L’episodio più grave era avvenuto subito prima. La moglie raccontava di essere stata rincorsa e strattonata da G.B. insieme a sua figlia, che avrebbe ricevuto uno schiaffo nel tentativo di difenderla. L’uomo avrebbe anche cercato di impedire alle due di lasciare l’abitazione, arrivando a tagliarle la strada con la sua auto. Una scena che la donna aveva perfino registrato con un audio sul suo telefonino, ma che l’accusato ha ricostruito in altro modo: “Non ho mai cercato di investirle o di tagliare la strada all’auto di mia moglie. Avevo necessità di andare a Cuneo e in quel periodo mi era stata sospesa la patente, per questo mi sono avvicinato per chiederle dove andasse. L’ho presa per un polso ed è caduta, ma non ho usato violenza”.
A volere la separazione, in realtà, sarebbe stato lui, il quale ha sostenuto che “questa situazione è degenerata nel momento in cui ho voluto metter fine a una relazione e dall’altra parte è sorta la preoccupazione per l’eventuale affidamento condiviso della figlia”. Quanto ai pedinamenti dei mesi successivi, secondo G.B. non ci sarebbe mai stato nessun tentativo da parte sua di rintracciare la ex: “Non sapevo nemmeno dove abitasse. L’ho fotografata in spiaggia, nello stabilimento balneare di cui sono socio, solo per dimostrare che mi aveva sottratto un asciugamano e altri oggetti”.
“Tutti i testi hanno confermato che la parte offesa era preoccupata dall’agire e dalla presenza dell’imputato. Non sono episodi casuali ma veri atti persecutori” ha obiettato il pubblico ministero Alessandro Borgotallo, chiedendo la condanna a due anni e otto mesi per tutti i capi d’imputazione. Per l’episodio del maggio 2018, in particolare, il rappresentante dell’accusa ha rilevato che “uno strattonamento non può giustificare sette giorni di prognosi”.
Dello stesso avviso l’avvocato di parte civile, Enrica Vezzoso, che ha ripercorso i trascorsi all’origine della denuncia: “Le violenze fisiche di G.B. alla moglie sono documentate da anni, sempre per questioni riguardanti l’attività lavorativa che gestivano insieme e i rapporti con la figlia. Nell’ultimo periodo la situazione era talmente peggiorata da indurre la donna ad allertare sia genitori che i carabinieri, tanto più perché viveva in un luogo isolato”. Un isolamento anche psicologico, quello a cui il marito e padre avrebbe sottoposto la famiglia: “Prevaricazioni e ricatti sono evidenti nella privazione dell’auto o nel fatto che i nonni materni potessero venire a Limone solo se G.B. lo consentiva. La figlia era in totale soggezione, terrorizzata dall’idea che discussioni banali col padre potessero degenerare”.
“Che vi fosse una relazione conflittuale è evidente ma non c’è una vittima né un carnefice, e nemmeno uno stato di sudditanza della moglie che rispondeva a tono alle offese” ha ribattuto l’avvocato difensore, Giulia Dadone: “La ragazzina dice di non aver mai sentito proferire minacce e di non aver visto il padre alzare le mani su sua madre”. Quanto alla presunta aggressione, “la figlia dice di aver visto la madre arretrare e cadere, senza essere spinta”.
Il giudice Sandro Cavallo ha riconosciuto G.B. colpevole di lesioni e violenza privata, condannandolo alla pena di otto mesi di reclusione con sospensione condizionale. L’uomo è stato invece assolto per le accuse di stalking e maltrattamenti. Dovrà inoltre versare un risarcimento alle parti offese quantificato in 3mila euro per la ex moglie e 2mila euro alla figlia.