Franco Arese apre il libro dei ricordi: "Il vantaggio dei nostri tempi? Avevamo tutto da conquistare"
L'oro agli Europei di Helsinki nel 1971, la carriera da imprenditore, il Cuneo Calcio: "Sono soddisfatto di quello che ho fatto nella mia vita"“Quando esce l’articolo?”. “Giovedì, glielo mando poi su WhatsApp”. “Ma secondo te, io ho WhatsApp?”. Uomo d’altri tempi, Franco Arese. Un gigante dello sport, un imprenditore capace ed una persona perbene. Con un po’ di nostalgia per i tempi andati, quando “mica eravamo abituati a mangiare le bistecche, si viveva di cose semplici ed avevamo tutto da conquistare”. E un viaggio in aereo “sembrava un sogno, con i pasticcini e delle hostess che te le raccomando”. Arese ha aperto per noi il suo libro dei ricordi, regalandoci un viaggio bellissimo, tra aneddoti, emozioni ed esperienze uniche. Gli anni da atleta, come ottimo mezzofondista che vinse l’oro nei 1500 metri agli Europei di Helsinki nel 1971. La carriera da imprenditore, prima con Asics, poi con Karhu, passando per la presidenza della Federazione Italiana di Atletica Leggera e i dieci anni alla guida del Cuneo Calcio, portato ad un passo dalla C1.
Come sta oggi Franco Arese?
“Bene. Mi godo un po’ di tranquillità, nel lavoro sto facendo un passo indietro. Voglio lasciare più libertà ai miei figli. Il mondo è andato avanti, ad un certo punto bisogna capirlo e lasciare spazio”.
Riavvolgiamo il nastro dei ricordi. Che anni sono stati quelli da atleta?
“Bellissimi. Ho avuto la fortuna di stare bene di salute, e di avere la passione per il fondo. È una gran scuola di vita, ti aiuta a non mollare mai. Ricordo ancora con molto piacere quando vinsi la finale studentesca dei 1500 metri: c’era grande rivalità. Io facevo il Bonelli e arrivai a vincere la fase nazionale. Dopo quel successo, il preside mi chiamò, e mi disse: ‘Arese, lei ha un nome breve, vedrà che farà bene’. Mi diede una medaglia d’oro e all’improvviso tutti sapevano chi ero”.
Poi arrivò l'Europeo vinto a Helsinki nel 1971.
“Quell’anno ero davvero in forma, feci tutti i record italiani e vinsi anche la maratona di Roma, motivo di grande soddisfazione per un mezzofondista. Potevo vincere gli Europei anche due anni prima: ero il favorito, mi fregò l’emozione. La notte prima non dormii, persi malamente. Ad Helsinki arrivai solo due giorni prima e l’emozione non mi tradì. Bei tempi”.
Quanto è cambiato il mondo?
“Non dirò mai che erano tempi migliori di oggi, perché ognuno è figlio del suo periodo. Ma noi avevamo un grande vantaggio: avevamo tutto da conquistare. Vivevamo di cose semplici, mica eravamo abituati a mangiare le bistecche. Lo sport era un modo per imporsi all’attenzione della società. Non c'erano i procuratori, tutto era più genuino, con meno filtri. Io dormivo in camera con dei giornalisti. Cose impensabili oggi”.
Come cominciò l'avventura da imprenditore?
“Mi ruppi il tendine d’achille. Era il 1974. Il recupero fu lungo e complicato. In quei mesi, io che ero abituato a gareggiare tantissimo, mi fermai a pensare. Mi chiesi: ‘Franco, cosa vogliamo fare?’. Avevo capito che non sarei più tornato competitivo come prima, e presi la decisione di smettere e di impegnarmi nel mondo del lavoro. Così iniziò la fantastica avventura con Asics, prima da agente, poi da imprenditore”.
Quindi la presidenza della Federazione di Atletica e del Cuneo. Della prima, cosa ci dice?
“Una esperienza bella e durissima. Quando entri nel pubblico, devi stare attento a come muoverti, perché non sempre 1+1 fa 2. Non ci ero abituato, all’inizio andavo in crisi, ma è stata un’esperienza che ha aggiunto qualcosa alla mia storia”.
E il Cuneo Calcio?
“Ah, il Cuneo. Anni ruggenti, esaltanti! È cominciato tutto per caso, non pensavo di entrare nel calcio. Conoscevo l’allora presidente Mucciarelli che mi introdusse nella società, poi piano piano rimasi da solo, col cerino in mano. Cercai di fare del mio meglio, grazie anche a mio fratello, senza il quale non ce l’avrei fatta. Restai 10 anni”.
Il ricordo più bello di quel periodo?
“Ne dico due: l’emozione nel vedere il Paschiero totalmente pieno il giorno che siamo saliti in C2. E poi l’anno nel quale abbiamo sfiorato la C1. Avevamo una grande squadra, guidata da mister Fortunato, con cui sono ancora in contatto. C’era già Vercellone come dirigente. C'era molto seguito: si viveva il calcio in modo diverso, con più passione. Ad un certo punto, però, decisi di lasciare. Era venuto meno un po’ di entusiasmo. Un momento triste, con un po’ di commozione, ma fu la scelta giusta da fare”.
Cosa ne pensa della nuova società e del progetto che sta portando avanti?
“Mettendosi insieme, hanno fatto la scelta migliore per il periodo che stiamo vivendo. Ho parlato di recente con il presidente Bernardi che mi ha invitato a una partita. Ci andrò. Stanno lavorando bene, sono organizzati, ambiziosi, ma anche con i piedi per terra”.
Lei che lo ha vissuto in prima persona, ci può dire quali sono le difficoltà nel fare calcio a Cuneo?
“C’è tanta concorrenza. In Piemonte abbiamo diverse squadre in categorie superiori, ed ogni pianta fa ombra. E poi ci sono costi importanti. La pallavolo, per esempio, costa di meno, ed è quindi più facile trovare sponsor. Seguo anche il volley: le società cuneesi stanno facendo bene. Abbiamo la fortuna di avere un impianto straordinario. Spesso si dà contro al Comune, ma non dimentichiamoci di questo”.
In conclusione, se si guarda indietro, cosa vede?
“Una vita di cui sono soddisfatto. Non facile, soprattutto all’inizio. Camminavo per 2 chilometri per andare all’asilo a Madonna dei Prati, a Centallo. Da lì, sono arrivato anche a New York. Lo immaginate? Tutto diventava un’esaltazione in quei tempi. A 20 anni, quando presi l’aereo da Torino a Roma, mi sembrava un sogno: c’erano i pasticcini, delle hostess che te le raccomando, una più bella dell’altra. Forse potevo fare di più nello sport, vincere altre medaglie, ma alla fine non cambia niente. Sono contento, anche di essere riuscito a realizzarmi nel mondo del lavoro”.
L'intervista è stata pubblicata sul numero di giovedì 20 ottobre del settimanale Cuneodice
Gabriele Destefanis
CUNEO sport - arese