Fratelli d’Italia ricorda Sergio Ramelli: “Non è un martire di una parte, ma un simbolo per tutti”
A Bra anche la sottosegretaria Frassinetti che fu compagna di militanza del diciottenne assassinato. Ora il centrodestra chiede un’intitolazione in cittàMorire a diciott’anni per un tema di scuola. Succedeva nella Milano del 1975, a un “nero”, nella stessa città dove meno di un mese dopo un altro ragazzo poco più grande, un “rosso”, sarebbe stato accoltellato al cuore per aver staccato un adesivo.
“Poche cose come la storia di Sergio sono rimaste vive in questi anni” dice Guido Giraudo, ospite d’onore della serata organizzata da Fratelli d’Italia a Bra. “Sergio” è Sergio Ramelli, militante missino, studente d’istituto tecnico, capellone, diciannove anni da compiere il 6 luglio successivo. Non ci arriverà. Sulla sua strada trova un commando di universitari di Avanguardia Operaia, quasi tutti futuri medici, che lo aspettano sotto casa e gli sfondano il cranio a colpi di chiave inglese.
Il peggio, pare strano, è quello che succede dopo. A partire da quando la notizia della morte di Ramelli, da un mese e mezzo in coma, arriva in Consiglio comunale e viene accolta da un applauso tra il pubblico, malgrado il sindaco socialista Aldo Aniasi cerchi di far rinsavire i presenti: “Nessuno può applaudire ad atti di violenza. L’antifascismo non si fa in questo modo”. Ai funerali il corteo viene vietato dalla questura, sotto minaccia di cariche: si temono disordini. Un prete che è venuto a benedire la salma, ex partigiano, getta a terra il suo fazzoletto dei Volontari della Libertà e grida ai poliziotti: “Non ho liberato l’Italia per vedere queste porcherie”. I Ramelli non sono una famiglia di missini: a parte Sergio, nessuno si occupa di politica. Eppure, dopo la sua morte, il fratello Luigi viene perseguitato finché non cambia città - era già stato pestato, qualcuno lo aveva scambiato per Sergio.
In questa spirale di odio fanno impressione le connessioni invisibili tra un delitto e l’altro. Ramelli entra nel mirino dei suoi assassini per un tema in cui aveva parlato di un omicidio commesso a Padova dalle Brigate Rosse, vittime altri due missini: Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. Frequenta la sede del Fronte della Gioventù in via Mancini insieme a una coetanea che oggi è sottosegretaria all’Istruzione, Paola Frassinetti: “Avevamo tante cose in comune, - ricorda lei, davanti alla platea braidese - a parte la squadra di calcio perché lui era interista e litigavamo un po’ su quello. Sicuramente era molto appassionato”.
Il 28 febbraio, due settimane prima dell’agguato, muore a Roma lo studente greco Mikis Mantakas, durante gli scontri che fanno contorno al processo per la strage dei fratelli Stefano e Virgilio Mattei, bruciati vivi a Primavalle. “Il partito fece un manifesto con una lista nera a lutto per Mikis Mantakas e noi andammo a fare un’affissione” racconta la Frassinetti: “Mi vengono i brividi nel raccontare che qualche giorno dopo, il 29 aprile, attaccavamo lo stesso manifesto per Sergio Ramelli, chiedendoci chi sarebbe stato il prossimo fra noi”.
Quasi trent’anni fa la vicenda è stata raccontata da Giraudo, anche lui un ex missino milanese, in un libro intitolato “Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura”. “Il libro non ha nulla di ‘personale’, non parla degli anni Settanta visti da destra” tiene a precisare il suo autore: “È solo documentazione, costituita da un lato dalle testimonianze e dagli atti del processo e dall’altra dagli articoli di giornale, utili a cinquant’anni di distanza per offrire uno spaccato dell’attenzione, della disattenzione o dell’attenzione deviata di certi media”. Un colpevole c’è, a parte i colpevoli veri: “Sotto accusa c’è prima di tutto la scuola: perché Sergio non fu difeso dai suoi professori e dal preside. Questa scuola ancora incapace di accettare una dialettica e che ancora ragiona nell’ottica dell’inculcare idee e opinioni è uno dei grossi problemi del nostro Paese”.
Il libro ha conosciuto varie riedizioni ampliate nel corso degli anni e non è più l’unico sulla “storia che fa ancora paura”: l’ultimo a raccontarla è stato lo scrittore Giuseppe Culicchia, con “Uccidere un fascista”. Sono nati anche un fumetto, realizzato da Federico Goglio, e un podcast scritto e narrato da Alice Bellesia, anche loro presenti alla serata. “Vuol dire - conclude Giraudo - che a 50 anni di distanza la storia di Sergio Ramelli ha superato tutti i limiti ristretti dell’ambiente. Non è un martire dell’area o un testimone della fede politica, è diventato un simbolo utile per chiunque voglia capire qualcosa della storia italiana oggi e per affrontare demoni ancora presenti nella società”.
La “storia che fa ancora paura” oggi fa certamente meno paura. A Bra, nell’imminenza del cinquantesimo anniversario della morte di Ramelli, l’opposizione di centrodestra propone per il tramite del coordinatore di FdI Roberto Russo un’intitolazione in città. La sfida è dimostrare che un’icona di una parte, venerato post mortem da alcuni quanto era stato odiato in vita da altri, può diventare un simbolo di tutti.
Andrea Cascioli

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