Quale destino per gli onorevoli della Granda?
La “mannaia” della riduzione dei parlamentari e le pluricandidature complicano i programmi di deputati e senatoriLa premessa è che parliamo, per ora, di mere ipotesi. Un po’ come il contemporaneo calciomercato estivo, il “fantaelezioni” è più che mai una disciplina fatta di suggestioni e azzardi. Il destino di deputati e senatori che hanno rappresentato la Granda a Roma dal 2018 è scritto nelle stelle, ma possiamo comunque interrogarci sulla base dei pochi dati certi.
Il primo e più solido riguarda la forte riduzione dei posti a disposizione. Per effetto del referendum sul taglio dei parlamentari, gli aspiranti onorevoli sono chiamati a cimentarsi in una specie di “gioco della musica” (quello in cui i concorrenti devono correre in circolo attorno ad alcune sedie e sedersi appena la musica in sottofondo cessa: ad ogni turno si toglie una sedia). La nostra provincia sarà ancora divisa in due nei collegi uninominali della Camera (senonché il vecchio collegio di Alba e Bra verrà accorpato ad Asti) e avrà un unico collegio uninominale al Senato (allargato al sud della provincia di Torino). Ma nel plurinominale, dove i parlamentari sono eletti in base ai voti proporzionali di lista, le cose cambiano molto: alla Camera si passa da 9 eletti a 5 (in una circoscrizione che comprende Cuneo, Asti e Alessandria), al Senato da 8 a 5 (la circoscrizione abbraccia tutte le province piemontesi esclusa Torino).
Quanto al destino di coloro che competeranno nella parte maggioritaria, c’è poco da dire. Alle scorse elezioni il centrodestra fece “cappotto” nei collegi uninominali eleggendo alla Camera il leghista Flavio Gastaldi a Cuneo e ad Alba Enrico Costa (all’epoca in Noi con l’Italia), mentre lo scranno senatoriale era andato al forzista Marco Perosino. Numeri alla mano, è difficile dubitare che la coalizione possa ripetere il risultato, senonché almeno uno dei candidati - l’ex ministro monregalese Costa, passato con Azione di Carlo Calenda - dovrebbe essere fuori dall’orizzonte del centrodestra. Quanto a Gastaldi e Perosino, tutto sta alla disponibilità dei rispettivi partiti (e alleati) a ricandidarli.
Il discorso è molto più complesso per quanto attiene al listino plurinominale. Alla Camera nel 2018 erano entrati per questa via Monica Ciaburro (Fratelli d’Italia, subentrata a Guido Crosetto che era stato eletto anche a Bergamo), Chiara Gribaudo (Pd) e Fabiana Dadone (M5S). Al Senato Giorgio Bergesio della Lega e Mino Taricco del Pd. Ma, come detto, c’è da fare i conti con la “mannaia” della riduzione dei parlamentari. Ad oggi l’unico che ha deciso di scendere dalla giostra è Taricco: non si ricandiderà. Per il ministro uscente Dadone si pone una questione politica, relativa al famoso limite dei due mandati. Al netto di questo, la strada dei pentastellati è accidentata: la volta scorsa con il 24% elessero due candidati nella circoscrizione (mancando per poco un terzo seggio, che sarebbe andato alla racconigese Debora Bastiani), stavolta è incerto che mandino qualcuno a Roma.
La legge elettorale in vigore, il cosiddetto Rosatellum, prevede per i collegi plurinominali un riparto nazionale, con metodo proporzionale, tra coalizioni e liste che abbiano superato lo sbarramento (al 10% e al 3% rispettivamente, più un limite dell’1% per i partiti in coalizione). Il calcolo è complicato dalla possibilità di candidature multiple: se un candidato è eletto in più circoscrizioni plurinominali gli sarà assegnato il seggio in cui la lista a lui o lei collegata ha ottenuto il minor numero di voti. Se è candidato sia nel maggioritario che nel proporzionale, prevarrà il collegio uninominale. Una matassa intricata, come ben sanno Ciaburro e Bergesio che dovettero aspettare settimane prima di vedersi proclamare eletti. Questa volta, più che mai, a fare la differenza sarà la capacità di “sgomitare” per ottenere un posto più alto nel listino, in un puzzle dove più dei meriti personali possono contare logiche di appartenenza correntizie, incastri territoriali e alchimie politiche d’ogni sorta.
Andrea Cascioli
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