Ora i dati mettono nero su bianco quello che chi ha seguito l’andamento di contagi e decessi dall’inizio dell’emergenza aveva perlomeno cominciato a sospettare: sono le case di riposo la vera linea del fronte nella guerra al Covid-19. Il 64% dei 20 mila contagiati in Piemonte, certifica l’Unità di crisi della Regione, si trovano nelle 750 residenze per anziani del territorio. Qui sono morti almeno 252 pazienti positivi al coronavirus nel primo trimestre dell’anno, ma i numeri potrebbero essere molto più alti considerando i casi sospetti per i quali era stato fatto il tampone.
Chi gestisce le case di riposo, però, non ci sta a farsi mettere sotto accusa senza fiatare. Lo ha detto solo ieri il presidente dell’Associazione Cuneese Case di Riposo
Silvio Invernelli, ricordando come i direttori delle strutture si siano dovuti ingegnare da soli per
trovare mascherine e materiali sanitari, in assenza di risposte dalle istituzioni. E torna a ripeterlo anche uno dei dirigenti che più hanno fatto sentire la loro voce, il presidente dell’Ospedale Civile di Busca
Tommaso Alfieri, il quale già poche settimane fa aveva indirizzato
un duro atto d’accusa a chi ha gestito l’emergenza in Piemonte e ora torna a ripetere:
“È in atto un tentativo di ribaltare le responsabilità su chi gestisce le case di riposo”.
“Dal 24 febbraio ad oggi sono passati 54 giorni e dalla Regione Piemonte, dall’Asl di competenza e dall’Unità di crisi gli aiuti stanno a zero. Solo tanti tavoli, cabine di regia, video conferenze” denuncia Alfieri, che aggiunge: “Il 15 aprile, dopo 50 giorni di emergenza, l’assessore Chiara Caucino ha dichiarato che i problemi delle Rsa sono stati affrontati di petto. Non commento”. In questo brutto film, però, “i bagnini che affrontano lo tsunami siamo noi, lo sono i medici del Pronto soccorso, gli infermieri, gli oss e gli addetti alle mansioni più semplici, i cittadini. Non i vari Coccolo, Rinaudo, Caucino, Icardi o Testa. Loro semmai sono quelli che arrivano in elicottero e anziché aiuti gettano moduli da compilare e inviare via mail”.
Dall’inizio dell’emergenza, l’Ospedale Civile ha ricevuto appena 400 mascherine in due tranches. Poca cosa per una struttura che accoglie 89 ricoverati e 44 fra operatori sanitari, addetti alle pulizie ed altre mansioni. Intanto iniziano a scarseggiare anche beni di cui non si sarebbe mai pensato di dover fare a meno: una confezione da mille di semplici guanti monouso, del tipo utilizzato anche presso le pompe di benzina o i supermercati, ora dura a malapena una giornata quando prima poteva coprire il fabbisogno di una settimana. Ai primi tempi, ricorda il presidente, c’era anche penuria di saturimetri, i dispositivi che permettono di misurare la quantità di ossigeno nel sangue: “Dalla Regione ci hanno spiegato che per avere dati salienti bisogna far camminare per sei minuti i pazienti in linea retta. Peccato che con l’epidemia in corso sia impossibile farlo, e che comunque il 90% dei nostri ospiti non cammina”.
A mancare non sono soltanto i materiali, ma anche l’assistenza sanitaria. Questo perché nelle Rsa non ci sono medici di struttura e il direttore sanitario non può comunque visitare gli ospiti o prescrivere terapie. Gli ospiti continuano quindi a essere seguiti dai loro medici di famiglia, sempre ammesso che in questi giorni di emergenza ce la facciano: “Da quindici anni predico che la cosa saggia sarebbe garantire a chi entra in una struttura accreditata di poter disporre di un medico curante in sede. Si pensi anche a quanto è difficile interfacciarsi con decine di dottori diversi invece che con uno solo”.
Su 140 case di riposo della provincia di Cuneo, ad oggi 29 strutture dichiarano problemi di gestione dell’emergenza Covid-19: di queste, solo 8 risultano in situazione di difficoltà e 3 sono cliniche riabilitative e non case di riposo. La residenza di Busca, per fortuna, non è tra quelle che annoverano contagiati, nonostante l’Hospice dell’Asl che si trova nello stesso edificio sia stato chiuso dopo la scoperta di quattro pazienti positivi al coronavirus. Preoccupa però l’eventualità che chi è costretto a fare avanti e indietro dagli ospedali possa contrarre il virus, dal momento proprio a questo si devono il 90% dei contagi nelle Rsa.
“Abbiamo ospiti che vanno in dialisi in ospedale e lì rischiano di contagiarsi se i medici dell’ospedale non sono protetti” conferma Alfieri. Nemmeno il tampone fornisce una garanzia assoluta, perché è ben possibile che il test dia un esito negativo quando una persona esce dall’ospedale ma il virus è già in incubazione. Anche isolare i ‘sospetti’ è problematico: “Per ogni ospite si chiede di avere a disposizione 50 metri quadrati. Ciò vuol dire che una famiglia di quattro persone, per essere a norma con tutte le circolari, dovrebbe vivere in un appartamento di 200 metri quadrati”.
Dall’inizio dell’emergenza, l’Ospedale Civile non sta più accogliendo nuovi anziani in struttura: il rischio sarebbe troppo grande. Quanto al resto, si attendono gli esami a tappeto che la Regione ha intenzione di svolgere in tutte le Rsa (ad oggi però non c’è nessuna data certa) e ci si affida alla generosità dei concittadini. La
raccolta fondi online avviata dall’associazione Ad Maiora la scorsa settimana ha già bruciato ogni record e sta per raddoppiare la somma di 4500 euro prevista come obiettivo iniziale:
“È andata benissimo - conferma Alfieri -
facciamo un plauso a tutti i concittadini che hanno donato”.