La storia del paziente che dopo un intervento al cuore ha suonato il violino
Michele Monticone, arrivato al Santa Croce in condizioni critiche, tesse le lodi del personale dell'ospedale di Cuneo: "Se racconto la mia esperienza è solo grazie ai dottori che mi hanno operato"Un innovativo intervento di sostituzione aortica eseguito dal reparto di cardio-chirurgia all’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, ha salvato la vita ad un uomo di 56 anni. Arrivato a Cuneo in condizioni gravissime con una dissezione aortica, dopo un primo ricovero a Mondovì, è stato operato lo scorso 4 marzo da un team guidato dal cardiochirurgo Vincenzo Colucci e dall’anestesista Domenico Vitale. Otto ore in sala operatoria, il risveglio in terapia intensiva avvenuto 10 giorni dopo con alcune criticità, e poi un lento ritorno alla vita, fino al totale recupero delle funzioni vitali completato da un lungo percorso riabilitativo in un centro specializzato a Piossasco, nel Torinese.
Questi alcuni dei numeri che raccontano la vicenda drammatica, ma a lieto fine, di un uomo che è stato salvato grazie a medici che rappresentano un’eccellenza nel loro settore. È la storia di un ritorno alla vita, un’esperienza di pre-morte che dopo pochi mesi dopo il protagonista racconta con sollievo e serenità. “Solo il 10% delle persone che subiscono la mia patologia si salva”, dice subito Michele Monticone, bancario torinese che durante le vacanze di Carnevale si trovava vicino a Ceva con la famiglia: “Se oggi racconto la mia esperienza è solo grazie al dottor Colucci, che mi ha operato, e al dottor Vitale, che con i colleghi della terapia intensiva mi hanno tenuto in vita fronteggiando numerose difficoltà”. “Sottolineo che oltre alla professionalità - dice Monticone - ho riscontrato tanta umanità da parte di tutti: Oss e infermieri di terapia intensiva come del reparto, Stefania, Marika, Vilma, Alessandro, Sergio, Fabio e Nadia, solo per ricordarne alcuni, che mi hanno accudito non solo dal punto di vista fisico ma anche emotivo. Il dottor Vitale, ad esempio, ha sempre dato ai miei familiari puntuali informazioni sulle mie condizioni fisiche facendoli entrare in reparto anche quando non avrebbero potuto”.
Ma andiamo per ordine. Lo scorso 28 febbraio, al bancario torinese capita l’imprevedibile: un malore improvviso. Non aveva mai avuto avvisaglie prima di
allora. A Ceva, nella casa di famiglia, Michele stava cucinando un pranzo un piatto a base di pesce, quando avverte un dolore improvviso e lancinante alla schiena. Un colpo. Gli manca il fiato. In famiglia capiscono subito la gravità, chiamano immediatamente il 118 e per non perdere tempo lo caricano in macchina per andare incontro all’ambulanza che lo porterà all’ospedale più vicino, quello di Mondovì.
“I medici capiscono subito il problema, mi fanno un’angioTAC e decidono di mandarmi subito a Cuneo dove un’equipe specializzata, dopo tutti gli esami e le valutazioni necessarie, si prepara a intervenire per una doppia dissezione aortica”. “Se c’erano stati segnali, prima di allora, non li avevo riconosciuti - ci tiene a sottolineare Monticone -: la pressione alta era sotto controllo fino al periodo della pandemia, purtroppo, non c’erano stati malesseri particolari e i controlli erano sempre perfetti”. La dissezione dell’aorta tipo A, in cui lo strato interno (tonaca) della parete aortica si lacera e si separa dallo strato intermedio con alto rischio di rottura, è una malattia spesso fatale, con una mortalità del 50% prima ancora di arrivare in sala operatoria, mentre con l’intervento il tasso di mortalità oscilla dal 10 al 25%. “L’operazione è stata complessa - spiega il cardiochirurgo Vincenzo Colucci - anche se ormai a Cuneo, negli ultimi anni, eseguiamo molti interventi di questo tipo nel nostro reparto. Il caso di Michele Monticone era particolare perché presentava lesioni estese dell’aorta toracica e, pertanto, dovevamo sostituire l’arco aortico, aorta ascendente e aorta discendente reimpiantando separatamente le arterie che forniscono il sangue al cervello e agli arti superiori. In questi casi, soprattutto nei soggetti giovani, è indicata la correzione completa della dissezione aortica con un unico intervento mediante l’impiego di nuove protesi vascolari ibride con la tecnica del ‘frozen elephant trunk’. Una tecnica che prevede l’inserimento di una protesi vascolare ibrida composta da un tratto “normale/standard” e da uno stent endovascolare distale (endoprotesi) che va a “congelare” la dissezione nell’aorta discendente toracica”. Nel post operatorio, però, si sono verificate quelle complicanze purtroppo comuni per questa tipologia di invertenti.
“Infatti - come spiega Domenico Vitale, il medico anestesista di terapia intensiva cardio-toraco-vascolare che ha partecipato alla gestione dell’emergenza -, il nostro paziente dopo l’intervento all’aorta, ha affrontato una disfunzione polmonare gravissima con un calo importante dell’ossigenazione nel sangue che l’ha condotto ad alcuni episodi di arresto cardiaco. Con il dottor Colucci lo abbiamo attaccato ad una macchina che si chiama ‘ECMO veno-venoso’ che preleva il sangue da una grossa vena del corpo, lo ossigena e, attraverso una pompa, lo immette nel sistema vascolare in maniera tale da vicariare, vale a dire sostituire la funzione polmonare, stabilizzando così la funzione cardio-respiratoria”. Per quattro giorni il paziente è sopravvissuto grazie a questa macchina e a questa procedura complessa che ha permesso ai suoi polmoni di recuperare la funzionalità. “A quel punto abbiamo staccato la macchina - spiega Vitale - e ripristinato la ventilazione meccanica polmonare fino alla graduale sospensione, per poi continuare il percorso di recupero. Un intervento come questo - evidenzia ancora il medico - mette a dura prova l’organismo e complicanze come quelle avute da Monticone in terapia intensiva, molto spesso segnano il destino del paziente”.
Destino che, fortunatamente, ha avuto solo risvolti positivi e tempi di ripresa rapidi. Monticone ha ripreso a respirare autonomamente, parlare e controllare i movimenti ed è arrivato a riprendere in mano l’archetto e il suo violino. “Un gesto che, insieme alla visita dei familiari, ha riattivato nel paziente quel contatto con la realtà fondamentale per fronteggiare lo stress da terapia intensiva che molto spesso causa disorientamento”, sottolinea il dottor Vitale. Trasferito nel reparto di degenza e nel centro riabilitativo Villa Serena poi, dopo poco più di tre mesi è tornato alla sua quotidianità, anche se l’esperienza lo ha segnato e gli ha lasciato ricordi particolari tra l’onirico e la realtà. “Sento l’aver superato questa malattia come un ritorno alla vita. Di quel periodo ho molti ricordi confusi e deliranti - rammenta Monticone in merito alle settimane in terapia intensiva sotto l’effetto della morfina -: nel mio inconscio sono anche diventato una donna e la prima cosa che ho detto a mia moglie è stata: ‘ammore’, come la chiamo da sempre in modo buffo, ‘portami gli assorbenti’. Ma non solo. Ricordo di essermi visto in sala operatoria con tre bambini che giocano intorno per staccarmi il tubo dalla bocca, e io comincio a librarmi, tanto che hanno dovuto chiudere le finestre per non farmi volare fuori. E ancora altre cose bizzarre dette in quei giorni di ritorno alla vita e appuntati da una mia zia. Penso sia stata una fortuna essere ricoverato con urgenza all’ospedale di Cuneo - aggiunge ancora -. In altre situazioni non so se sarei ancora qui a raccontarlo”.
Articolo pubblicato sul settimanale cartaceo di Cuneodice.it in edicola giovedì 7 luglio.
Chiara Carlini
CUNEO Ospedale di Cuneo