Dopo il voto Cuneo si conferma “Stalingrado bianca” d’Italia
Con la vittoria di Patrizia Manassero e del “centro-centrosinistra” la città resta tra i 14 capoluoghi che non hanno mai avuto un sindaco di centrodestraNon si votava solo a Cuneo e in altri dodici capoluoghi di provincia (Verona e Parma quelli più “chiacchierati”) nella più recente tornata di ballottaggi comunali. Tra i centri di media grandezza al voto c’era anche Sesto San Giovanni, città di 80mila abitanti alle porte di Milano.
La circostanza sarà stata dimenticata dai più, a parte qualche nerd della politica in fissa con le memorie primorepubblicane. Ma Sesto San Giovanni è stata conosciuta per decenni con un appellativo che era tutto un programma: la Stalingrado d’Italia. Città operaia per antonomasia fin dai primordi del Novecento, già sotto il fascismo ospitava i grandi stabilimenti di Breda, Falck, Magneti Marelli. Con le sue schiere di casciavit in tuta da lavoro costituiva il contraltare della borghesissima metropoli meneghina, un po’ come Saint Denis per i parigini. Nulla di strano nel fatto che la “piccola Manchester” sia stata dal dopoguerra in avanti una roccaforte rossa inavvicinabile dagli avversari del Pci, poi del Pds e infine del Pd. Questo fino al 2017, quando la Lega ha espugnato anche l’ultimo fortino con Roberto Di Stefano (rieletto domenica scorsa con il 52% delle preferenze, per la cronaca). Sic transit gloria mundi, complici alcuni scandali locali e l’ormai mutata composizione sociale della città - come, del resto, dei suoi storici referenti politici.
Cosa c’entra questa lunga digressione con la nostra Cuneo? È presto detto. La vittoria di Patrizia Manassero, primo sindaco del Pd in città ma quarta rappresentante del “centro-centrosinistra” in salsa cuneese, consegna al capoluogo della Granda un singolare primato. Cuneo è infatti nel ristretto novero dei quattordici capoluoghi di provincia (ante riforma) che non hanno mai visto un’amministrazione di centrodestra da quando esiste l’elezione diretta del sindaco. Se non fosse per il quinquennio del “Borgna uno”, durante il quale il Pd rimase all’opposizione, si potrebbe addirittura annoverarla tra le otto città che non hanno mai cambiato compagine amministrativa dal 1995 in avanti. Non stupisce apprendere che in questo esclusivo club figurino perlopiù centri situati in quelle che - almeno un tempo - erano note come regioni rosse: Modena, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Firenze, Ancona, Pesaro.
L’unica eccezione è Salerno, spiegabile però con la perdurante popolarità dell’ex sindaco Vincenzo De Luca, in carica per ben cinque mandati e quasi diciassette degli ultimi trent’anni e ora asceso alla presidenza della Campania. Sempre nella regione governata dallo “sceriffo” si segnalano i casi peculiari di Napoli e Avellino: in entrambe il centrodestra non ha mai toccato palla, ma una discontinuità tra primi cittadini c’è stata eccome. Nella città di Partenope con Luigi De Magistris e gli “arancioni”, nel capoluogo irpino con l’elezione del pentastellato Vincenzo Ciampi e poi del civico Gianluca Festa. Analoghe e meglio note le vicende di Torino e Livorno, conquistate dai 5 Stelle Chiara Appendino e Filippo Nogarin per un quinquennio. Rimane da citare un’ultima realtà che fa storia a sé, Nuoro: qui il centrosinistra ha governato con vari schieramenti fino al 2015, quando è subentrato l’indipendente Andrea Soddu - tuttora in carica - con una coalizione civica che comprende Italia in Comune, la lista del sindaco di Parma uscente Federico Pizzarotti.
Sono contesti, tutti quelli citati compreso il capoluogo piemontese, lontani dalla città dei sette assedi ben più di quanto non dica la geografia. Negli ormai ventisette anni trascorsi tra la prima vittoria di Elio Rostagno - la coalizione, all’epoca, si chiamava Cuneo Viva - e l’affermazione di Patrizia Manassero hanno cambiato cavallo, almeno una volta, tutti i capoluoghi del Piemonte. Di più, si è riscritta per intero la cartina politica del nostro stivale, perfino dove ciò sembrava inimmaginabile: Bologna, le già citate Livorno e Sesto San Giovanni, Genova e Terni per il centrosinistra, città come Milano, Latina, Treviso e Verona per il centrodestra, eccetera. Cosa ha reso Cuneo “inespugnabile”? Ci scuseranno i lettori di sinistra se osiamo dubitare che si tratti di un’atavica avversione del cuneese medio per le destre, considerando che più di una volta nelle elezioni politiche i candidati di centrodestra hanno sopravanzato i loro avversari. Basta la buona amministrazione, di cui in effetti potrebbero fornire testimonianza non pochi indicatori, a rendere ragione di questa straordinaria continuità? Forse, ma bisognerebbe spiegare allora perché molti altri capoluoghi altrettanto “bene amministrati” - e tuttavia più sensibili ai cambi di passo della politica nazionale - abbiano sentito il bisogno di concedersi almeno una deviazione dalla norma. Allo stesso modo, l’appoggio che (soprattutto) il centro civico ha sempre ricevuto dalle parrocchie e dal mondo del volontariato cattolico rende ragione solo fino a un certo punto della sua pluridecennale sopravvivenza al tracollo della Democrazia Cristiana, in un contesto dove - forse meno che in altri, ma ormai in misura palpabile - si tocca con mano lo svuotamento delle chiese e la perdita di contatto con la religiosità.
Senza tralasciare i meriti di chi ha governato in questi (quasi) tre decenni, bisognerebbe interrogarsi anche sui demeriti di chi non è mai riuscito a costruire un’alternativa credibile sul piano locale. Basti citare una circostanza: tutte le candidature unitarie del centrodestra, comprese quelle di due ex sindaci (Guido Bonino nel 1998 e Beppe Menardi nel 2017), hanno sempre puntato su “papi stranieri” o comunque su figure estranee al Consiglio comunale uscente. Un sintomo della perdurante difficoltà di dotarsi di una classe di amministratori avvezza a districarsi giorno per giorno tra varianti, delibere di giunta e ordinanze, anziché puntare tutto sulle comparsate dei leader nazionali appena prima del voto e su slogan come il recente “Cuneo non merita un sindaco di sinistra”. Appelli che potranno fare presa su un ristretto elettorato ideologico, ma dicono ben poco all’uomo della strada chiamato a scegliere chi - proprio nella sua strada - dovrà occuparsi anzitutto di buche e lampioni mal funzionanti. Che sia questo comune senso della concretezza, alla fine, il solo arcano sul quale poggia l’identità di Cuneo, “Stalingrado bianca” d’Italia?
Andrea Cascioli
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