In quella casa erano botte quasi tutti i pomeriggi, secondo la testimonianza di una ragazzina ivoriana - oggi quasi quindicenne - che si è trovata a rievocare
tre anni di drammatiche vessazioni davanti a un giudice. La piccola, che chiameremo Marguerite (nome di fantasia), era ancora una bambina quando è venuta a vivere in un paese della provincia Granda, nel settembre 2015.
A propiziare il suo ingresso in Italia era stato un connazionale oggi 31enne, F.K, di professione operaio. Secondo i documenti per il ricongiungimento familiare presentati alle autorità Marguerite era sua figlia. In realtà si tratterebbe di una nipote della moglie, quindi solo di una parentela acquisita. A gennaio 2018 la giovanissima era stata medicata in Pronto soccorso per una ferita al cuoio capelluto: lei riferiva di essere caduta e i sanitari che l’avevano visitata avevano optato per il ricovero, dimettendola solo dieci giorni dopo. Dopo un secondo accesso ospedaliero, in marzo, è scattata la denuncia e la segnalazione giudiziaria.
In questa seconda occasione era stata lei stessa a chiamare il 112, dicendo di essere stata aggredita dall’uomo registrato come suo padre. I carabinieri l’avevano soccorsa affidandola in seguito a una coppia residente nello stesso paese del Cuneese in cui la ragazzina viveva e frequentava le scuole medie. Nel processo a carico di F.K., Marguerite ha descritto un quadro di angherie continue: il presunto ‘padre’, oltre a picchiarla, le avrebbe più volte legato le mani, privandola del cibo e costringendola a svolgere lavori pesanti in casa. Anche N.K., la sorella dell’uomo, deve rispondere dei maltrattamenti in famiglia.
Marguerite ha raccontato che la donna visitava spesso l’abitazione del fratello e la picchiava quasi sempre. Una volta le avrebbe dato uno schiaffo tanto forte da farle sbattere la testa contro il comodino, solo perché stava indossando una collanina a un piede. In un altro momento, dopo che la bambina aveva rovesciato l’acqua in terra mentre lavava i pavimenti, N.K. si sarebbe arrabbiata fino a picchiarla con violenza.
Tutte fantasie, ha obiettato l’imputata, che lavora come operatrice sociosanitaria in una struttura assistenziale. Gli unici rimproveri che ammette di aver mosso a Marguerite, senza però mai metterle le mani addosso, sono relativi alla sua cattiva condotta nei confronti dei cuginetti: “In quel periodo la moglie di mio fratello era molto malata, sarebbe morta poco tempo dopo. Marguerite si comportava molto male con i cugini più piccoli: li sgridava, li insultava, li prendeva a calci e pugni. Ne erano terrorizzati”. La donna, per la verità, ammette di aver appreso delle botte subite dai suoi nipoti ma di non aver mai visto Marguerite picchiarli. In ogni caso, nei suoi confronti non sarebbe mai andata oltre ai rimbrotti: “Avevo subito un intervento chirurgico, non sarei stata in grado di picchiarla”. Altrettanto si sente di garantire per quando riguarda il fratello, che “non le diceva mai nulla. Lui soffriva del fatto che sua moglie fosse ricoverata in ospedale, ma non ha mai fatto del male a nessuno”.
Il prossimo 24 febbraio verranno ascoltati altri testimoni del processo.