La pietra vivente di Pradleves
In una borgata ormai disabitata del paese della valle Grana, il Tiié o Tellié, persino le pietre hanno la loro storia da raccontare e richiamano gli studiosiPubblicato in origine sul numero del 16 giugno del settimanale Cuneodice - ogni giovedì in edicola:
Il Tiié (Tellié) di Pradleves, in Valle Grana, è un piccolo mondo ricco di biodiversità vegetali e di fenomeni geologici che richiamano ogni anno schiere appassionati e studiosi. Nonostante gli insediamenti numerosi - un tempo erano sette, per la maggior parte monoabitativi -, la popolazione del Tellié non ha mai raggiunto le ottanta unità. Nel 1796 ci vivevano 73 persone. Un secolo più tardi nel 1897 abbiamo il massimo demografico censito, con 76 presenze. Oggi al Tiié non abita più nessuno.
In questa conca oramai disabitata, costellata di piccole meraviglie, anche le pietre hanno la loro singolare storia da raccontare. Sulle nostre montagne le case da tempo immemore vengono edificate con la pietra. Murar a pèiro, erigere muri in pietra, è un’arte affinata da secoli. Nel territorio del Tiié le abitazioni colpiscono per il colore e l’aspetto singolare delle pietre da muro. I muri portanti delle case sono costituiti da rudimentali conci squadrati di roccia calcarea, con tonalità cromatiche varianti dal marrone-sabbia al bruno-ocra pallido. Molti di questi blocchi presentano un aspetto vacuolato e talvolta poroso. Si tratta di una particolare pietra locale denominata tioùri.
Nell’ipotesi etimologica più probabile il termine tioùri o tìouri deriverebbe da Tibur l’antico nome di Tivoli. “Lapis tiburtinus” è la denominazione data dai latini al “travertino romano”. Il travertino è dunque “la pietra di Tivoli”, che in lingua nostra diventa la pèiro de Tìouri e quindi lou tìouri o lou tioùri. Lo stesso colore della roccia calcarea contraddistingue la malta, la màuco, utilizzata per fissare i conci e sigillare gli interstizi. Tale fenomeno cromatico è dovuto all’utilizzo del safre nella preparazione dell’impasto.
Il safre è un calcare terroso di colore variante dal grigio chiaro al giallastro, assimilabile alla creta. È reperibile in taluni luoghi, sotto forma di roccia friabile, della durezza del talco. Da sempre il safre viene utilizzato dalle nostre parti nella preparazione della malta (la màuco o màuto). La roccia tenera viene tagliata servendosi di una vecchia ascia con la lama ormai rovinata. Il blocco staccato viene poi sfasciato con qualche colpo inferto col dorso dell'ascia e trasportato nelle gerle. La malta di colore giallognolo, che vediamo interposta ai blocchi squadrati dei muri a pietra delle vecchie case, veniva confezionata proprio utilizzando la polvere grigio-giallastra del safre.
Sulle nostre montagne dove - come nella conca del Tiié - la geologia ha predisposto la presenza prevalente di roccia calcarea, esistono luoghi deputati al reperimento della preziosa pietra tenera, dove vengono allestite delle piccole cave, denominate garp dal safre. È possibile reperirle ancor oggi in prossimità degli abitati. Un’altra particolarità esclusiva della zona del Tiié e di alcune borgate del versante sud della Valle Grana è la tecnica di costruzione dei vòut. Vòut significa soffitto, ma come dice l’etimologia del termine, indica un soffitto a volta. Per ovviare alla confusione si è cercata una differenziazione terminologica che distingua l’ossimorico vòout a pian (volta piana) dal più convenzionale vòout a mounto (volta che sale inarcandosi).
Un soffitto a una volta unica in pietra è la soluzione ideale per le tecniche e i materiali a disposizione in un lontano passato. Un'alternativa sono i voutìn, le voltine. La volta si inarca in tante piccole volte parallele poggianti su travi longitudinali. Ma, con un soffitto in pietra, il carico potrebbe risultare proibitivo. Siccome per ogni problema prima o poi trova una soluzione, al Tiié e in altre borgate di Pradleves, la soluzione l’avevano trovata, con l’utilizzo di una particolare pietra porosa locale denominata tioùri fumèl.
Renato Lombardo
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