Il medico cuneese nella ‘trincea’ lombarda: ‘Ecco cosa non ha funzionato nell'emergenza’
Su Facebook la Lega ha condiviso un post in cui criticava Borrelli e Boccia. Il dottor Davide Giraudo non lo rinnega: ‘Ho comprato le mascherine di tasca mia quando i politici invitavano la gente all’aperitivo’La ‘notorietà’ l’ha raggiunto a sua insaputa, quando la pagina ufficiale della Lega-Salvini Premier ha condiviso un suo post su Facebook del 21 marzo presentandolo come un “durissimo sfogo di Davide Giraudo, medico in prima linea contro il coronavirus”.
Lui è un 39enne originario di Beinette, che dopo il liceo classico a Cuneo e la laurea a Pavia si è specializzato in andrologia e oggi presta servizio a Melegnano, in provincia di Milano. Il suo post era in effetti una critica molto dura del ‘siparietto’ tra il responsabile della Protezione Civile Angelo Borrelli e il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia, andato in onda nel corso di una conferenza stampa dello scorso 19 marzo. Boccia era entrato in sala con una mascherina penzolante dall’orecchio e quando gli è stato fatto notare ha risposto “sono quelle che usiamo di solito noi che non siamo in ospedale”, suscitando un mezzo sorriso da parte di Borrelli. Al dottor Davide Giraudo quella scena non è andata giù, tanto da spingerlo a scrivere sul social: “L’Italia non merita politici del genere, 4000 italiani sono morti altre migliaia ne moriranno e questi due esseri ignobili fanno ironia sulle mascherine da galera che hanno mandato negli ospedali. Dovranno pagare tutto. Ricordatevelo. Gliela faremo pagare”.
“Ovviamente mi riferivo alle conseguenze politiche di questo agire. La Protezione Civile ha davvero mandato in Lombardia quelle mascherine che per fortuna la Regione ha requisito e spero che gli italiani se ne ricorderanno. Tutto lì” commenta ora il medico. Perché la verità è che le mascherine del genere di quella mostrata da Boccia negli ospedali ci entrano eccome. Perfino in quelli della Lombardia martoriata da ondate di nuovi contagiati a ogni ora e con un numero di morti a quattro cifre. L’Asst Melegnano Martesana copre tutta l’area meridionale del Milanese, a 10 km dalla provincia di Lodi e fino al confine con la Bergamasca. Per questo è stato uno dei primi presidi a essere investito dalla violenza dell’epidemia: “Con il tempo - spiega Giraudo - ci siamo riorganizzati. Non abbiamo gli ammalati nei corridoi ma l’intero ospedale è stato adibito al Covid-19. Negli ambulatori c’è un reparto di pneumologia, la rianimazione è passata da cinque a venti posti e i pazienti intubati vengono sistemati anche in sala operatoria”.
‘Le mascherine? Comprate con i miei soldi’
Lui per ora continua a gestire le emergenze urologiche ma - pur non essendo in un reparto Covid - è l’unico in tutto l’ospedale a disporre di mascherine del tipo FFP3. Il motivo? Le ha comprate di tasca sua a gennaio, quando l’emergenza sembrava lontanissima: “Non sono un infettivologo ma un amico da Pechino mi teneva informato su ciò che accadeva là. Quello che ho fatto nel mio piccolo lo avrebbero potuto fare le istituzioni ma il ministero non si è mosso nemmeno dopo aver decretato l’emergenza sanitaria”. L’errore irreparabile, spiega il dottore, si è commesso all'inizio: “Da destra a sinistra i politici, mal consigliati da alcuni tecnici come la Gismondo, dicevano che potevamo continuare come prima e uscire per gli aperitivi”.
Perfino il caso del ‘paziente 1’ a Codogno è stato trattato con leggerezza. L’anestesista che per prima gli ha diagnosticato il coronavirus, racconta Giraudo, ha dovuto forzare il protocollo perché l’esame del tampone non era previsto per chi non aveva avuto contatti diretti con la Cina. E le responsabilità, oltre che sulla politica nazionale e la burocrazia, pesano anche sul sistema regionale: “Il piano maxiemergenza della Lombardia risale al 2008. Non eravamo pronti, ciononostante abbiamo reagito bene: il collasso sarebbe potuto essere molto più grave”. La questione si può comprendere limitandosi ai freddi numeri: in tutta Italia c’erano circa 5 mila posti di rianimazione contro i 25 mila della Germania. La Lombardia li ha aumentati da 800 a 1200 in pochi giorni e non ha comunque evitato la saturazione.
Un problema di casse vuote, si è detto, ma anche di soldi mal spesi: “Qualcuno dovrà spiegare perché la sanità pubblica è stata massacrata per anni mentre si destinavano risorse per tecnologie che portavano guadagni alle strutture private, come i robot da Vinci”. Costano tre milioni l’uno e la Lombardia da sola ne ha più dell’intera Germania, osserva Giraudo: “Si è investito su quello e non sulle rianimazioni perché la terapia intensiva non genera introiti. E ora siamo al punto di non ricoverare nemmeno chi ha la polmonite”.
‘La sperimentazione di nuovi farmaci può aiutare gli ospedali’
La via d’uscita potrebbe passare per le terapie domiciliari, anche attraverso la sperimentazione di farmaci come l’idrossiclorochina di cui si parla sia in Lombardia che in Piemonte: “L’abbiamo usata dall’inizio per i malati ospedalizzati ma bisognerebbe darla a chi viene lasciato a casa, prima che si aggravi. Il problema è che non si trova più in giro, serve un supporto dalla farmacia militare e dall’industria del settore”. Insomma, tutto ciò che in questo momento può alleggerire il carico di nuovi pazienti nei reparti di pronto soccorso è benvenuto, compreso il discusso Avigan: “Al ‘Sacco’ si è iniziato a testarlo. Sembra assurdo che il dibattito si sia acceso con un video di Youtube, ma non possiamo lasciare nulla di intentato”.
Un altro accorgimento utile per il prossimo futuro, aggiunge l’urologo dell’Asst milanese, può essere quello di destinare agli asintomatici i pochi tamponi disponibili: “Se oggi qualcuno si presenta al pronto soccorso con quei sintomi la diagnosi è certa. Sarebbe più utile testare i contatti asintomatici di questi pazienti”. Per il resto, guai ad abbassare la guardia. Anche quando si minimizza la portata della pandemia: “La distinzione tra morti ‘di’ Covid o ‘col’ Covid è spesso irrilevante. E rischia di generare un senso di irresponsabilità nelle persone se non si spiega di quali ‘patologie pregresse’ parliamo: con malattie croniche come l’ipertensione o il diabete si convive per decenni. Un conto sono gli oncologici gravi, ma di un paziente che ha avuto un infarto vent’anni fa e muore col Covid-19 non si può dire che è morto perché aveva una patologia cardiaca”.
Andrea Cascioli
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