Silvano Prandi, la Hall of Fame e non solo: "Non mi pongo limiti. Allenare per me è un piacere"
Intervista al Professore, oggi tecnico dello Chaumont, inserito tra le leggende del volley mondiale: "Riconoscimento molto gratificante. La Francia? Si vive bene, avrei dovuto fare prima un'esperienza all'estero"“Non mi pongo limiti, anche perché per me allenare non è un lavoro, ma un piacere”. Silvano Prandi, classe 1947. Un palmares da brividi ed una carriera da tecnico lunga quasi 50 anni. Potrebbe godersi la pensione nella sua amata Cuneo, ricordando i quattro scudetti e la Coppa Campioni vinte con Torino a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, o l’emozione della prima medaglia olimpica dell’Italia, il bronzo a Los Angeles nel 1984. Oppure gli splendidi anni cuneesi (dal 1993 al 1999 e dal 2005 al 2009), quando ha alzato tre Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, due Coppe delle Coppe, una Coppa CEV e due Supercoppe Europee, o magari l’esperienza in Francia, allo Chaumont, che ha fruttato uno storico scudetto, una Coppa di Francia e due Supercoppe nazionali. Eppure, di smettere di soffrire in panchina il Professore non ne ha ancora voglia. E mentre si gode le vacanze a Cuneo progettando già la prossima stagione, che sarà ancora allo Chaumont, è arrivato per lui l’ennesimo, prestigiosissimo riconoscimento che metterà presto in bacheca: l’ingresso nella International Volleyball Hall of Fame, primo allenatore italiano a riuscirci. Lo abbiamo contattato per commentare questa notizia: ne è venuta fuori una piacevolissima chiacchierata.
Partiamo proprio dalla Hall of Fame: che effetto fa?
“È molto gratificante. Una grande soddisfazione personale, perché il riconoscimento viene da un’istituzione importante che tanti anni fa ebbi anche occasione di visitare. Ai tempi era riservata solo al basket, successivamente è stata introdotta anche la sezione pallavolo ed è stata aperta anche ai non statunitensi. Guardando agli altri nomi che ci sono dentro, è una cosa che va oltre quella che poteva essere una mia personale aspirazione, anche se poi uno cerca sempre di fare il massimo. Anche perché con mia grande sorpresa sono il primo allenatore italiano a riuscirci, sempre che Velasco sia considerato argentino”.
Un nuovo riconoscimento in bacheca. Ma intanto lei non ha nessuna intenzione di fermarsi: il prossimo anno guiderà ancora lo Chaumont.
“Sì, ho ancora un anno di contratto, quindi certamente mi fermerò nella prossima stagione. Poi si vedrà”.
Su questo “poi si vedrà” torneremo dopo. Facendo invece un passo indietro, come giudica l’ultima stagione, nella quale siete arrivati in finale scudetto cedendo solo al golden set con il Tours?
“Evidentemente uno aspira sempre al massimo, nel nostro caso la vittoria dello scudetto. Ci siamo andati molto vicini, perdendo solo in finale al golden set, i calci di rigore della pallavolo. Certamente il regolamento, che prevedeva in caso di una vittoria a testa il golden set da disputare sul campo del Tours, non ci ha agevolato. Ma credo che i nostri avversari abbiano meritato, anche perché hanno chiuso la regular season al primo posto, mentre noi siamo arrivati terzi, e si sono quindi guadagnati il diritto di giocare in casa il golden set. Siamo andati vicini, ma capita spesso di arrivare ad un passo dalla vittoria e non riuscire a coglierla. È andata molto peggio due anni fa, quando nella gara decisiva ci siamo trovati avanti 2-1 e 24-22 e alla fine abbiamo perso. Quello scudetto sì che lo abbiamo buttato, per questo ho pochi rammarichi, in realtà. Ed in generale, sono soddisfatto di come stanno andando le cose allo Chaumont: in 7 anni abbiamo disputato 5 finali scudetto. In questo senso siamo la squadra francese più regolare”.
Cosa l’ha conquistata della Francia, dove allena ormai da 10 anni?
“La Francia è un Paese bellissimo, con una grande civiltà, in cui è davvero piacevole vivere. Io sono andato via dall’Italia dopo 37 campionati, tantissimi: diciamo che ne avevo a sufficienza (ride, ndr). Ho fatto benissimo a fare questa esperienza all’estero e oggi posso dire di avere il rammarico di non averlo fatto prima. Perché è un qualcosa che ti arricchisce molto, soprattutto dal punto di vista umano: ti trovi a vivere in un’altra nazione e per questo devi allenare anche il cervello. Per esempio, è necessario imparare almeno due lingue: non solo il francese, ma anche l’inglese, che è la lingua che si parla nelle squadre. In Francia poi c’è un regolamento che permette la presenza di più stranieri rispetto all’Italia, per cui ti trovi a contatto con tante culture differenti, pallavolistiche e non solo, e questo è piacevole ed interessante”.
Certo, però poi Cuneo è sempre nel suo cuore. Segue le vicende pallavolistiche della nostra città?
“A Cuneo sono residente. Ci vengo ovviamente per trascorrere le vacanze e sono molto interessato alle bellezze della città. Parlando invece della pallavolo cuneese, non sono in grado di esprimere alcun parere perché non ho nessun contatto. Ho visto un paio di partite due anni fa, nulla di più: davvero non posso giudicare. Conosco qualcosa di più dell’ambito femminile, perché c’era il mio ex capitano Diego Borgna come presidente che mi aveva parlato del progetto, e c’è tuttora Gino Primasso, che conosco”.
In conclusione, torniamo al suo futuro. Dove trova ancora gli stimoli per andare avanti un allenatore vincente come lei e con quasi 50 anni di carriera?
“Ma guardi che io non faccio nessuna fatica ad allenare. Per me non è un lavoro, ma un piacere ed una grande soddisfazione. Vivere all’interno di un club importante, partecipare alle coppe europee, avere contatti con la pallavolo mondiale: sono tutte cose per me stimolanti. Per questo non mi pongo limiti. Finché me ne danno la possibilità...”
Gabriele Destefanis
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