Il “Museo di Storia Innaturale”: un contenitore per “tutto ciò che viene educato dall’uomo”
Fino al 30 ottobre San Francesco ospita la mostra di Dario Ghibaudo. Un museo del “meraviglioso” e delle stranezze tra sculture, formelle e teche da viaggioFino al 30 ottobre il Complesso Monumentale di San Francesco ospita il “Museo di Storia Innaturale” di Dario Ghibaudo, artista di origine cuneese che vive e lavora a Milano, città dove si è trasferito negli anni ‘80.
Dario Ghibaudo è tra i fondatori del Concettualismo Ironico Italiano, corrente artistica nata in Germania a inizio anni ‘90. La mostra, la prima nella città natale dell’artista, è inserita nella rassegna “GrandArte 2022 - HELP - humanity, ecology, liberty, politics” e ospita circa 90 opere del suo Museo di Storia Innaturale. Un “contenitore” in divenire, strutturato come un museo di storia naturale di stampo settecentesco con la suddivisione in sale, ad oggi venticinque, e la ripartizione in sezioni come Antropologia, Entomologia, Esemplari Rari, Botanica, Etnologia, Etnografia o Creature Meravigliose.
Cosa ti ha portato a concepire il Museo di Storia Innaturale?
“Sono stato sempre molto interessato alle mutazioni indotte negli animali dall’uomo. Esperimenti nucleari, Mururoa, nella Polinesia francese, immagini di scarafaggi incredibilmente sopravvissuti ai test atomici ma mutati, il loro corpo divenuto irregolare, asimmetrico. Interessato alla clonazione, la pecora Dolly e la nascita di un coniglio luminescente, cose così. Curiosità le mie, incentrate sull’uomo e sul rapporto tra l’uomo e gli altri animali, il rispetto e la mancanza di rispetto. In quel momento, fine anni ottanta, la frase di Jean Jacques Rousseau ‘...è innaturale tutto ciò che viene educato dall’uomo’ mi è parsa una rivelazione. Perfetta per dar vita a un ‘contenitore’, il Museo di Storia Innaturale”.
Un museo virtuale, che non esiste ma che nello stesso tempo esiste ogni volta che le opere vengono esposte. Un museo impostato come un museo di storia naturale settecentesco di stampo illuminista, suddiviso in sale, in cui ogni esemplare trova una collocazione all’interno dell’indagine ironico scientifica e del sapere umano. Nel Complesso Monumentale di San Francesco le tue sculture, le tue formelle o ancora le tue teche da viaggio danno vita a un museo del “meraviglioso” e delle stranezze appropriandosi dei pavimenti, delle nicchie e degli spazi in un modo così “esatto” e naturale come se quello fosse da sempre il loro posto. Un sentimento confermato dai custodi che mi hanno detto che sentiranno la mancanza delle tue creature, a fine mostra.
“La mostra è stata pensata per quello spazio, mi è stato dato il tempo e la libertà di farlo. Gli organizzatori, Giacomo Doglio e Massimiliano Cavallo, si sono veramente prodigati al fine di ottenere tutto ciò che mi serviva affinché il progetto riuscisse nel modo migliore”.
La visita al Museo di Storia Innaturale è un’esperienza. Ho percepito un senso di solitudine molto profondo camminando tra queste creature bianche e immobili, ma vive nella staticità della materia per i movimenti vorticosi e le loro contorsioni. Creature antropomorfe che sono irreali, ibridi, mutanti composti da parti animali e umane ma in qualche modo famigliari. Guardare questi esseri muti, e tra loro isolati, passare del tempo in quel silenzio, interrotto soltanto dagli uccellini cinguettanti oltre le bifore, per me, in silenzio e chiusa all’interno del museo proprio come loro, è stata un’esperienza straniante. Tu, da creatore, che rapporto hai con le tue creature?
“Da buon pastore. Mi occupo di loro sin da quando sono un pensiero, le guardo nascere, crescere, le levigo e le carezzo ma non sono figli, sono sculture che amo molto, nelle quali mi perdo e non le dimentico ma nemmeno soffro troppo quando se ne vanno, è una storia, la loro viene il momento nel quale, in un certo senso, non sono più mie”.
Come nascono le tue sculture?
“Non le penso troppo, le guardo piuttosto nascere, a volte da un disegno. Disegno moltissimo, direttamente a inchiostro, guardo il pennino tracciare dei segni e scopro per primo le forme possibili, poi qualcuna la progetto. I materiali che utilizzo sono di volta in volta adatti a quel che intendo fare e all’amore che in quel momento mi lega a una determinata materia. L’argilla, per esempio, nelle sue declinazioni di terra refrattaria, che io chiamo “ignorante” perché ha poca memoria ma è robusta e autoportante. Molto più dell’argilla bianca che è bella e ubbidiente, non come la porcellana, una meraviglia di materia, molto sensuale ma incredibilmente capricciosa. Ha una memoria incredibile, anche se va detto che tutta l’argilla possiede memoria della forma, ma la porcellana di più, se modellata, si dimostra incredibilmente viva.
D’altronde è risaputo che è perfetta per essere utilizzata in colata. I miei sono però pezzi unici e quindi, pur essendo sempre gli stessi pani di porcellana di Limoges, la devo ogni volta “capire”. La materia è un mondo. Alcune delle sculture più grandi, sono ottenute con una pasta di cemento bianco, resina acrilica e polvere di marmo bianco, una mia formulazione messa a punto nel tempo. All’interno, una robusta struttura di metallo e reti crea la giusta forma che viene poi ricoperta con uno spesso strato di questa specie di pasta. Modellata molto velocemente sarà poi rifinita quando indurita, con scalpelli, e altri strumenti. Un lavoro lungo quasi quanto scolpire la pietra o il marmo che, per altro, amo molto, ma con questa tecnica tutto avviene in studio. Homo faber.
La tecnologia è entrata nel mio immaginario con l’ultima scultura realizzata, quella usata per il manifesto della mostra. Nata da un modello in argilla, scannerizzato e poi riprodotto in plastica riciclata per mezzo di una grande stampante 3d. Quando me l’hanno consegnano io ho comunque potuto modificarla, piegarla a caldo, intervenire dove e come ho voluto ma i volumi di massima erano già ottenuti. Credo che per un poco quello sarà il futuro della mia scultura, avrò così il tempo di dedicarmi a quel che ora mi preme di più: grandi disegni a inchiostro su carta ad alta grammatura preparata con gesso di Bologna e colla animale, l’antica imprimitura. Questa tecnica permette all’inchiostro di penetrare, non cola ma scivola sulla superficie permettendo un tratto limpido. Certo, non si può cancellare, buona la prima ma con l’inchiostro è così, anche sulla carta normale”.
Che legame hai con Cuneo? All’ingresso in città c’è la tua “Curva di Peano”.
“Cuneo è una città bellissima ma lontana, veramente bellissima, ordinata e quieta ma soprattutto comoda. Io ho preferito la scomodità di Milano e il suo caos, sto bene nel brodo primordiale. A Cuneo ho lasciato una figlia e una nipote amatissime e una scultura di pietra sui bastioni”.
Nella giornata di venerdì 21, alle ore 17,30, è in programma a San Francesco la presentazione del catalogo della mostra con testi di Achille Bonito Oliva, a cura di Luigi De Ambrogi e Carlo Cinque.
Pubblicato in origine sul numero del 29 settembre del settimanale Cuneodice - ogni giovedì in edicola
Francesca Barbero
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