Domenica, dopo ventinove anni, l'ultimo giorno di apertura del "Livio Bianco" per Livio Bertaina
Il sessantasettenne gestiva la struttura in valle Gesso dal 1995: "Al mio successore dico di andare piano con gli investimenti e di conservare lo spirito del rifugio alpino"Domenica 22 settembre Livio Bertaina chiude il rifugio Dante Livio Bianco, su cui ormai incombono per gran parte del giorno le ombre lunghe delle cime del gruppo del Monte Matto. La notizia non è questa, di per sé un evento di routine, ma è quella dell'ultimo anno di gestione della struttura a cura di Bertaina, che nel corso di 29 stagioni si è guadagnato sul campo il titolo di “maestro” grazie alla lunga carriera alpinistica, conoscenza del territorio e capacità di dispensare utili consigli e suggerimenti alle migliaia di clienti che ha ospitato al rifugio, ma anche attraverso la sua seguitissima pagina Facebook e il sito internet, tra i primi ad andare online dell'area del Parco.
Livio ha rappresentato il trait d'union tra cambi epocali avvenuti nella conduzione dei ricoveri alpini. Da quello del “custode”, sulla scia degli indimenticabili Tino Piacenza e Caterina Rabbia, a “gestore” che con i nuovi contratti con il Cai e le spese gestionali per “stare in piedi” deve avere necessariamente spirito imprenditoriale e capacità di rispondere alle richieste di un’utenza sempre più esigente.
Livio, 67 anni, lascia il rifugio senza rimpianti, consapevole della necessità di cedere il passo ai più giovani. Un cambio della guardia nel solco del rinnovo generazionale in corso da alcuni anni dei rifugisti della Valle Gesso, non solo in termini anagrafici ma anche di impostazione, con Paolo Giraudo al Morelli Buzzi, al Valasco con Andrea Cismondi, al Questa con Marco Bassino, al Genova con Susanna Gioffredo e poi Marco Ghibaudo e Luca Galfrè, alla guida rispettivamente dei rifugi Remondino e Soria-Ellena. A giorni si saprà anche il nome dell’erede di Bertaina. La sezione del Cai di Cuneo, proprietaria del Dante Livio Bianco, sta terminando la selezione tra le sette candidature presentate al bando pubblicato nella primavera scorsa.
Che consiglio ti senti di dare al tuo successore?
"Di andare piano con gli investimenti e di conservare lo spirito del rifugio alpino. È necessario innovare ma senza trasformare la struttura in un albergo perché ciò che piace alla gente del Bianco sono l’autenticità e la semplicità".
Com’è stato l’inizio?
"Duro. Sono arrivato nel 1995, erede della conduzione di Tino Piacenza e per intermediazione di Matteo Campia (forte alpinista cuneese) con cui avevo una solida amicizia. Chi saliva al rifugio si portava da mangiare, era abituato a gestirsi all’interno della struttura e non vedeva di buon occhio chi lo indirizzava per i posti letto o altro. Per esempio in questi giorni, nonostante il cattivo tempo, è venuta a salutarmi un’escursionista di Cengio che saliva già ai tempi di Piacenza con il marito al rifugio. Allora cucinava e si sentiva un po’ padrona della struttura e mi ha confessato che l’inizio della mia gestione proprio non gli era piaciuto. Poi ha continuato a venire al Livio e si è stabilità un’amicizia sincera".
E poi?
"La gente ha cominciato ad abituarsi alla presenza del gestore e ad apprezzarne i servizi. Ai clienti italiani e a qualche francese hanno iniziato ad unirsi i tedeschi e poi svizzeri, belgi, norvegesi, olandesi, danesi… Sono cresciuti enormemente i pranzi perché sono sempre di più gli escursionisti che hanno come meta il rifugio.
I miei primi stranieri dalla Germania furono Margit e Dieter. Hanno lasciato un segno nella mia esperienza. Entrambi grandi camminatori, lui era un docente universitario, studioso della Saxifraga florulenta, prendeva meticolosamente appunti sulle gite e sui posti che sono serviti alla realizzazione di una nota guida escursionistica tedesca. La coppia è venuta al rifugio per anni, fino al 2013. Poi non li ho più visti. Dieter è poi mancato, ricevetti un ricordino. Ad un “Mi piace” della moglie sulla mia pagina Facebook le ho risposto “Margit devi tornare”. Ha preso il treno, ha prenotato il mulo per farsi portare i bagagli e quest’estate è stata sei giorni al rifugio. In autunno andremo a trovarla in Germania".
Lavorare in un Parco: vantaggi e criticità.
"Merito del Parco al 90% è di aver sviluppato il turismo e di aver fatto diventare la Valle Gesso una destinazione per l’escursionismo e l’alpinismo conosciuta in Italia e all’estero. Per migliorare ci vorrebbe una revisione della segnaletica, soprattutto l’uniformazione dei tempi, rivedere il tracciato dell’alta Via dei Re con passaggio dal Colle Est della Paur e non da Valmiana. Sarebbe anche utile qualche intervento qua e là di pulizia da rovine e lamiere di vecchie strutture come al Gias del Chiot e al Lago Bianco del Gelàs".
I problemi di gestione?
"Quello dei rifiuti. Una volta si bruciava tutto e si sotterrava. Oggi naturalmente questo non avviene più e i rifiuti vengono portati a valle con costi elevati per il gestore. Fortunatamente è stato risolto il problema del conferimento. Da alcuni anni abbiamo ottenuto di avere a fine stagione dei cassonetti sistemati a Sant’Anna. Sul tema rifiuti vanno sensibilizzati i visitatori sulla necessità di riportare i propri a casa. E poi ci sono i cani. Alcuni proprietari non vogliono lasciare il loro nel locale predisposto e pretendono di portarlo in camera o nel dormitorio. Il regolamento dei rifugi non lo consente per problemi di igiene, di allergie, di zuffe con altri cani. Era meglio quando le norme del Parco prevedevano il divieto per i cani".
Qualcosa che avresti voluto fare e non hai fatto?
"Una micro centralina per l’energia elettrica per migliorare il lavoro nella struttura. Un investimento notevole e complesso per un gestore non proprietario della struttura".
La tua ultima stagione?
"Ad andamento altalenante. Una primavera con la neve arrivata soltanto a marzo. Giugno con centinaia di disdette per il freddo, il brutto tempo e la neve in quota. Un ottimo luglio e una buona l’affluenza ad agosto, mese che si è caratterizzato come sempre per la prevalenza di italiani mentre in quella precedente era principalmente straniera. E anche settembre è andata bene. Una stagione in media con quelle degli anni passati".
Una valutazione del lavoro del “rifugista”.
"È un lavoro che ti dà tanto, se lo fai con passione. Quando arrivi a fine stagione sei stanco, chiudi con soddisfazione, ma già dopo una settimana hai voglia di ritornare. E quindi sali a controllare, a mettere un po’ di energia nelle batterie… ma ora è arrivato il momento di andare in montagna nel periodo in cui vanno tutti, di viaggiare e di dedicarsi ai cinque nipoti".
Un ringraziamento a qualcuno?
"A tutti quelli che sono venuti al rifugio e a coloro che mi hanno aiutato. Un grazie particolare lo devo ai santannesi, sempre presenti nei momenti difficili, e anche agli operai forestali della Regione Piemonte che hanno lavorato sui sentieri della Meris".
Comunicato stampa tratto dal sito internet del Parco Alpi Marittime
VALDIERI Alpi Marittime