L'Olocausto a Borgo San Dalmazzo: Memo4345 ricorda una storia a lungo dimenticata
Negli spazi della ex chiesa di Sant'Anna si ricordano gli ebrei che furono internati nel campo di concentramento borgarino e poi deportati ad Auschwitz tra il 1943 e il 1944Ogni ricorrenza ha i suoi luoghi simbolo. Nel caso della Giornata della Memoria, istituita nel 2005 per ricordare lo sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, quei luoghi sono i campi di concentramento, testimonianze fisiche di un periodo tra i più bui della storia. Un orrore, quello dell’Olocausto, che vide come teatro anche la provincia di Cuneo. A Borgo San Dalmazzo, infatti, fu attivo tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 un vero e proprio campo di concentramento. Una storia fino ad alcuni anni fa poco nota, una storia di cui gli stessi borgarini, negli anni successivi al conflitto, avrebbero parlato malvolentieri. A testimonianza dei fatti avvenuti in quei mesi, dal 2021 è aperto a Borgo San Dalmazzo il museo multimediale Memo4345: allestito all’interno della ex chiesa di Sant’Anna, il percorso espositivo, frutto di approfondite ricerche storiche, accompagna i visitatori alla scoperta della storia degli ebrei - oltre 350 - che furono deportati dal campo borgarino, la gran parte con destinazione Auschwitz.
La fuga da Saint Martin Vesubie
Il campo borgarino aprì la sera del 18 settembre 1943. Pochi giorni prima circa ottocento ebrei, una volta iniziato il ripiegamento delle truppe italiane della IV Armata di stanza in Francia dopo l'armistizio dell'8 settembre, erano fuggiti dal confino coatto di Saint Martin Vesubie e attraversando le Alpi a piedi erano scesi in valle Gesso. Si trattava di persone provienienti da tutta Europa, che speravano che dopo l’8 settembre l’Italia potesse essere un luogo sicuro. Da questa parte delle montagne, a Valdieri, i fuggitivi trovarono però le forze tedesche. I nazisti avevano occupato Cuneo il 12 settembre, oltre trecento persone furono catturate durante il rastrellamento in valle sei giorni più tardi. Gli ebrei stranieri arrivati da Saint Martin Vesubie – compresi coloro che si presentarono spontaneamente dopo un bando diramato dal Comando tedesco di Borgo San Dalmazzo - vennero schedati la sera stessa, ma di quei registri oggi non c’è più traccia. Negli archivi del Comune di Borgo San Dalmazzo è presente un elenco che riporta 349 nomi, che si stima sia stato compilato più di un mese dopo l’internamento dei prigionieri. Agli ebrei catturati il 18 settembre si erano aggiunti quelli rastrellati dalla Gestapo a Cuneo e dintorni e quelli che, dopo aver trovato rifugio nelle montagne e nelle borgate intorno a Borgo San Dalmazzo, furono trovati e fermati dai tedeschi nei giorni successivi all'arrivo da Saint Martin Vesubie. Alcuni erano riusciti a fuggire gettandosi dai camion che dalla valle Gesso trasportavano i catturati verso Borgo San Dalmazzo, altri confondendosi tra la folla che si era radunata sul piazzale antistante l'ex caserma degli Alpini scelta come Polizeihaftlager.
Il campo di concentramento
Il campo non aveva l’aspetto macabro al quale i lager rimandano l’immaginario collettivo. Non c’erano torrette di guardia, non c’era il filo spinato: si trattava semplicemente dell’ex caserma degli Alpini “Principe di Piemonte”, abbandonata da anni, sita nel piazzale che oggi ospita le scuole medie e l’Asl. C’erano Carabinieri addetti alla sorveglianza interna, c'erano militari tedeschi, ma alcuni detenuti avevano permessi per uscire e godevano di autorizzazioni a ricevere visite all’interno del campo, oltre che a comunicare con i parenti all'esterno. Nelle settimane successive molti borgarini si mossero per portare ai prigionieri cibo, coperte, indumenti e altro materiale, tutto quanto potesse in qualche modo alleggerire il peso della permanenza nel campo. Figura fondamentale fu quella di don Raimondo Viale, che insieme a don Francesco Brondello, oltre a fornire aiuti materiali agli internati, si prodigò per coloro che erano riusciti ad evitare la cattura e che si nascondevano nelle vallate circostanti: a lui dal 1998 è intitolata la piazza dove sorgeva il campo.
La permanenza dei prigionieri nel campo in ogni caso fu fin da subito molto dura: la caserma, dopo tanti anni di abbandono, era sporca, fatiscente e priva dei servizi fondamentali, dai materassi al riscaldamento. Sarebbero poi stati gli stessi detenuti ad allestire un’infermeria e a ripulire i locali, sfruttando anche gli aiuti ricevuti dai borgarini. Ad una sistemazione precaria si aggiungevano poi le continue violenze, le umiliazioni e i soprusi da parte delle SS. Gli uomini in salute nei due mesi successivi furono costretti a svolgere lavori pesanti, proprio come accadeva nei più grandi campi di concentramento in altre parti d’Europa: il più delle volte si trattava di trasportare alla stazione ferroviaria tutto ciò che veniva razziato sul territorio e poi inviato in Germania.
Tra i detenuti ci fu chi riuscì a salvarsi dalla deportazione alla quale gli ebrei erano destinati: alcuni riuscirono ad evadere e scappare, altri si salvarono perchè ricoverati nell’ospedale di Cuneo (quelli ricoverati a Borgo, invece, non furono risparmiati), chi per malattie contratte durante l'internamento, chi per incidenti durante il lavoro nel campo. A fine ottobre, inoltre, furono liberati i prigionieri cuneesi, gli “ariani” che secondo i rapporti dell’epoca erano stati “erroneamente arrestati”, e nel campo rimasero solamente gli ebrei stranieri.
A inizio novembre anche le forze tedesche della Waffen SS, inviate sul fronte russo, lasciarono Borgo San Dalmazzo. Furono rimpiazzate in provincia di Cuneo dalla Wermacht, la quale decise di lasciare ai Carabinieri la gestione del campo. Nel frattempo, il 20 novembre, si concluse la deportazione verso Auschwitz degli ebrei internati nel campo di Drancy, a nord est di Parigi: un evento che indirettamente condannò anche i prigionieri di Borgo San Dalmazzo. Fu in quel momento, infatti, che il comandante del campo di Drancy Alois Brunner ordinò la partenza di coloro che erano detenuti nell'ex caserma degli Alpini “Principe di Piemonte”: la direttiva fu trasmessa a Borgo San Dalmazzo dall'Ufficio antiebraico della Gestapo di Nizza e la mattina del 21 novembre fu comunicata ai prigionieri. Nelle cucine del campo gli internati si affrettarono a recuperare tutto il cibo possibile, i Carabinieri offrirono loro cappotti e provviste per il viaggio: un viaggio lungo, si andava “nel Reich”, come avevano comunicato le SS arrivate al campo la mattina. Alle 11 l’ordine di partire, con quattro o cinque militari tedeschi a scortare gli ebrei verso la vicina stazione ferroviaria, dove dieci-dodici vagoni merci erano stati predisposti la sera precedente: alle 13, dopo essere stati depredati di denaro e gioielli, tutti i detenuti furono caricati sui vagoni. Alle 14 il convoglio partì verso Nizza via Savona per poi fare tappa a Drancy e, tra dicembre e gennaio, ripartire verso Auschwitz: a bordo del treno partito il 21 novembre 1943 dalla stazione di Borgo San Dalmazzo c’erano 331 ebrei.
La seconda deportazione
Dopo quel nefasto 21 novembre il campo rimase chiuso per dodici giorni, prima di essere riaperto su iniziativa della Repubblica Sociale Italiana a inizio dicembre: il Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi dispose l’arresto degli ebrei presenti sul territorio nazionale e la loro detenzione nei campi di concentramento provinciali, contestualmente alla confisca di tutti i loro beni. Nei due mesi successivi altri 26 ebrei, 23 italiani e 3 stranieri, sarebbero così stati rinchiusi nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo, in attesa di un destino analogo a quello di chi li aveva preceduti. Un nuovo convoglio partì dalla stazione ferroviaria borgarina, diretto a Fossoli, alle 5.30 del mattino del 15 febbraio 1944, un orario strategico scelto in modo che la popolazione non si accorgesse di ciò che stava succedendo: alcuni furono poi deportati ad Auschwitz, altri a Buchenwald.
Dei 357 ebrei detenuti nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo e successivamente deportati, settantotto non arrivavano ai 21 anni, sette avevano meno di un anno. Pochissimi riuscirono a sopravvivere: i nomi di diciannove superstiti campeggiano in verticale nel Memoriale di fianco alla stazione ferroviaria, simbolo visivo di chi era riuscito a rimanere in piedi. Secondo le ricerche condotte negli anni successivi dalle autrici di “Oltre il Nome”, Adriana Muncinelli ed Elena Fallo, però, i superstiti sarebbero stati almeno trentanove.
Dopo la guerra
Al termine del conflitto, per vent'anni il campo rimase così com'era quel 15 febbraio del 1944, quando gli ultimi prigionieri lo lasciarono: abbandonato al suo destino, ferita aperta in una città che per molti anni avrebbe fatto fatica a riparlare di ciò che vi era successo in quei cinque mesi. Non si fece nulla per conservare la struttura, né per costruire una consapevolezza dolorosa, ma necessaria ed istruttiva: i gesti concreti per mantenere viva questa memoria sarebbero arrivati solo decenni più tardi. Tra il 1964 e il 1974 un'intera ala dell'edificio venne demolita per fare spazio alla nuova scuola media della città. Solo una targa, accanto all'ingresso, fu posta a ricordo dei fatti avvenuti durante la guerra. Nei decenni successivi l'edificio che oggi ospita gli ambulatori e gli uffici dell'Asl si sarebbe poi sovrapposto a ciò che restava della ex caserma degli Alpini: una parte venne ristrutturata, un'altra abbattuta e ricostruita. Oggi di quello che fu il campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo rimangono l'androne, un salone, ristrutturato e intitolato a don Raimondo Viale, e il cortile interno. È rimasta come allora, invece, la stazione ferroviaria dalla quale partirono i convogli. Il Memoriale che ricorda gli ebrei deportati dal campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo di fianco alla stazione ferroviaria è stato inaugurato nel 2006.
Memo4345
Memo4345 è stato inaugurato il 5 settembre del 2021. L’obiettivo, per usare le parole dell’allora sindaco di Borgo Gian Paolo Beretta, è ricordare una storia “che per troppi anni è stata dimenticata”. I contenuti dell’esposizione sono stati curati dalla già citata Adriana Muncinelli, collaboratrice dell’Istituto storico della Resistenza e della Società Contemporanea della provincia di Cuneo. Memo4345 ospita non solo la ricostruzione delle storie di chi venne deportato da Borgo San Dalmazzo, ma anche approfondimenti sulla persecuzione antiebraica in Europa nella prima metà del Novecento, fino alla Shoah. Un’iniziativa - spiegano gli ideatori del museo - “dedicata alla memoria degli ebrei che sono passati di qui e rivolta a tutti coloro che sentono il dovere di conoscere e ricordare i passi che hanno portato alla Shoah e la responsabilità di opporsi oggi ovunque si manifestino”.
La gestione del percorso museale è affidata all’Atl del Cuneese, già titolare dell’Ufficio Turistico IAT di Borgo San Dalmazzo. La mostra è visitabile il sabato e la domenica (è consigliata la prenotazione, a questo link ulteriori informazioni), mentre dal lunedì al venerdì è aperta su richiesta per gruppi e scolaresche. Memo4345 è un progetto del Comune di Borgo San Dalmazzo, realizzato anche con il contributo del FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), nell’ambito di Vermenagna-Roya (Programma europeo di cooperazione transfrontaliera tra Francia e Italia ALCOTRA 2014/20), e con il contributo di Fondazione CRC per restauro e valorizzazione della ex chiesa di Sant'Anna, grazie al Bando Patrimonio Culturale.
Nella Giornata della Memoria che si celebra oggi, chiudiamo con una riflessione riportata proprio sul sito di Memo4345: “Oggi come allora, le democrazie impaurite dalle pressioni populiste cominciano a distinguere tra migranti ‘qualificati’ da eventualmente accogliere e quelli da respingere. Nessuna differenza tra i nazionalismi furibondi del primo dopoguerra e quelli di oggi, che ciecamente si costruiscono con le proprie mani la loro prigione, barricandosi dietro fili spinati e leggi contro la pietà, identiche a quelle del passato. Nessuna differenza nei mille avvoltoi politici che presentano ogni giorno esattamente come allora, gli stranieri come la causa di tutti i mali del proprio Stato. E che seminano nei confronti di quanti chiedono aiuto la psicosi dell’invasione criminale. Nulla di nuovo nell’indifferenza di quanti, oggi come allora, continuano la loro vita chiudendo occhi e orecchie, come se nulla stesse succedendo, come se tutto questo non li riguardasse”.
Andrea Dalmasso

Giorno della Memoria - Borgo San Dalmazzo - memo4345