tasse al signore del luogo piuttosto che a quello a cui erano già soggetti. Un frate dell’abbazia di Verson si divertirà a tradurre in rima questi obblighi, sostenendo che nei tempi antichi la tassa “di tre soldi” fosse tanto più gravosa, al punto che alcuni padri preferivano offrire al signore la verginità della figlia. Il monaco duecentesco sembra però credere che esistessero alternative sul piano pecuniario all’odiosa tassa in natura descritta 237 anni dopo da Rebaccini.
Anche qui, comunque, lo ius primae noctis è descritto come un costume proprio di tempi barbari e incivili che ci si è ormai lasciati alle spalle senza rimpianti. Ed è una caratteristica, quella di allontanare l’usanza nel tempo o nello spazio (Cortes ne parlerà in riferimento agli indigeni di Cuba, ad esempio), che da lì in poi sarà comune a tutti i cronisti che nel corso dei secoli hanno contribuito a tramandare fino a noi una delle più persistenti ‘fake news’ della storia. La cui origine, come abbiamo detto, riporta anche alle voci raccolte dal primo ‘biografo’ della città di Cuneo.
Andrea Cascioli
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