Eraldo Affinati incontra Dronero: “Da docente vi dico: non temete le classi miste, sono le migliori”
Lo scrittore romano, ospite di “Ponte sul Mondo”, racconta la sua esperienza con la scuola Penny Wirton, dove si insegna l’italiano agli immigrati (anche a Cuneo)In Gambia c’è un bambino che si chiama Eraldo Affinati. Il nome che gli hanno imposto i genitori, insieme a quello più familiare di Alì Babucar, è un omaggio all’omonimo scrittore romano, ospite della comunità nei giorni in cui lui nasceva: è un’usanza locale, spiega Affinati, quella di onorare così il visitatore di riguardo. Lui in Africa c’era arrivato insieme a un suo studente: andavano a incontrare la madre da cui quell’adolescente si era separato a quattro anni, dopo aver perso l’intera famiglia nella guerra civile in Sierra Leone. Per anni, dopo aver venduto acqua nei mercati e viaggiato fino a Roma, non aveva saputo nemmeno se lei fosse ancora viva. Lo scrittore, figlio di due orfani, lo aveva seguito in un viaggio che era anche un’occasione di interrogarsi sulla sua storia familiare mai raccontata.
“Cosa sia veramente la scuola l’ho capito in Gambia, - dice - quando durante la preghiera diffusa dal minareto ho sentito il mio nome. La mamma di quel bambino aveva sedici anni, avrebbe potuto essere una mia studentessa”. Ad ascoltarlo a Dronero, sabato pomeriggio, c’erano i ragazzi dell’associazione Voci del Mondo. L’autore di Campo del sangue e Secoli di gioventù è tra gli ospiti della rassegna Ponte sul Mondo, uno “spin off” di Ponte del Dialogo che conclude questo fine settimana il progetto “Maira la sfida della complessità”, redatto dall’agenzia di sviluppo sociale dell’Afp e finanziato dal ministero del Lavoro.
A Dronero, uno dei paesi a più alto tasso di immigrazione nella Granda, Affinati porta la sua esperienza di fondatore della scuola Penny Wirton, una rete di volontariato per l’insegnamento gratuito dell’italiano agli immigrati. L’idea nacque nel 2008, proprio al ritorno da quel viaggio in Gambia: “Quando sono tornato a Roma insieme a mia moglie Anna Luce Lenzi, anche lei professoressa, eravamo entrambi insoddisfatti della scuola e abbiamo fondato una nostra scuola”. Il nome viene da un romanzo per ragazzi di Silvio D’Arzo, passione comune che fece incontrare e innamorare Affinati e sua moglie: “Penny Wirton, il protagonista, è un bambino abbandonato che non ha mai conosciuto suo padre e i nostri ragazzi sono spesso minori non accompagnati”.
I primi allievi erano quattro o cinque studenti stranieri della Città dei Ragazzi, a cui Affinati insegnava italiano al mattino: tornavano, al pomeriggio, per le ripetizioni. Poi sono diventati dieci, venti, trenta, man mano che altri volontari, pensionati o giovani studenti, lo affiancavano. Oggi le scuole Penny Wirton sono sessantacinque in tutta la penisola, dalla Sicilia al Friuli con un’appendice a Lugano, nella Svizzera italiana. Tra le ultime nate, a gennaio, c’è la scuola di Cuneo, animata dall’associazione MiCó nella ex sede dei Tomasini.
“Tra i nostri valori c’è prima di tutto la gratuità: non solo perché non si paga niente ma perché si crede in quello che si sta facendo” spiega il fondatore. Molti esercizi e poca grammatica, in un’ottica di ludodidattica e di apprendimento uno a uno: “È un insegnamento basato non sul programma, ma sulla persona: Irina, laureata a Kiev, può apprendere l’italiano in due mesi, mentre per Ibrahim, che non ha mai imparato a scrivere, ci vorrà più tempo”. Per aiutare alunni e docenti, alcuni dei quali sono adolescenti in tirocinio formativo che insegnano ai loro coetanei, Affinati e Lenzi hanno scritto una grammatica in due volumi, intitolata Italiani anche noi, che si rivolge anche “a chi non ha mai tenuto una penna in mano”, spiegando ad esempio che l’italiano si scrive da sinistra a destra.
A Dronero in questi giorni si è parlato della “fuga degli italiani” dalla scuola del paese, dopo che molte famiglie del posto hanno scelto di iscrivere i figli a Pratavecchia e Villar per timore che un’eccessiva presenza di stranieri in classe rallenti la didattica. Affinati, prof da poco in pensione, dice che è un timore infondato: “Molti genitori, non solo a Dronero ma in tutta Italia, sentono una certa ritrosia a iscrivere i figli in classi cosiddette multietniche. Ho insegnato per quarant’anni e vi assicuro che nella mia esperienza le migliori classi sono sempre state quelle eterogenee, le peggiori quelle composte solo da secchioni o solo da ripetenti. Le classi miste sono la prefigurazione del mondo reale, e creano meccanismi di interazione fra gli studenti che sono molto positivi”.
Anche il sindaco Mauro Astesano parla di quanto Dronero, per la vicinanza con aziende “affamate” di manodopera, sia diventato un paese che racchiude una buona fetta di mondo: “Siamo a quasi il 18% di stranieri. Su 7.046 abitanti, quasi 1.300 persone sono cittadini comunitari ed extracomunitari: circa il doppio rispetto ai comuni vicini”. Ma grazie al lavoro di tante associazioni, aggiunge, “la difficoltà della convivenza è stata affrontata: parlo di convivenza e non di integrazione”.
Tra le associazioni più attive su questo fronte ci sono la odv Raffela Rinaudo presieduta da Adriana Abello e Voci del Mondo, fondata nel 2001 dalla professoressa Elda Gottero. È stata una sorta di scuola Penny Wirton ante litteram, dove ancora oggi si insegna la lingua di Dante a circa 150 persone: “L’insegnamento è la nostra attività principale - spiega Gottero - ma vorremmo che la scuola diventasse anche un punto d’incontro, che i ragazzi trovassero qualcuno disposto ad ascoltarli e aiutarli fin dove è possibile”. I primi stranieri a Dronero, ricorda, erano arrivati nell’ultimo decennio del Novecento: “All’inizio erano marocchini, poi sono arrivati gli ivoriani che sono andati aumentando. Erano quasi tutti maschi, soli, con la famiglia lontana”. Più avanti ancora c’è stata l’ondata dei richiedenti asilo: “Un crescendo di difficoltà, si va dal laureato all’analfabeta”.
Tra chi ha trovato solo da poco il suo “posto nel mondo” a Dronero c’è Kader, giunto appena un anno e dieci mesi fa seguendo la madre che abitava già qui: “Grazie a lei - racconta - ho avuto la possibilità di vivere in questo splendido Paese. L’Italia mi ha conquistato non solo per la bellezza ma anche per le persone straordinarie che ho incontrato”. È ormai da trentacinque anni in Italia, invece, Said Kamara, operaio alla Europoll di Caraglio come molti degli altri ivoriani, che assiste anche in veste di imam della comunità islamica: “Ci sono alti e bassi, ma dobbiamo ringraziare Dronero perché da quando siamo qui non c’è mai stato un problema o un fatto che finisse sui giornali: siamo stati accolti benissimo dalla popolazione e collaboriamo, come comunità musulmana e della Costa d’Avorio, con il Comune di Dronero”.
Andrea Cascioli
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