Cinque anni fa Cuneo si preparava al lockdown. Risso: “La pandemia vera ora sono i disturbi mentali”
Il direttore del Dipartimento di Salute Mentale fa il punto sulle conseguenze del Covid: “Nella chiusura c’è stata sofferenza, ma ha contribuito a diminuire gli stereotipi”Cinque anni fa la provincia di Cuneo stava per fermarsi. Da settimane i telegiornali parlavano ininterrottamente dell’aumento dei casi di un virus quasi sconosciuto, ma che faceva paura. Parte dell’Italia era già chiusa e il 9 marzo 2020 toccò anche alla Granda, con il lockdown a livello nazionale. Si pensava sarebbe stato uno stop momentaneo e invece stare tutto il giorno tra le quattro mura di casa diventò la normalità. I bambini impararono a vedere le maestre da uno schermo, ragazze e ragazzi avrebbero poi sostenuto esami a distanza. C’era chi usciva comunque per andare a lavorare, e chi invece quel lavoro durante la pandemia l’ha perso.
Dopo settimane chiusi in casa, talvolta in solitudine, tornare alla vita normale per molti non è stato facile. E lo dimostrano i numerosi studi che hanno evidenziato l’aumento dei sintomi ansiogeni e depressivi, il peggioramento del sonno e della qualità della vita dopo la fine del lockdown. Dopo quasi cinque anni anche il Cuneese sta ancora facendo i conti con le conseguenze di quella chiusura. “La pandemia ha reso evidente un incremento importante dei disturbi mentali, del comportamento alimentare, depressione e ansia, in generale la sofferenza dei giovani. L’onda lunga dei disturbi mentali continua a esserci, ma dobbiamo anche tenere presente che quella condizione di solitudine era già iniziata prima, la pandemia l’ha resa evidente e aggravata”, spiega il dottor Francesco Risso, direttore del Dipartimento di Salute Mentale interaziendale dell’Asl Cn1 e dell’Azienda ospedaliera “Santa Croce e Carle” di Cuneo.
“Quei due anni di pandemia sono stati un momento di grande solitudine, ma la solitudine che vive la nostra società non è più legata a quella chiusura. La pandemia vera ora sono i disturbi mentali. I nostri giovani sono soli”, continua Risso. Tra le cause di quella solitudine, spiega il dottore, ci sono la mancanza di interazioni sociali e la dipendenza da internet e dai social, oltre al sempre più diffuso abuso di sostanze: “Nel mondo di oggi c’è una conoscenza istantanea di ciò che succede, e questo crea molta ansia. Il mondo che ci viene proposto è angosciante, pieno di dolore e di guerre. Quando ero piccolo io c’era il discorso della guerra fredda, ma a noi sembrava così lontana, ora invece è tutto vicino”.
Negli anni i ricoveri ospedalieri in ambito di salute mentale sono aumentati costantemente. Uno dei problemi è che in provincia di Cuneo non ci sono reparti di psichiatria adatti per accogliere i giovani. “Abbiamo le pediatrie e le psichiatrie. Le pediatrie hanno dovuto adattarsi perché prima avevano bambini con malattie infettive, ora hanno anche ragazzini con disturbi del comportamento alimentare e disturbi depressivi. E quando i casi sono più gravi i ragazzini sono mandati in psichiatria, ma servirebbe un reparto apposito per i minori con disturbi mentali. Ormai c’è sempre almeno un minore ricoverato in psichiatria, negli anni passati però non era così”, spiega il dottor Risso.
La pandemia ha quindi messo in evidenza una condizione di disagio giovanile (e non solo) che esisteva già prima, ma che era latente. “Nella chiusura c’è stata sofferenza, ma con la fine della pandemia si è iniziato a parlare di più dei disturbi mentali e del fatto che sono sempre più precoci”. Una maggiore apertura sul tema ha permesso al territorio di studiare strategie per rispondere in modo efficiente e fare prevenzione. Nel Cuneese c’è una rete che ha saputo far fronte comune per aiutare i ragazzi e le ragazze, proponendo progetti come il “Cantiere adolescenti”: un punto di ascolto per i giovani in cui si può trovare il supporto di specialisti. È rivolto a chi si sta affrontando un periodo difficile, vuole superare una difficoltà o anche solo chiedere informazioni.
Cantiere adolescenti è nato grazie alla collaborazione tra il Dipartimento Materno Infantile (tramite la Neuropsichiatria Infantile e i consultori familiari), il Dipartimento Salute Mentale (tramite i centri di salute mentale, il centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare - DCA - e la Psicologia) e il Dipartimento Dipendenze Patologiche. L’accesso è spontaneo, si può andare da soli, accompagnati dal fidanzato o da un’amica e, nel caso in cui la persona abbia bisogno di un sostegno maggiore, viene accompagnata da uno specialista. Nel 2024 ci sono stati 2 mila contatti con il Cantiere adolescenti, anche grazie a psicologi ed educatori che sono andati a fare prevenzione nelle scuole e nelle associazioni sportive.
La prevenzione svolge un ruolo fondamentale nel contrasto alla diffusione dei disturbi mentali ed è importante che parta dalla quotidianità: famiglia, insegnanti, pediatra e medico di famiglia, ma anche allenatori sportivi e in generale da chi frequenta i luoghi di aggregazione dei giovani. “Queste persone devono avere la lampadina accesa e capire che dietro certi atteggiamenti, magari anche trascurabili, può esserci qualcosa che non va”, aggiunge il dottor Risso.
E quella maggiore attenzione sul tema ha contribuito a far cadere, anche se non ancora del tutto, il pregiudizio che ruota attorno alla salute mentale. “Se hai un incidente di natura fisica ne parli con gli amici, ti confronti sullo specialista a cui ti sei rivolto – conclude il direttore del Dipartimento di Salute Mentale –. Ma se uno ha una sofferenza psicologica non si sognerebbe mai di andare in palestra e raccontare al vicino di essere andato dallo psichiatra o di aver preso delle medicine perché non riusciva a dormire. Siamo lontani dal raggiungere quel traguardo, ma è lì che dobbiamo arrivare”.
Micol Maccario

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