Musica, nel suo nuovo album Francesco Guccini canta Cuneo e il “Baron Litron”
Il cantautore modenese ha inserito all’interno di “Canzoni da Intorto” il brano settecentesco dedicato al governatore della città dei sette assedi. Il Maestrone affascinato dalle parole di Leutrum: “Mi ricordano un film western”Francesco Guccini canta in piemontese. Sarebbe già di per sé una notizia degna di essere ripresa, ma il Maestrone della musica italiana ha fatto di più, inserendo all’interno del suo nuovo album l’epica lirica “Barun Litrun”, o “Baron Litron” che dir si voglia. Andiamo per ordine. Il cantautore modenese ha rotto il silenzio musicale con un disco, “Canzoni da Intorto”, contenente undici brani appartenenti alla cultura popolare, con arrangiamenti dal richiamo balcanico e folk. L’artista ha scelto canzoni semisconosciute al grande pubblico, ma a cui è molto legato. Dall’ultima volta che aveva pubblicato un disco di inediti sono passati dieci anni (“L’ultima Thule” n.d.r.), tuttavia il suo non è un un ritorno alla scrittura: “Non sono più capace a scrivere canzoni, non mi riesce più - ha spiegato in una conferenza stampa -. Non ho più toccato la chitarra e senza strumento non riesco a comporre”. Insomma, nessun ripensamento, eppure ciò non gli ha impedito di piazzare una sorpresa di fine anno. All’interno dell’album sono presenti brani della tradizione e d’autore, cantati anche in diversi dialetti: “Sono le canzoni che ho cantato con gli amici e le amiche in tantissime serate a Bologna passate a giocare a carte, dalla briscola al tressette al tarocco, senza mai giocarsi neanche un caffè”. E l’intorto del titolo? L’idea è stata della compagna Raffaella, venuta fuori durante un pranzo di lavoro con i discografici e subito piaciuta.
“L’intorto nasce dal fatto che sono canzoni che nessuno conosce, canzoni marginali che fai bella figura a spiegare, per esempio, a una ragazza. Questo è l’intorto, far vedere che sei un fighetto”. Una “folle operazione”, la definisce il Maestrone, che soltanto lui poteva permettersi nel 2022, oltretutto scegliendo il solo supporto fisico - cd e vinile - e rinunciando alla vendita attraverso le piattaforme digitali (“ignoro cosa sia lo streaming” ha detto Guccini suscitando ilarità in conferenza stampa). A sostenerlo il produttore Fabio Ilacqua, che ha curato tutti gli arrangiamenti, e l’etichetta Bmg con l’idea che questo particolare disco vada ascoltato dall’inizio alla fine, “ma anche con la convinzione che la qualità non si possa misurare in visualizzazioni”, ha spiegato il managing director Dino Steward la scelta di evitare la distribuzione sulle piattaforme, “per ragioni artistiche e commerciali”. Tra i brani scelti da Guccini ce n’è uno particolarmente legato a Cuneo e alla sua storia. Si tratta, appunto, di “Barun Litrun”, brano conservato nell’opera “I canti popolari del Piemonte” di Costantino Nigra, una canzone che racconta la storia del barone Karl Sigmund Friedrich Wilhelm von Leutrum, militare di origine germanica, già a 14 anni al servizio dei Savoia, nominato governatore di Cuneo. Difese con successo la città dalle armate franco-spagnole nell’assedio del 1744, entrando così nella fama popolare. Da anziano, in punto di morte, ricevette la visita del Re Carlo Emanuele III sull'altipiano e il loro dialogo entra a far parte del testo di questo celebre brano.
È la trasposizione delle parole di Leutrum ad aver incantato Guccini, che del canto popolare epico-lirico ha composto una rivisitazione in cui la chitarra acustica fa da padrona, accompagnata da percussioni, fisarmonica, cori, quasi a sottolinearne il blasone. D’altronde il brano è molto suggestivo. Racconta che quando Baron Litron si ammalò, il re Carlo Emanuele III si recò personalmente a trovarlo accompagnato da un gran corteo: “Signor lo re, quand l’a savu’ / ch’ Baron Litron l’era malavi / Comanda caròsse e carossé / Baron litron l’è andà trové”. La tristezza del momento era grande: il barone era gravemente malato. Il re per rallegrarlo, arrivato a Madonna dell’Olmo prima di entrare in Cuneo, fa suonare le trombe e sparare i cannoni. “Signor lo re, quand l’è stait là: Baron Litron, cum’a la va-la? / Sta maladia j’ò da murì, j’ò pi speransa de guarì”. Leutrum risponde francamente al re, che lo interroga sulla sua salute: “Di questa malattia devo morire, non ho più speranza di guarire”. Parole semplici, che tuttavia il sovrano fa fatica ad accettare. “Signor lo re s’a j a bin dit: Baron litron fate corage / Mi te daru’ dl’ or e dl’ arzan, mi te faru’ prim general”. Il re non vuole arrendersi, non vuole perdere colui che ha salvato la vita di tanti suoi uomini: “Barone Leutrum, fatti coraggio, ti darò oro e argento, ti farò primo generale”. “Os’a j’è pa né or né arzan, che mai la mòrt l’abia pèr scusa / J’è pa né re né general, che mai la mòrt j’abia risguard”. “Oh, non c’è né oro né argento che mai la morte abbia per scusa, non c’è né re né generale a cui la morte porti rispetto”. Vi è una saggezza antica nelle ultime parole del barone, che pronunciano una verità universale: nulla può farci scampare la morte. Ed è proprio questo passaggio ad aver affascinato Guccini: “Una frase bellissima, da film western”.
Il brano prosegue: “O dime ‘n po, Baron Litron, o vòs-to nèn che ti batezo? / Faria vnì ‘l vèscu ‘d Turin, mi serviria pèr to Parin”. “Dimmi,barone Leutrum, non vuoi essere battezzato? Farei venire il vescovo di Torino, ed io ti farei da padrino”. Così domanda infine il re al barone Leutrum che era infatti protestante. “Baron Litron s’a j’a bin dit / Sia ringrassià vostra corun–a / Mi pòss pa pì rivé a tan, o bon barbèt, o bon cristian”. Il barone è ricordato per la coerenza con la quale rimase votato alla propria fede religiosa, la sua risposta è memorabile: “Sia ringraziata la vostra maestà, ma non posso riuscire a tanto: o buon barbetto o buon cristiano” (barbèt è il termine piemontese per indicare i valdesi: il barone, luterano, si considerava uno di loro n.d.r.). “O di me ‘n po’ s’ t’ai da murì, o dova vòstu ch a t’ sotero? / Ti farò fè na cassia d’or, ti farò fè d’ un grand onor”. “Dimmi, se morirai, dove vuoi essere sotterrato? Ti farò fare una cassa d’oro, ti farò dare grandi onori”.
Il sovrano continua a prospettargli un funerale con i massimi onori e una tomba monumentale, qualora il barone acconsenta alla conversione. “Mi lasserò per testamènt, ch’a mi sotèro an val d’Luserna / an val d’Luserna a m’ sotraran, dova el mè còr s’arposa tan”. Davanti alle avances del re Leutrum non si scompone e dispone invece di essere sepolto presso il Ciàbas, un minuto tempio valdese di montagna vicino ad Angrogna, dove si trovano tuttora. Il 16 maggio 1755 Leutrum morì a Cuneo. “Baron Litron a l’é spirà, pioré baron, pioré voi daime / Soné le ciòche, sparé i canon, ch’a l’è spirà Baron Litron”. “Il barone Leutrum è spirato, piangete baroni, piangete dame, suonate le campane, sparate i cannoni perché è spirato il barone Leutrum”. Ora grazie a Guccini, il barone torna in vita, quantomeno nell’immaginario degli italiani.
Samuele Mattio
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