Pd ancora primo partito, FdI vince il derby con la Lega. Spariscono Forza Italia e i 5 Stelle
Nel confronto con i dati del 2017 a Cuneo, Savigliano e Mondovì emerge la tenuta dei dem. Per i forzisti è il peggior risultato in tutti i capoluoghi italiani al voto“Non è un dato politico”: ogni volta che un partito incassa una sconfitta in un’elezione locale, i leader nazionali si affannano a ripeterlo di fronte a qualunque microfono. Allora premettiamolo anche noi, giusto per mettere le mani avanti.
Resta il fatto che qualche indicazione è ben possibile trarla dai risultati elettorali di Cuneo e degli altri due grandi comuni al voto, Savigliano e Mondovì. Specie se riavvolgiamo il nastro per vedere “come eravamo”, cinque anni orsono. Un primo dato balza agli occhi ed è la sostanziale tenuta del Partito Democratico. Non era scontato, per nulla. I dem restano primi nel voto di lista a Cuneo e a Savigliano e secondi (per un soffio) a Mondovì, dove pure la frammentazione era estrema e l’avversario civico ha surclassato il loro candidato sindaco.
Soprattutto nel capoluogo l’esito è significativo e per certi versi inatteso: in pochi, alla vigilia e fino alle prime fasi dello spoglio, erano pronti a scommettere che il Pd avrebbe sorpassato i competitor interni del Centro, accreditati di una presa fortissima in termini di preferenze. Specie se consideriamo il flop di alcune new entry di lista - in primis l’ex questore Pagano, fermo a 27 voti - e il fatto che l’“effetto sindaco” non sembra aver pesato: Manassero in numeri assoluti prende 70 voti in più della somma delle sue liste, ma si ferma al 46,9%, contro il 49,9% della coalizione che la sostiene. Eppure i 4054 voti presi (17,99%), pur essendo 622 in meno della volta scorsa (nel 2017 il partito arrivò al 19,59%), bastano a mettere quasi cinquecento preferenze di distanza dai centristi: un successo.
Anche a Savigliano il Pd cede qualcosina (dal 16,41% al 16,08%, una minuzia da 127 voti), ma si conferma nel suo ruolo di pivot tra le liste che sostengono Gianfranco Saglione. Vinto a mani basse lo scontro con il sindaco uscente Ambroggio, scaricato dal partito, resta ora da concentrarsi su un ballottaggio difficile ma non impossibile. A Mondovì il calo è più accentuato in termini percentuali - dall’11,01% si passa al 9,34%, 279 voti reali di differenza - ma va tenuto conto, come si diceva, della frammentazione in una contesa che vedeva in campo ben 18 liste.
Nel centrodestra la notizia è che Fratelli d’Italia vince con un rotondo 3-0 il derby sui cugini leghisti: lo fa in modo evidente a Savigliano (con il 9,13% contro il 6,83%), meno smaccato a Mondovì (6,72% contro 5,05%) e per un’incollatura appena a Cuneo (6,15% contro 6,01%: 33 voti di distanza). Ma il segnale politico arriva forte e chiaro, considerando che solo cinque anni fa il partito della fiamma era irrilevante a Cuneo - si fermò all’1,03%, con 248 preferenze - e assente nelle altre due competizioni. C’è di più: nel capoluogo, in base alla conta sui resti, FdI potrebbe strappare anche in caso di sconfitta un seggio in più del Carroccio, nonostante la minima differenza in termini di consensi. Oltre il danno la beffa per Bergesio e sodali.
Chi invece nell’irrilevanza sprofonda con tutte le scarpe è Forza Italia. Si stenta a credere, guardando i risultati delle tre città, che gli azzurri in provincia contino ancora su un presidente di Regione, un senatore e un consigliere regionale. Nel loro caso, più ancora che in altri analoghi, il baricentro è ormai tutto spostato verso l’Albese e le conseguenze si vedono. A Mondovì i forzisti perdono l’unico seggio consiliare ma salvano la faccia, passando dal 4% al 3,37%. A Savigliano è un tracollo, con i voti ridotti a un terzo (dal 7,13% al 2,53%). Ma il dato peggiore in assoluto è quello di Cuneo, dove la lista - assemblata in fretta e furia con l’Udc e ridotta al numero minimo di candidati - finisce all’1,45%, con 326 preferenze. Un quarto di quelle andate alla lista civica del candidato sindaco Civallero e addirittura un decimo di Fratelli d’Italia, per dare l’idea. Il coordinatore provinciale Maurizio Paoletti, chiamato in causa con il proconsole Antonello Lacala, dà la colpa di tutto alla defezione del leader cittadino Vincenzo Colucci, passato con armi e bagagli alla maggioranza appena un mese prima delle elezioni. Basta questo a spiegare l’eclisse totale del berlusconismo nella città dei sette assedi? A quanto pare no, se consideriamo che quello di Cuneo è il peggior risultato raccolto da Forza Italia, in tutti i ventisei capoluoghi al voto.
Non arrivano a tanto i Cinque Stelle, ma solo perché nel loro caso il tracollo nazionale fa da paravento a quello locale. A Cuneo, l’unico centro in cui si ripresentavano, il tonfo è tale da precipitarli fuori dal Consiglio comunale. Cinque anni fa un dignitoso 5,61% gli aveva permesso di portare a casa perfino un secondo eletto, quella Silvia Cina che stavolta si proponeva come candidato sindaco in solitaria. È finita con i voti ridotti a meno di un terzo, da 1340 a 390, e con un 1,73% che li colloca più in basso di tutti i contendenti - esclusa l’estemporanea brigata no vax. Il “2050” inserito nel marchio elettorale, con queste premesse, è ben più di un auspicio dettato dall’ottimismo, o forse un’involontaria procrastinazione: “Telefonami tra vent’anni, io adesso non so cosa dirti”, cantava Lucio Dalla.
Andrea Cascioli
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