Domenico Comino porta Castelli a Cuneo: sabato c’è il raduno dei padani anti Salvini
“Contro i nazionalismi meridionalisti” si schiera il Partito Popolare del Nord. All’“amarcord” leganordista anche l’ex deputato Barral e il precursore GremmoA volte ritornano, si diceva. Non certo i morti viventi di Stephen King ma i leghisti “duri e puri”, quelli della Padania che non c’è più. Hanno un contenitore politico, il Partito Popolare del Nord, e un portabandiera, l’ex ministro della Giustizia del governo Berlusconi Roberto Castelli.
A Cuneo possono già contare sul contributo di un altro ex ministro, il morozzese Domenico Comino, al rientro ufficiale in politica dopo oltre due decenni. Correva l’anno 1999: l’allora delfino di Bossi fu cacciato con ignominia dal Senatur, per aver caldeggiato il rientro nel centrodestra sfidando il diktat del padre-padrone. Bossi lo riempì di contumelie - l’epiteto più gentile era “mangiabistecche berlusconiste” - e lo espulse “per tradimento”, salvo seguire, subito dopo, il consiglio di Comino. Lui, nel frattempo, promosse l’effimera esperienza federalista dell’Ape insieme a un altro deputato cuneese, Mario Lucio Barral. Dopodiché tornò a fare il suo mestiere, l’insegnante di estimo al geometri di Cuneo, fino alla pensione.
Inutile dire che da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Po. Al punto che quanti deprecavano il celodurismo di ieri sono diventati gli intransigenti di oggi: quelli che rimpiangono la Lega Nord che fu e che considerano un mero contentino l’autonomia differenziata. Sabato 5 ottobre, alle 16, simpatizzanti e curiosi si ritroveranno all’hotel Cristal di Madonna dell’Olmo: con Castelli, Comino e Barral c’è Roberto Gremmo, il “papà” dell’autonomismo piemontese, fondatore dell’Union Piemontèisa che fu prima alleata e poi concorrente della Lega dei primordi.
“Contro i nazionalismi meridionalisti di ogni tempo e di ogni colore” recita lo slogan di presentazione del convegno, dedicato al tema di “una vera autonomia”. Un amarcord che per ironia della sorte precede di un giorno la Pontida dell’attuale Lega nazionalizzata, quella che ha preso alla lettera il verso “dall’Alpe a Sicilia dovunque è Legnano” e che alle europee si è tenuta a galla con i voti di Roberto Vannacci.
Difficile, almeno per ora, che si vada oltre l’amarcord. Ma un terreno fertile per imprevedibili sviluppi potrebbe essere proprio quello della Granda, una provincia che il salvinismo l’ha guardato di sbieco anche quando plebiscitava il Carroccio col 40% dei consensi. È interprete di questo malpancismo - sempre meno sopito - la parabola recente di Gianna Gancia, transitata dai banchi dell’Europarlamento a quelli di palazzo Lascaris dopo aver rischiato finanche l’espulsione, per via di un paio di interviste molto sopra le righe. Salvini deve aver pensato che fosse meglio soprassedere, trattandosi pur sempre della moglie di un suo ministro. Ma lei non si è data a più miti consigli, anzi. Giusto due settimane fa è stata l’unica nella maggioranza a dar ragione ai colleghi del Pd che contestavano la scelta della giunta di sottrarre una decisione importante al vaglio dei consiglieri. Di che si trattava? Semplice: della costituzione davanti alla Consulta in difesa della legge sull’autonomia differenziata, chiesta a gran voce proprio dai leghisti.
Andrea Cascioli
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