Quando il Cuore di De Amicis batteva a Cuneo. L’infanzia dello scrittore all’ombra della Bisalta
Nella città dei sette assedi il romanziere visse tutta la prima giovinezza, ripercorrendo in uno dei suoi ultimi libri i ricordi felici di studente alla metà del secolo XIXQuanto c’è di cuneese nel libro Cuore? È lecito domandarselo leggendo le pagine deamicisiane assai meno note di Ricordi d’infanzia e di scuola (ripubblicato nel volume di Walter Cesana Edmondo De Amicis negli anni cuneesi 1848, 1862, Nerosubianco), dove il romanziere e giornalista ripercorre le memorie di una fanciullezza e un’adolescenza trascorse quasi per intero all’ombra della Bisalta.
Il libro esce nel 1906, appena due anni prima che lo scrittore venga colpito da una fatale emorragia cerebrale durante un soggiorno a Bordighera. A quell’epoca il 62enne De Amicis è già celebre da vent’anni come autore di uno dei maggiori capolavori della letteratura per ragazzi, ma è anche un uomo provato dalle amarezze che la vita non gli ha risparmiato: il rapporto sempre più burrascoso con la moglie Teresa Boassi, il suicidio del figlio primogenito Furio che nel 1898 si era sparato su una panchina nel parco del Valentino. Ciononostante, o forse proprio per questo, nei suoi Ricordi l’autore riversa insieme a considerazioni pedagogiche modernissime una quantità di aneddoti divertenti sulla prima giovinezza, senza tralasciare i bozzetti ironici dedicati ai professori di scuola e i ritratti al vetriolo della buona borghesia nella città dei sette assedi. Pagine pervase dalla nostalgia della vita familiare e da un sincero affetto per la Cuneo di metà Ottocento, dove il giovanissimo Edmondo vivrà anni felici spezzati però dalla morte precoce del padre e dalla decisione di avviarsi alla carriera militare a Torino.
Nato a Oneglia nel 1846 da padre genovese e madre savonese, ultimo di sei fratelli, Edmondo Mario Alberto De Amicis giunge all’età di due anni a Cuneo: la descrive come “una piccola città del Piemonte, che è per il sito e per i dintorni una delle più belle d’Italia”, aggiungendo che “tutti i ricordi mi si disegnano alla mente sul verde vivo di quella campagna, sull’azzurro chiaro di quelle acque, sulla neve luminosa di quelle alte montagne”. Quella in cui va ad abitare con la famiglia è “una casa spaziosa, che guardava da una parte il fiume”: si tratta del Magazzino del Sale, un ex monastero del XVII secolo adibito a carcere in epoca napoleonica e poi divenuto bene demaniale. L’edificio che lo ospitava sul lungostura verrà in seguito abbattuto per far posto all’attuale piazza Santa Croce e alla brutta costruzione moderna del Provveditorato alle opere pubbliche. Qui fino al 1862 Francesco De Amicis, il padre di Edmondo, esercita la funzione di “banchiere regio dei Sali e Tabacchi”, ovvero di fornitore dei beni in regime di monopolio.
L’ipotesi: Franti e Garrone nacquero nei vicoli di Cuneo vecchia?
Tra i vicoli di Cuneo il bambino non tarda ad acquistare la parlata dei suoi primi compagni di giochi, tanto da arrivare a non intendersi con la sua stessa madre: “Ed eran scene comiche, - giura - che facevan ridere tutti i presenti, quando essa mi dava una lavatina di testa in genovese ed io mi giustificavo e protestavo in piemontese”. A leggere le descrizioni di alcuni tra i suoi coetanei c’è da credere che i personaggi letterari di Cuore debbano molta della loro sostanza a questi nostri ormai immemorabili concittadini. Un certo Clemente, figlio di un’erbivendola, è dipinto come un Franti in erba, definito un “piccolo Don Chisciotte del delitto” e “un tipo di monello compiuto, nel quale era il germe del delinquente”: suo ideale supremo era “di diventare un farabutto famoso, e si gloriava d’esser già tale, con una impudenza da pestargli la faccia. Portava sempre in tasca un coltellaccio spuntato, per impaurirci, minacciando ogni momento di servirsene”. Ancor peggio di questo aspirante teppista era un altro ragazzino del quartiere, forse orfano e già “ladruncolo di mestiere, specialista delle frutta”: “Io non potevo allora sentirne la pietà che ne sento adesso” confida il De Amicis adulto, quasi vergognoso dei suoi sentimenti verso quella “faccia trista”.
Della città di centosettant’anni orsono il futuro scrittore tratteggia angoli e atmosfere, nominando di rado i luoghi: il duomo con il suo angelo affrescato su una cappella (“fu quella figura che mi destò il primo sentimento religioso”), il teatro Civico più avanti rinominato Toselli (“uno spettacolo incantevole la sala, il triplice ordine dei palchi, il lampadario, i lumi della ribalta, e soprattutto il telone dipinto, che rappresentava una rivolta di popolo contro un feudatario del medioevo”) o la piazzetta in una rientranza di via Roma - di fronte all’attuale sede della ex direzione di Ubi Banca - dove “le piccole signorine più belle e più note della città” erano solite ballare tra loro ogni domenica mentre suonava la banda municipale. Il suo luogo del cuore, però, è la piazza d’armi vicina all’abitazione di famiglia, dove poi sorgerà la caserma Battisti: qui Edmondo vede sfilare palpitando i bersaglieri. Tra loro ci sono alcuni ufficiali, allora subalterni, che più tardi raggiungeranno gli alti gradi o moriranno in Crimea, a San Martino, a Custoza, o combattendo contro i briganti: l’allora capitano Emilio Pallavicini, decorato durante la seconda guerra d’indipendenza, sarà colui che una volta promosso colonnello fermerà l’avanzata dei garibaldini sull’Aspromonte.
Un altro futuro protagonista delle vicende militari italiane di fine Ottocento lo conosce invece come compagno di giochi, poi di liceo e di accademia: si tratta Giuseppe Arimondi, generale nella guerra d’Abissinia e caduto ad Adua. De Amicis lo incrocia una prima volta durante una rissa, in uno scenario da ragazzi della via Pal. L’uno a capo di una “banda di mocciosi” della parrocchia di Santa Maria, l’altro in quella di Sant’Ambrogio: “Si apparteneva a due parrocchie diverse, e questo bastava ad aprire un abisso fra di noi. Noi dicevamo con disprezzo: - Quelli di Sant’Ambrogio -; questi dicevano con disdegno - Quelli di Santa Maria -”. Da liceale e cadetto, comunque, avrà modo di diventare ottimo amico di quel giovanotto robusto, una specie di Garrone descritto come “uno dei più quieti e dei più amabili della classe”. All’epoca in cui lui lo frequenta, il liceo ha ancora sede nel palazzo di fronte al municipio, dove oggi si trova il Conservatorio. Sono numerosi gli scolari suoi coetanei che faranno strada in società: c’è un laureato in medicina divenuto monsignore, Giovanni Maria Silvestro, un futuro rettore del collegio civico, Tommaso Garesio, nonché Angelo Bocca, sindaco di Cuneo tra il 1888 e il 1905 e suo buon amico. Più piccolo di nove anni è invece un altro frequentatore di casa De Amicis, il figlio del consigliere della Prefettura: in quel fanciullo del quale l’adolescente Edmondo nota “gli occhietti vivaci e la forma del viso, dal mento fuggente a curva di mela” ritroverà anni dopo il fondatore del Partito Socialista Italiano, Filippo Turati.
La città del sogno: il ricordo di Cuneo negli anni della maturità
La partenza per Torino, dopo il trasferimento in una più modesta abitazione di via Santa Maria al civico 3 e la morte del padre il 27 giugno 1863, è vissuta dall’aspirante cadetto con sollievo: “Quella città, che doveva diventarmi poi così cara, mi si era fatta in ultimo intollerabile”. A Cuneo, dove aveva scoperto la sua vocazione letteraria, lo scrittore ritornerà in seguito solo un paio di volte. Nelle ultime righe dei suoi Ricordi, tuttavia, afferma di aver ripensato sempre più spesso nell’età matura alla patria della sua giovinezza. In particolare attraverso un sogno ricorrente, che il De Amicis al crepuscolo della vita descrive con un’intonazione buzzatiana: procedendo lungo la strada maestra, in un’ora “che non è né di giorno né di notte” ma è “l’ora della passeggiata domenicale”, egli cerca di ritrovare gli antichi amici ma non rivede, tra la folla, nemmeno un volto noto. E non di meno il desiderio è di rifare di nuovo quel sogno, “tanto è cara al mio cuore, tanto mi par bella anche non popolata che di spettri, tanto mi attira e mi affascina quella piccola città alpina (…) Cuneo è la città, e pronuncio con sentimento di riverenza e di gratitudine questo nome, il quale mi desta la visione di una città immensamente lontana, posta quasi ai confini del mondo, che si disegna in contorni azzurri sulla bianchezza d’un’alba luminosa”.
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Andrea Cascioli
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