Le Terme di Valdieri, dai Savoia al sogno del nuovo polo
A metà dell’Ottocento la stagione d’oro: nello stabilimento, insieme ai reali, venivano ministri e ambasciatori. Le virtù delle acque sono note dal quindicesimo secolo, ma la questione dei collegamenti rimane aperta“Sulle montagne si trova uno stabilimento di cura dove giungono delle graziose ladies inglesi a dondolarsi sulle amache con un libro in mano finché non arriva lo spleen”: così Roman Roginski, uno dei 160 cadetti polacchi ospitati per pochi mesi a Cuneo nel 1863 (la cui storia abbiamo raccontato il mese scorso su queste colonne), descriveva le Terme di Valdieri alla metà del secolo XIX.
Erano passati appena sei anni dalla posa della prima pietra del “grandioso edifizio” che sarebbe diventato l’Hotel Royal, ad opera del re Vittorio Emanuele II. Come si può intuire dalle parole del giovane cadetto, le Terme godevano già allora di fama internazionale, anche per merito dei Savoia per decenni - fin quasi alla fine del secondo conflitto mondiale - avrebbero continuato a trascorrere le vacanze estive nel Real Tenimento di Valdieri. Una fortuna per la valle Gesso e per lo stabilimento, vista l’affluenza di notabili di corte, ministri e ambasciatori: nell’estate del 1857, quella dell’inizio dei lavori per l’albergo, furono ospiti il presidente del Consiglio Camillo Benso di Cavour, Massimo D’Azeglio e Ascanio Sobrero.
Un libro dello storico locale Walter Cesana (“Le Terme Reali di Valdieri”, edito da Primalpe) ha ricostruito le vicende delle sorgenti attorno a cui è sorta quella che rimane tuttora la stazione climatico-termale più elevata d’Italia, con i suoi 1370 metri di altitudine. Sebbene le tradizioni e i primi storiografi abbiano tirato in ballo i liguri montani, i romani e perfino l’imperatore Carlo Magno come scopritori delle virtù terapeutiche delle acque, le prime notizie certe risalgono alla metà del XV secolo e sono legate proprio alla presenza dei Savoia in valle: nel 1474 si parla infatti dell’effetto prodigioso che la cura delle acque ebbe su madama Violante, ovvero Jolanda di Valois, sorella di Luigi XI di Francia e vedova del duca Amedeo IX. Quasi un secolo dopo sarà Emanuele Filiberto, il duca “Testa di Ferro”, a incaricare una commissione di medici di analizzare le acque termali di Valdieri: succede nel 1559, a seguito della presentazione a corte di un memoriale nel quale Nicolò Balbo menziona “Valdiero” e i suoi “ottimi bagni, quali per la ignorantia degli Habitanti non sono frequentati grandemente”. Ci si rammarica, anzi, che i sudditi sabaudi vadano a curarsi ad Acqui, sotto la signoria dei marchesi del Monferrato, o addirittura a Lucca o Padova. L’anno dopo lo stesso Emanuele Filiberto verrà a ritemprarsi alle terme.
Il 4 luglio 1588 il consiglio comunale di Valdieri delibera la costruzione di una casa per i bagni “al prezzo di fiorini 30 per ogni trabucco”: è il primo stabilimento, presso il quale accorre un numero crescente di ospiti. Fra questi gli ebrei, ai quali tuttavia si impone “un logiamento separato da una banda” perché discriminati. Al vescovo di Mondovì spetta il diritto di uso gratuito dei bagni e della casa. Possono usufruirne gratis anche i poveri di Valdieri, mentre i forestieri pagano per ogni notte due grossi (una piccola moneta d’argento del valore di alcuni denari). La sistemazione non è certo delle migliori, tant’è che nel 1613 il duca Carlo Emanuele I ne deplora “l’infamia delle stanze, o più tosto capanne da pecorai”. Bisogna attendere il 1749 e la signoria di Carlo Emanuele III, secondo re di Sardegna, per arrivare alla costruzione dei padiglioni in legno destinati ad alloggiare il sovrano e la corte: i cosiddetti “Baracconi”, sei in tutto, verranno completati nel 1755 sulla sponda destra del Gesso, quella opposta alle “antiche terme”. Sul finire del secolo, nel 1793, esce a Torino per opera di Jean Antoine Giobert la prima importante pubblicazione scientifica sulle Terme che applica all’analisi delle acque i principi e la nomenclatura della chimica moderna. Nell’opera vengono anche attestati numerosi casi di guarigione per mezzo delle cure termali.
La vicenda però si interrompe l’anno successivo, quando nel pieno della guerra contro la Francia rivoluzionaria il regio Baraccone viene devastato da un incendio. Solo a partire dal 1814 gli edifici verranno riparati, mentre i collegamenti rimangono poco efficienti: se a tutt’oggi quella dei trasporti è la nota dolente, con una strada chiusa per buona parte dell’anno, si pensi che nel 1822 il dottor Bernardino Bertini annota che “la distanza da Cuneo ai Bagni si percorre al più in sei ore, parte in carrozza (poiché da Cuneo ad un’ora di cammino al dissopra di Valdieri si può andare comodissimamente in vettura, essendo la strada quasi tutta piana), e parte in portantina od a cavallo”. Cionondimeno i sovrani continuano ad apprezzare il soggiorno, felice consuetudine per Carlo Alberto e per suo figlio Vittorio Emanuele II. Appena dopo l’unità d’Italia lo stabilimento vive una stagione di splendore, una volta ultimato l’albergo che conta 200 stanze (se ne aggiungeranno altre 42 al terzo piano nel 1870). Non mancano però i grattacapi, tra cui una curiosa controversia che nel 1873 oppone il direttore dello stabilimento Filippo Garabello e il Comune: oggetto del contendere, le spese per l’intasamento dei “cessi esistenti al terzo piano” che si scoprirà essere stato provocato dallo chignon di una villeggiante. La vertenza si trascinerà per anni in tribunale, fino alla risoluzione del contratto d’affitto con Garabello. Tra Ottocento e Novecento, con la nascita dell’alpinismo, le Terme diventano una base per le escursioni alpinistiche oltre che un centro di cura. Durante la stagione balnearia si ospitano due concerti al giorno, cui prendono parte talvolta musicisti e cantanti che frequentano lo stabilimento: nel 1897, ad esempio, si esibisce il celebre tenore Francesco Tamagno.
I ritorni economici, tuttavia, non sono quelli sperati. Almeno per il Comune, che infatti nel 1900 decide di mettere in vendita le Terme per 250mila lire: una decisione imposta dagli esborsi per le “maggiori esigenze portate dal progresso” e dalla concorrenza degli stabilimenti svizzeri, si legge nella relazione dell’ingegner Attilio Pirinoli. Con i privati le cose non migliorano: tra fallimenti e nuove concessioni ci si trascina fino al secondo dopoguerra. Negli anni Cinquanta si affaccia per la prima volta l’idea di portare fino a Cuneo le acque termali: ipotesi osteggiata dall’amministrazione comunale e destinata a riproporsi ancora a inizio anni Ottanta, con il nuovo proprietario Agostino Bonetto. L’imprenditore ha grandi progetti per le Terme e tra questi c’è l’idea di installare un impianto alle porte del capoluogo che possa ospitare tra le 2500 e le 3000 persone tutto l’anno. Ma l’ipotesi si rivela impraticabile, mentre Valdieri conosce una rinnovata gloria: oltre 25mila presenze nella stagione 1980, le sponsorizzazioni sportive e i reportage, perfino il set di una miniserie tv su Fausto Coppi (“Il grande Fausto”), girata a metà anni Novanta con Sergio Castellitto e Ornella Muti.
Di un secondo impianto termale a valle, questa volta nell’abitato di Valdieri, si è tornati a parlare con forza dagli anni Duemila. Dodici chilometri di tubazioni dalla frazione Terme, per quasi 600 metri di dislivello: un progetto che consentirebbe alla proprietà di tenere aperto per tutto l’anno il polo termale ma che la Regione, recedendo dall’accordo di programma firmato tre anni prima, aveva giudicato impraticabile nel 2012, sulla scorta di un parere espresso dal Politecnico di Torino. Sebbene gli investimenti non siano mancati nemmeno nell’ultimo decennio, il sogno delle nuove terme sembra essere tramontato. In compenso, resta più che mai attuale la questione dei trasporti - con la strada che nel frattempo ha subito anche il crollo del ponte, durante l’alluvione di ottobre 2020: dal tempo dei Savoia, si direbbe, si è fatto un balzo in avanti solo grazie al passaggio dalle portantine alle auto.
Articolo pubblicato sul giornale cartaceo di Cuneodice.it in edicola giovedì 19 maggio.
Andrea Cascioli
VALDIERI valdieri