Da Borgo San Dalmazzo al Kenya: la storia di chi ha fatto volontariato in un orfanotrofio a Machaka
Guendalina Ciarlitto ha finito da poco la quinta liceo e ha deciso di andare tre mesi in Africa: “Consiglierei quest’esperienza a tutti, ti rendi conto di quali sono le cose importanti”È partita per fare un’esperienza di volontariato in Kenya ed è tornata a casa con la mente piena di ricordi e gratitudine. Si chiama Guendalina Ciarlitto, ha finito da poco le superiori ed è appena rientrata a Borgo san Dalmazzo dopo aver trascorso tre mesi a Machaka, un piccolo villaggio nella provincia di Meru, nel centro del Paese.
“Ho deciso di partire perché era qualcosa che volevo fare da quando ho iniziato il liceo. Dopo la maturità volevo prendermi un po’ di tempo per me, per fare delle cose, e sognavo di andare in Africa. Non so perché avevo il pallino del Kenya, ho conosciuto quest’opportunità quasi a caso e quindi sono partita”, racconta Guendalina Ciarlitto. A Machaka ha prestato servizio nella comunità delle suore di Santa Teresa del Bambin Gesù che, grazie al sostegno dell’associazione Trame africane, gestisce un orfanotrofio in cui ci sono anche alcune aule scolastiche, una fattoria con orto e un laboratorio dove producono piccoli oggetti come borse e guanti da cucina.
Durante i tre mesi Ciarlitto ha fatto un po’ di tutto: dall’aiuto nell’orto al gioco con i bambini. “La cosa più bella è l’orfanotrofio perché i bambini sono orfani o di madre o di padre o di entrambi i genitori, oppure sono stati abbandonati, sono piccolissimi e hanno già vissuto tante difficoltà, ma sono meravigliosi. Io sapevo di andare in un orfanotrofio, l’ho scelto io, ma arrivare là e viverci è completamente diverso”, racconta Ciarlitto non nascondendo l’emozione nella voce.
“Non ho fatto difficoltà ad ambientarmi perché sono stata accolta nella comunità fin da subito come se fossimo una grande famiglia, anche se è una realtà completamente diversa da quella a cui siamo abituati nel mondo occidentale. Secondo me sono molto più aperti di noi, vivono in una maniera semplice: coltivano la terra, portano gli animali al pascolo. Sono sereni, vivono leggeri, riescono a trasmettere affetto e calore”, aggiunge.
Una delle altre cose che Ciarlitto ha notato è il senso di comunità. “Una sera è andata a fuoco una casa perché i bambini stavano giocando con un accendino. Lì le case sono molto povere, sono fatte con tronchi e legno e non hanno il pavimento. Tutta la comunità ha prestato sostegno, ci siamo proposti di farli dormire all’orfanotrofio, ma i vicini di casa hanno insistito per farli stare da loro e dare loro da mangiare, anche se erano molto poveri. Sono una comunità molto unita”. A questo si aggiunge un forte senso religioso, e anche in questo secondo Ciarlitto c’è una differenza con l’Occidente: “Noi nascondiamo la sofferenza con le cose materiali che abbiamo, loro invece credono tantissimo. Quando non riesci a sfamare i tuoi bimbi puoi solo affidarti a qualcuno per vivere, sennò è troppo pesante da sopportare”.
Allontanarsi dalla società in cui si è cresciuti, e a cui quindi si è abituati, aiuta a vedere la realtà con distanza e senso critico. “Non è che là non ci sono problemi, ce ne sono tantissimi, ma sono diversi da qua perché vivono in una maniera tale per cui si accontentano delle piccole cose. Una mamma un giorno mi ha detto che era felice se riusciva a dare due volte al giorno da mangiare ai suoi bimbi e se qualche volta riusciva a mangiare anche lei”.
Dopo tre mesi in un luogo lontano dalla realtà cuneese Ciarlitto è tornata a casa, ma portando un pezzo di Africa con sé. “Consiglierei quest’esperienza a tutti perché ti rendi conto di quali sono le cose rilevanti. Vedendo quella parte di mondo, vedendo alcune situazioni, la difficoltà, la miseria, è come se ti svegliassi. E ti rendi conto di quali sono le cose importanti e quali no”.
Micol Maccario

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