Anche Monterosso Grana ha ricordato la Liberazione: una memoria viva che parla al futuro
Nel discorso del sindaco Stefano Isaia, il racconto del coraggio della solidarietà e un invito ai giovani: "Voi potete fare la differenza, siate migliori di noi"Lo scorso venerdì 25 aprile le celebrazioni per 80° anniversario della Liberazione si sono tenute anche a Monterosso Grana, in borgata Levata. Riceviamo e pubblichiamo il discorso integrale di Stefano Isaia, sindaco di Monterosso Grana e presidente dell'assemblea dei sindaci dell'Unione Montana Valle Grana.
"Oggi siamo qui non solo per ricordare, ma per onorare.
Perché ciò che Monterosso Grana ha vissuto durante la Guerra di Liberazione non è soltanto storia: è memoria viva, è radice profonda del nostro essere comunità.
Tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945, questo paese ha conosciuto la violenza più dura. Ha subito distruzioni, rastrellamenti, lutti.
Ma ha risposto con coraggio, solidarietà e una forza morale che ancora oggi ci commuove e ci insegna.
Il primo rastrellamento, il 12 gennaio 1944, portò distruzione in molte borgate: San Pietro, Coumbal Martin, Tecet, Bialot, Verra, Pollini e Damiani.
A San Pietro andò in fumo la canonica e con essa un archivio storico molto antico: un danno inestimabile, non solo per Monterosso, ma per la memoria collettiva dell’intera Valle Grana.
Le testimonianze ci parlano di panico, di fughe disperate, di famiglie distrutte in pochi istanti. E non sarebbe stato l’unico episodio.
Il 10 ottobre 1944, un secondo rastrellamento portò altra violenza: un contadino, Giuseppe Damiano, fu ucciso alla Combetta.
Parte della borgata Tetti di Frise venne incendiata. Il parroco don Ludovico Golè fu preso in ostaggio insieme a quattro parrocchiani. Iniziava così un periodo drammatico in cui sacerdoti e civili venivano tenuti a turno in ostaggio a Caraglio.
A fine novembre, un terzo rastrellamento, tra i più cruenti: a Frise, un anziano contadino morì sotto le percosse. Un ragazzo di soli diciassette anni, Luciano Di Pietro, venne ucciso mentre tentava la fuga. Sessanta persone furono rinchiuse, per una notte, in una stalla in condizioni disumane. Mentre le case venivano saccheggiate e la borgata Comba incendiata, e la paura diventava compagna quotidiana.
Nel febbraio del 1945, l’ultimo rastrellamento. Meno distruzioni, è vero, ma la tensione era altissima. Due partigiani – il tenente Tommaso Rinaudo, detto “Gino”, e il maggiore russo Alien Konov – morirono per un colpo di mortaio al pilone della Combetta. La guerra non aveva ancora finito di ferire.
Oltre alle vittime dirette, ci furono altre morti: una donna colpita da sincope per il terrore, due uomini e una ragazza per ferite.
E poi i danni materiali: centinaia di abitazioni distrutte, saccheggi sistematici, oggetti rubati, cibo sottratto, vite sconvolte.
Eppure… in mezzo a tutto questo, la comunità di Monterosso ha resistito.
Non con le armi, ma con il coraggio della solidarietà.
La gente fuggiva prima dell’arrivo dei rastrellatori, si nascondevano partigiani e perseguitati, si divideva quel poco che si aveva.
I parroci, in particolare, svolsero un ruolo fondamentale: accoglievano, curavano, proteggevano.
La canonica di Frise divenne un punto di riferimento per la Resistenza.
Don Golè, parroco di Monterosso e originario di Piebrun (conca tra le borgate di Pollini e Damiani), si adoperò instancabilmente per proteggere i suoi parrocchiani, rischiando la vita per trasmettere messaggi e chiedere tregue.
C’era paura, sì. Ma c’era anche un’enorme forza morale.
C’era chi, pur di salvare un concittadino, si offriva volontario per essere preso in ostaggio al suo posto. E c’erano famiglie che, nonostante avessero perso tutto, condividevano quello che avevano con chi stava peggio.
Questa è la Monterosso Grana che oggi vogliamo ricordare.
Una comunità che ha saputo reagire alla barbarie con dignità, spirito di sacrificio, umanità.
Ed è per tutto questo – per ciò che ha subito, per ciò che ha fatto, per il valore dimostrato – che siamo convinti che Monterosso Grana possa meritare la Medaglia al Valor Civile della Repubblica Italiana.
Perché il valore non sta solo nei grandi gesti eroici ma anche nel restare umani quando tutto intorno sembra crollare.
Nel proteggere l’altro, nel non voltarsi dall’altra parte, nell’aiutare chi non ha più nulla.
Questa è la lezione che i nostri “vecchi” ci lasciano.
E oggi, il nostro grazie va a chi ha vissuto, sofferto, resistito.
E a chi continua a custodire questa memoria, affinché non si perda.
E non c’è giorno migliore per festeggiare i nostri 18enni.
Viktoria e Iolanda con i vostri 18 anni acquisite l’onore e la responsabilità di essere parte attiva della vita politica, sociale ed economica della nostra comunità. Per la prima volta potrete esprimere tramite il voto le vostre opinioni. Sarete voi che con le vostre idee e con la vostra intraprendenza, costruirete la società del domani e sempre voi la lascerete alle generazioni future.
Utilizzate bene questa responsabilità e fatelo sempre con uno sguardo fermo e sincero sulla Costituzione, anche in memoria di chi, per questa costituzione ha sacrificato la vita.
Voi giovani potete fare la differenza. Il futuro è nelle vostre mani.
Benvenuti nell’età adulta, siate migliori di noi!
E per concludere un sentito grazie ai ragazzi della classe quinta della Scuola di Valle che hanno partecipato oggi.
Hanno dato voce a riflessioni sulla libertà e condiviso i loro pensieri. Tra di loro, alcuni musicisti hanno intrattenuto i presenti sulle note di Bella Ciao.
Grazie alle maestre, a tutti i ragazzi e alle famiglie che hanno preso parte a questo momento di condivisione."
Nel video qui sotto un estratto dell'esibizione degli alunni della quinta elementare della "Scuola di Valle" di Monterosso Grana, mentre suonano "Se chanto".
Redazione
