Il Cuneo è morto, viva il Cuneo: un secolo di crisi e resurrezioni dei biancorossi
Questa volta la sfida è più ardua che mai, ma il calcio cittadino nella sua lunga storia ha dimostrato di poter sopravvivere a ogni avversitàRiconsiderando ciò che è accaduto al Cuneo Calcio in quest’ultima, tremenda stagione sportiva, viene davvero da pensare a quella scena di Frankenstein Junior in cui Marty Feldman tenta di rincuorare un abbattuto Gene Wilder dicendogli “potrebbe essere peggio, potrebbe piovere”, e subito si scatena il diluvio.
E infatti è giusto concludere che una pagina così vergognosa nei 114 anni di storia del club biancorosso non fosse mai stata scritta. Non solo per l’umiliante finale, con l’obbligo di ripartire dall’ultimo campionato Figc (e in quali condizioni, bisognerà scoprirlo), ma per l’onta di vedere una società con un passato secolare finire in mano a un gruppo di avventurieri senza scrupoli e sovente senza ritegno.
Eppure, un motivo di conforto è possibile trovarlo perfino nell’ora più buia. Perché il Cuneo è sempre riuscito a risorgere da tutte le peggiori crisi che ne hanno tormentato il cammino fin quasi dalla fondazione. Basta sfogliare le pagine del volume che il compianto cronista Gualtiero Franco ha dedicato alla storia dei biancorossi, “Da cent’anni nel pallone”, per rendersi conto che l’ultimo ventennio, quello delle gestioni Arese e Rosso, ha rappresentato l’eccezione e non la regola in quanto a stabilità dei conti e successi in campo.
Il cammino del Cuneo comincia nel 1905, agli albori del football italiano, per opera dei soci dell’Unione Sportiva Alta Italia, società polisportiva del capoluogo che nasce come compagine ciclistica ed estenderà poi le sue attività a una serie di altri ambiti, tra cui appunto il calcio. La progenitrice del Cuneo a quei tempi veste la maglia bianconera e gioca nel campo di piazza Regina Elena, l’attuale piazza Martiri della Libertà. Già nel 1915, però, le difficoltà dirigenziali convincono i dirigenti ad approvare la fusione tra l’Alta Italia, reduce dal suo primo campionato FIGC, e la società La Rola: dall’unione dei due sodalizi nasce l’Unione Sportiva Cuneese, che avrà però vita breve. A causa dell’esplodere del primo conflitto mondiale, infatti, pochi mesi dopo si impone lo scioglimento. L’Alta Italia risorge nel 1919, a guerra finita, e prosegue il suo cammino per un decennio, finché il regime fascista esige un cambiamento. Nell’ottobre 1927 Alta Italia, Cuneese e Vigor si uniscono per formare la Fedelissima Polisportiva Cuneese, che mantiene i colori bianconeri del club più titolato. È una fusione imposta dalla politica ma poco sentita dai tifosi, e che per giunta si porta dietro grossi passivi di bilancio: la nuova squadra infatti eredita 55mila lire di debito da Alta Italia e Cuneese e solo dopo un paio di stagioni riuscirà a chiudere in pareggio.
Le banche però non smettono di battere cassa, finché si prende atto del fallimento della fusione. Il 17 maggio 1930, dalle ceneri della Fedelissima nasce la Cuneo Sportiva: schiera giocatori tutti cuneesi nel successivo campionato di seconda divisione e porta con sé una grossa novità. Agli storici colori bianconeri dell’Alta Italia, infatti, si preferiscono quelli del blasone cittadino: bianco e rosso.
Solo cinque anni dopo nuovi travagli societari porteranno a una mini-fusione con il Dopolavoro Cuneo, ma sono comunque tempi felici. Quelli dei fratelli Aldo e Riccardo Paschiero, del nuovo stadio in corso Monviso, dell’incredibile cavalcata verso la serie B che sfuma solo agli spareggi nel 1942. Non dura a lungo: la tragedia della guerra si riverbera sul calcio e nel campionato del 1944 il Cuneo si ritrova ultimo per debiti, penalizzato di nove punti per non essere riuscito a saldare il debito con il Torino per l’acquisto di Ruella. È solo il preludio alle continue crisi estive che attanaglieranno i biancorossi nel dopoguerra, per lunghi anni. Nel 1948 la formazione deve addirittura rinunciare alla serie C e iscriversi in Promozione per mancanza di fondi: passeranno altre quarantuno stagioni prima di rivedere il calcio dei professionisti a Cuneo.
Altri scossoni societari si susseguono nel decennio successivo. Nell’estate del 1952 per scongiurare il peggio serve un comitato di emergenza che coinvolge due grandi nomi della politica locale, il futuro presidente della Regione Aldo Viglione e Adolfo Sarti, che sarà ministro in cinque diversi governi. Nel 1958, invece, arriva la gestione commissariale, affidata all’assessore Giovanni Novara. Gli anni Sessanta vedono finalmente il ritorno di una presidenza capace di assicurare stabilità e risultati ai tifosi, quella di Giovanni Barale. Ma i guai sono dietro l’angolo, pronti a riesplodere dopo la retrocessione in Promozione nel 1971: alla mancanza di soldi e dirigenti stavolta si sopperisce con una formula inedita, l’autogestione. Giocatori e sostenitori partecipano alla rifondazione e salvano, ancora una volta, il calcio cuneese.
Passata una stagione, si può tornare a sognare. Nel Cuneo entrano due imprenditori di successo, Giuseppe Cometto e Attilio Dutto. Finiranno male entrambi, l’uno travolto da un crac finanziario e l’altro ucciso in un misterioso attentato dinamitardo. Per un po’ comunque i successi arrivano davvero, compresa la promozione in D nel 1975. Ancora una volta, i sogni muoiono all’alba: in questo caso con l’avvicendamento alla guida del Cuneo del saluzzese Pier Carlo Roggiero, che al termine della stagione 1977-78 liquida l’intera prima squadra e rinuncia a mantenere la serie D. Una botta dura che però non porterà allo scioglimento del club, grazie all’intervento di un gruppo di appassionati (Ezio Barroero, Mario Sanino, Agostino Bonetto e altri) che lottano per ripartire dalla Promozione.
Il resto è, come si suol dire, storia recente: il ritorno tra i professionisti sotto la presidenza Sanino nel 1989 e i fasti della prima C2, la doppia retrocessione a metà anni Novanta, l’arrivo di Franco Arese con una nuova, ancora più eclatante cavalcata in C2, e infine il decennio di Marco Rosso coronato da tre promozioni, uno scudetto dilettanti, sei stagioni in serie C. E concluso, purtroppo, nel peggiore dei modi.
“Il calcio al Paschiero è un’abitudine acquisita da troppi anni perché vi si possa rinunciare a cuor leggero” scriveva Franco, il cantore delle gesta dei biancorossi, più di vent’anni fa. Era vero allora ed è vero ancora adesso, nonostante la sfida sia la più dura che il calcio cittadino si sia mai trovato davanti: oggi più che mai, l’aquila del Cuneo dovrà trasformarsi in un’araba fenice e risorgere dalle sue ceneri.
Andrea Cascioli
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