Maledetti giallisti! Il noir cuneese di Marco Bosonetto, tra la via Emilia e le Alpi
A Ponte del Dialogo si parla della nuova avventura del commissario Gastaldi. In “Tutti innocenti” il poliziotto-nonno indaga su un omicidio e sogna la “sua” val MairaIl commissario Pietro Gastaldi è tornato. Non ne era sicuro nemmeno il suo autore, Marco Bosonetto, che con “Gli alberi del nord” aveva firmato la sua prima prova da narratore poliziesco. Poi ci ha preso gusto e oggi rivela: “Un terzo capitolo ce l’ho in mente, ma non ho un obiettivo predeterminato su quanti potranno essere i libri con Gastaldi come protagonista”.
Gastaldi è un investigatore che somiglia ai suoi colleghi di carne, più che a quelli di carta. Non è un maudit stile Rocco Schiavone, né un irrisolto sentimentale alla Montalbano. Niente amanti irresistibili, niente torti da vendicare, ombre di un passato oscuro che riaffiorano e drammi personali che tormentano il protagonista: bando a tutti i cliché. Sulla scena c’è un poliziotto “normale”, dedito al lavoro senza però essere un invasato. Un uomo che vuole essere anche altro: un nonno, per esempio. Il primo libro, non a caso, si apre con lui che fa i calcoli della pensione all’Inps.
“Ho abbastanza scientemente deciso di evitare cose che vedo in altri romanzi” confida Bosonetto: per esempio non è un dongiovanni, Gastaldi, ha una moglie che ama e non gli viene in mente di corteggiare altre donne. Ogni tanto gli scappa detta una frase che suona ironica: “Maledetti giallisti!”. Succede quando si trova davanti qualcuno che scambia la realtà con la fiction, appunto: “Non ce l’ho coi giallisti - chiarisce l’autore -. Non sono un divoratore di storie poliziesche, ma forse a volte una semplificazione eccessiva c’è anche nella caratterizzazione dei personaggi”.
Bosonetto ha in comune con Gastaldi le origini cuneesi e la vita di provincia a Piacenza. Con la moglie del suo protagonista, la siciliana Anna Carfì, condivide invece la professione: docente di scuola superiore. In Emilia, spiega, Piacenza assomiglia a quello che Cuneo è per il Piemonte: “Un posto che nessuno sa dove piazzare”. Perfino i Cccp se la sono dimenticata, nel testo di Emilia paranoica.
Anche nell’ambientazione di “Tutti innocenti”, il nuovo libro che lo scrittore ha presentato al festival Ponte del Dialogo di Dronero, c’è un po’ di autobiografia. L’omicidio di cui si parla, quello di una studentessa diciottenne, avviene nel 2020, il periodo del Covid e della didattica a distanza: “Ho sperimentato anch’io la sofferenza dei ragazzi in DAD e la difficoltà di aiutarli: è stato un momento brutto, che peraltro è durato più del lockdown stesso”. Il cadavere della giovane viene trovato su una pista ciclabile e tutti gli indizi portano verso un facile colpevole, un immigrato: la realtà, ovviamente, è più complessa.
Il commissario lo scopre a modo suo, sfidando i pregiudizi e le conclusioni affrettate, come nella precedente indagine. C’è chi lo accusa di procedere “a caso”, affidandosi più alle deduzioni che al metodo: anche in questo si coglie un’eco del Maigret di Simenon. In effetti, Gastaldi è un poliziotto che alla scrivania di una questura c’è arrivato quasi per caso e che ogni tanto, dice il suo autore, “si sente fuori posto in un ambiente quantomeno conservatore”. Di politica parla poco, anzi in realtà non ne parla affatto: quello che viene fuori è la sua ostilità verso il razzismo e gli stereotipi.
Indifferente all’aspetto religioso dell’esistenza, durante la pandemia torna comunque a interrogarsi sulla propria spiritualità. E ogni tanto, in una Piacenza dove il deserto del lockdown è interrotto solo dalle sirene, si ferma nella chiesa di San Sisto per il tempo di una preghiera. A tavola, poi, l’inquietudine si spegne: “Gastaldi non è un grande mangiatore, ma apprezza il cibo e gli piace cucinare: su questo nascono un po’ di conflitti con la moglie, che tenderebbe a tenerlo a dieta. Lui svicola facilmente, perché cucina più di lei”. La gastronomia piacentina è apprezzata, tra un piatto di anolini e una spongata. Ma la nostalgia del suo Piemonte affiora anche qui: “Sa dove andare a comprare la robiola di Roccaverano o il torrone Sebaste. Formaggio, vino e torrone, per lui, sono meglio se piemontesi”.
Di sicuro, ammette Bosonetto, il personaggio “è un po’ il pretesto per parlare della ‘mia’ nostalgia delle montagne”. Attraverso gli occhi di un vecchio poliziotto che fantastica di tornare a Marmora, dove in realtà non ha mai vissuto davvero, ma conserva la sua casa delle vacanze. Nel frattempo, al pari di molti, continua a fare quello che deve fare, perché “ce n’è bisogno”. Anche questo, spiega il narratore, è un aspetto della realtà che abbiamo conosciuto durante la pandemia, non solo tra le corsie degli ospedali: “Sono tanti quelli che agiscono in funzione del bisogno altrui, ed è triste che sembrino la parte perdente del nostro mondo”.
Andrea Cascioli

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