Truffa ai clienti di due agenzie turistiche cebane, condannata l’ex direttrice
Le indagini erano partite nel 2016 dalle denunce di numerose persone che dopo aver pagato voli e hotel si erano ritrovati senza prenotazione: i soldi erano ‘spariti’Il procuratore Gianluigi Datta ha parlato di “viaggi fantozziani” nel ricostruire le ipotesi di truffa per cui è finita a processo la 39enne L.B., ex direttrice tecnica di due agenzie turistiche con sede a Ceva, insieme alla commercialista monregalese M.E. che ricopriva il ruolo di amministratrice presso una di queste, ‘I Viaggi del Paguro’.
Le vicende descritte durante l’istruttoria da un lungo corteo di testimoni hanno in effetti del grottesco, anche se si può scommettere che nessuno di loro ci avrà trovato qualcosa di divertente. Una coppia, sbarcata alle Hawaii, aveva dovuto versare 2mila euro “sull’unghia” dopo aver scoperto che alcune prenotazioni non erano mai esistite. Due neosposi avevano invece finanziato la loro partenza con la lista nozze: peccato che gli oltre 8mila euro non utilizzati per il viaggio - e che sarebbero dovuti tornare ai legittimi destinatari - si fossero in seguito volatilizzati. Poi c’era stato chi, nell’imminenza di una crociera, si era sentito dire dall’ex direttrice che per un problema di versamento avrebbero dovuto ripagare per intero la somma già consegnata, quasi 8mila euro, con la promessa di un rimborso mai concretizzatosi.
Come ciò sia potuto accadere è presto detto: L.B., professionista stimata e attiva da anni nell’ambiente cebano, godeva della piena fiducia di una clientela formata da persone che si erano rivolte in passato alla sua agenzia. “Mai avuto problemi prima di allora” è la frase che molti di loro, conoscenti di lunga data o perfino vicini di casa dell’imputata, hanno ripetuto più sovente. Ciò spiega anche perché i clienti non si facessero problemi a versare migliaia di euro non già sul conto dell’agenzia (prima ‘I Viaggi del Paguro’, poi ‘È ora di viaggiare’) ma su quello indicato dalla direttrice.
Dai successivi accertamenti disposti dai carabinieri di Ceva, dopo l’ondata di denunce raccolte nel 2016, è emerso che questo conto corrente era intestato a L.B. e al padre e che nel giro di poco tempo erano stati effettuati prelievi per un ammontare di 18mila euro e bonifici in favore del compagno della direttrice dell’agenzia e della sorella di lui (estranei ai fatti). Le somme ricevute da L.B., secondo quanto riferito dall’allora vicecomandante della stazione carabinieri Daniele Dimartino, corrispondevano con quelle indicate dai presunti truffati, alcuni dei quali avevano aspettato mesi interi prima di presentare la denuncia perché convinti fino all’ultimo di poter ottenere un rimborso dalla donna. Per lei e per la coimputata il rappresentante della Procura ha chiesto la condanna a un anno di reclusione: “Non sappiamo nemmeno quanti siano i truffati - ha precisato il pm - perché non tutti hanno presentato denuncia. Di certo c’è per ognuno un danno da vacanza rovinata oltre al notevole esborso economico”.
Il “pasticcio”, richiamato anche dagli avvocati di parte civile, è stato ammesso dal legale di L.B. Diego Manfredi che ha però contestato l’addebito mosso dall’accusa: “Non si tratta di una truffa perché non si può dire che ci sia stato un tentativo di raggirare i clienti che la conoscevano da anni. Gli adempimenti erano stati avviati in tutti i casi, anche se i pagamenti non sempre venivano perfezionati”.
Posizione diversa quella della coimputata M.E., assistita dall’avvocato Esterina Giacobbe. Le imputazioni a suo carico derivavano dal solo fatto che avesse ricoperto la carica di rappresentante legale per l’agenzia ‘I Viaggi del Paguro’, senza però occuparsi nemmeno in minima parte della gestione operativa. Prova ne sia, come ricordato dalla difesa, che “nessuna delle parti offese ha mai né visto, né sentito nominare, né incontrato in agenzia M.E.”. Oltre a questo, le indagini avevano chiarito che il conto corrente indicato da L.B. era nella sua esclusiva disponibilità, così come le credenziali sul computer dell’agenzia.
Al termine della camera di consiglio il giudice Alice Di Maio ha riconosciuto l’estraneità di M.E. alle accuse assolvendola con formula piena, mentre L.B. è stata condannata a due anni di carcere e 1800 euro di sanzione. Resta aperta la questione del risarcimento dei danni, che dovrà essere risolta in sede civile.
a.c.
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