Una nuova vita per il palazzo delle Giuseppine: Cuneo sogna l’hospice delle cure palliative
Nel progetto dell’Adas anche un giardino terapeutico e un centro di formazione, ma servono fondi. L’assessore Riboldi garantisce sul sostegno della RegioneUn luogo per prendersi cura di chi non può più guarire, assicurando agli ammalati - e ai loro cari - un ultimo scorcio di vita vissuto in pienezza. Quella “casa” che l’Adas vorrebbe darsi da oltre tre decenni esiste già: si trova nel palazzo che un tempo ospitava il collegio Immacolata, gestito dalle suore di San Giuseppe a Cuneo.
La congregazione religiosa occupa solo una parte dell’edificio e alcuni anni fa ha concesso in comodato gratuito il piano terra dello stabile. Qui ha trovato sede la fondazione per l’Assistenza Domiciliare ai Sofferenti (Adas), creata 35 anni fa da Mariangela Buzzi e presieduta oggi da Massimo Cugnasco: “Il servizio sanitario - ricorda quest’ultimo - all’epoca non si occupava di cure palliative: l’hospice di Busca è stato inaugurato circa dieci anni dopo la nascita dell’Adas”. Negli anni l’Adas ha assistito oltre 3.500 pazienti fino al termine della vita, chiamando la propria équipe a percorrere 2,3 milioni di chilometri: oltre ottanta volte il giro del mondo misurato dall’equatore.
Queste attività sono svolte a titolo gratuito, con il sostegno di donazioni e contributi che provengono da imprese, privati cittadini, fondazioni bancarie e lasciti testamentari. Ed è proprio ai potenziali benefattori che ci si rivolge dal palco di Confindustria, perché mettano una mano sul cuore e l’altra sul portafogli. Il progetto è importante: si tratta di ristrutturare i due piani superiori dell’edificio, inutilizzati da tempo, per creare quell’hospice per le cure palliative che Cuneo sta aspettando. Lo studio di prefattibilità ha dimostrato che in questi locali sarebbe possibile realizzare non solo un hospice, ma anche un giardino terapeutico e un centro di formazione.
Nel distretto dell’Asl Cn1, ricorda Cugnasco, a fronte di circa 414mila abitanti esiste solo una struttura analoga, a Busca: “Fa un lavoro eccezionale, ma non è sufficiente”. In provincia ci sarebbero circa 1.300 pazienti che necessitano di cure specialistiche: “Almeno la metà - calcola il presidente dell’Adas - non riceve le cure di cui avrebbe diritto”. Il parametro, spiega l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi, è di 1,5 posti letto ogni 56 morti per patologie oncologiche, conteggiati sui dati Istat del quadriennio. In base a questo computo, alla provincia di Cuneo servirebbero nel complesso 45 posti per le cure palliative: 19 sono già operativi a Busca, altri 8 a Bra nel territorio dell’Asl Cn2.
“Riteniamo che i 26 posti mancanti debbano trovare accoglimento nel capoluogo, anche tenuto conto del nuovo ospedale” dice Riboldi, assicurando così il sostegno della Regione all’iniziativa: in una riunione al grattacielo, nel prossimo futuro, si analizzeranno gli aspetti tecnici della questione. L’assessore, che da ex sindaco di Casale Monferrato ha conosciuto la piaga del mesotelioma nella città dell’Eternit, sposa l’idea di concepire gli hospice “non come luoghi dell’ultimo saluto, ma come luoghi che sono parte della cura”. Un luogo “di per sé più accogliente e ancora più umanizzato” rispetto all’ospedale.
“L’obiettivo è combattere i sintomi della malattia che ha preso il sopravvento” spiega Cugnasco, alleviando le sofferenze e migliorando la qualità della vita degli ospiti e dei loro familiari. Ricorrendo a un’espressione del premio Nobel Rita Levi Montalcini, si tratta di “aggiungere vita ai giorni piuttosto che giorni alla vita”.
In quest’ottica si muove l’idea progettuale dell’architetto Paolo Brescia: “La vera anima del progetto - spiega - è nel giardino, pensato come un cuore pulsante dalla paesaggista Arianna Tomatis”. Il palazzo delle Giuseppine è un luogo legato alla memoria dei cuneesi, allo stesso tempo al centro ma anche al limite dell’altopiano. Si guarda a questo vissuto, così come all’antistante Rondò dei Talenti, lo spazio dedicato a bambini e ragazzi e perciò alla vita nascente: “Un rapporto tra ‘alfa’ e ‘omega’, una circolarità sul tempo più che sullo spazio” secondo l’architetto.
In quella che non è in realtà una singola costruzione ma un sistema di edifici, con logge, androni e corti interne, si immagina di collocare sull’attuale retro il nuovo fronte: dovrà essere “non solo un giardino terapeutico ma un luogo di vita, pubblico e aperto”. Anche le camere sono pensate non come un mero spazio in cui applicare le terapie, ma il luogo in cui gli ospiti possono rinsaldare i rapporti con i propri cari: “Uno spazio che più che curare prenda in cura, che inviti ad ammirare la bellezza della natura che ci circonda”.
La volontà c’è, le idee anche. Ora si tratta di mettere in campo le risorse.
Andrea Cascioli

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