La vera storia dell’ottavo assedio di Cuneo
Il 1 agosto 1515 la città, abbandonata dai Savoia, si difese da sola contro 6mila mercenari svizzeri. Ma l'epilogo sarà ancora una volta inattesoParlando dell’ultimo in ordine di tempo, quello del 1799, abbiamo già avuto modo di ricordare che - a dispetto della voce popolare - il numero esatto di assedi sostenuti dal capoluogo della Granda è tuttora oggetto di discussione in sede storiografica. Per esempio, anche se la lapide murata sul Municipio di Cuneo include l'assedio subito dall’1 al 6 agosto 1515 tra i sette ‘canonici’, c'è chi esclude questo episodio dal novero delle imprese belliche cittadine. Il motivo è presto spiegato, e non riguarda tanto la breve durata dello scontro quanto il fatto che per sottrarvisi, alla fine, i difensori di Cuneo dovettero sborsare moneta sonante. Ma cominciamo dall’inizio.
Il XVI secolo è un secolo di ferro e di sangue perfino per gli standard dell’Europa moderna. È il secolo della Riforma e della Controriforma, quindi delle prime guerre di religione tra cattolici e protestanti. Il secolo dello scontro tra l’imperatore Carlo V e il re di Francia Francesco I, nonché di grandi capitani di ventura come Giovanni dalle Bande Nere o Ettore Fieramosca, il protagonista della celebre disfida di Barletta. In Piemonte, per tutta la prima metà del Cinquecento regna - governando pochissimo - una figura che non potrebbe essere più lontana da questa temperie: è il duca Carlo II di Savoia. Lo chiamano ‘il Buono’, ma non è un complimento. Vaso di coccio tra vasi di ferro, passerà gran parte dei suoi 49 anni di regno a barcamenarsi con scarso successo tra le potenze d’Europa.
Il ducato di Savoia diventa così terra di conquista tanto per gli eserciti stranieri quanto per una pletora di mercenari, predoni e signorotti prepotenti. Vale soprattutto per il Cuneese, dove accade ad esempio che il signore di Centallo e Demonte, Ludovico Bolleri, vescovo di Riez, s’aggiri alla testa di squadroni che mettono a ferro e fuoco paesi e perfino monasteri, come quello femminile di Pogliola. O che si debbano disarmare con la forza anche i frati dell’abbazia di Caramagna, i quali - visti i tempi che corrono - hanno pensato bene di difendersi da soli dalle ribalderie. Dentro le mura di Cuneo, poi, imperversa una faida tra due fazioni che qualcuno continua a definire guelfi e ghibellini, sebbene l’eco della contesa tra papi e imperatori fosse spenta ormai dal Trecento e già cent’anni prima Amedeo di Acaia avesse proibito finanche di pronunciare quei nomi derivati “da Welf e Gebel, principi dell’Inferno”.
Questo, comunque, non interessa ai seguaci dei ‘post-ghibellini’ Dal Pozzo né a quelli dei ‘post-guelfi’ de Morris o Morri, alleati dei potenti Lovera. Nella lotta tra famiglie nobili si innesta poi una più profonda tensione sociale tra uomini de platea, gli aristocratici, e uomini de populo, i popolani che reclamano spazio nel governo del Comune e le cui rivendicazioni vengono cavalcate dai de Morris. Tale atteggiamento è stigmatizzato da un osservatore di cui abbiamo già avuto modo di parlare, quel Giovanni Francesco Rebaccini autore della prima cronaca di Cuneo nel 1484 nonché - verosimilmente - della prima citazione conosciuta riguardo al leggendario ius primae noctis. Fiero oppositore dei ‘guelfi’, il giurista Rebaccini condanna coloro che per interesse assecondano le pretese di contadinotti ignoranti (“ignari ruricolle”) e della stolta plebe (“stulta plebs”) contro gli “optimi consciliarii”.
Fa scalpore nel 1491 l’assassinio di Bernardino d’Acceglio per mano dello spadaccino guelfo Giovanni Lovera, detto Bersano, ma fatti di sangue e vendette si susseguono ancora nel nuovo secolo. A maggior ragione dopo che a Cuneo si insedia con il beneplacito del ‘buon’ duca Carlo II - che del resto non può non acconsentirvi - la banda di mercenari guelfi capitanata da Girolamo Tonduto: “Uomo audace e violento, di gran coraggio, in segreti rapporti con la Francia” lo definisce lo storico ottocentesco Ferdinando Gabotto. I bravi del Tonduto si fanno chiamare ‘i Leoni’: “Distintivo dei ghibellini, una penna di gallo od un fiore alla berretta dal sinistro canto; dei guelfi, al destro: chi i «Leoni» cogliessero col segno a sinistra, stroppiavano od ammazzavano, saccheggiandone le case. Niuno temevano; nè stimavano vicari, nè ufficiali, tutti minacciando: chiudevano le porte agli arcieri del Duca, e non permettevano che entrassero la terra; facevano quello che a loro pareva e piaceva” chiarisce Gabotto.
Questo succede nel corso del 1514, ma l’anno seguente porterà ancora maggiori turbolenze. Il 1 gennaio muore Carlo XII di Francia: gli succede il genero, il ventenne Francesco, che diventerà nei 32 anni successivi la nemesi dell’imperatore Carlo V, cui contende il dominio dell’Italia. Come discendente dei Visconti reclama per sé il ducato di Milano ma gli Sforza non hanno alcuna intenzione di cederlo, e vengono supportati dalla Lega Santa animata dagli spagnoli, dal Papa de Medici e dalle armate svizzere che in Piemonte spadroneggiano. Al loro comando c’è il terribile cardinale Matteo Schiner, vescovo di Sion e poi di Novara, futuro coautore dell’editto di Worms contro Lutero: “A scherzo od a scherno, si chiama nei banchetti «duca di Savoia» egli stesso” annota ancora il Gabotto, tanto per far capire che aria tirasse.
Guidati “da capitani dai nomi barbari, da ogni barbarico operare”, seimila armigeri svizzeri si presentano il 1 agosto 1515 sotto le mura di Cuneo, dopo aver devastato il Saluzzese e “costretta a grossa taglia” Centallo. L’obiettivo di sloggiare il Tonduto con i suoi Leoni viene perseguito senza riguardo per nessuno: le forze cuneesi non sono nemmeno costituite da reparti regolari sabaudi, bensì da ribelli e popolani terrorizzati dalla fama degli svizzeri. Per sei giorni la città subisce il bombardamento delle artiglierie nemiche, ma il prezzo più alto è quello pagato nelle campagne circostanti, tra Borgo, Boves, Peveragno e Cervasca, dove la cavalleria di Joachin de Molzanis si abbandona a tremendi saccheggi. Alla fine si sceglie di far breccia dove i mercenari sono più sensibili: nelle tasche. Gli ambasciatori del Comune promettono 4000 scudi d’oro, in più rate: “Non ne pagano in realtà più di 400, - precisa Gabotto - e se i venturieri d’Oltralpe traggono seco i tre prigionieri fatti mentre tentavano fuggire, il Comune saprà poi farli liberare per mezzo del suo buon signore. Cuneo ha vinto: gloria a Cuneo ed a’ suoi difensori!”.
Oltre all’avidità, è la prudenza a consigliare agli svizzeri di levare le tende. Dal colle dell’Agnello infatti stanno arrivando le colonne francesi di Francesco I con 3500 lanceri, 22mila lanzichenecchi, 10mila baschi, 8mila archibugieri e 3mila guastatori più un gran parco di artiglierie. Il 15 agosto il re in persona è a Cuneo, accolto con ogni onore a Palazzo Lovera dove una lapide testimonia l’eccezionale evento: al marchese Raffaele l’ospite regala una stupenda armatura, oggi conservata nella Regia Armeria di Torino. I Leoni ne approfittano per mettersi al servizio di Francia, ma non coglieranno molte glorie. Lo stesso Girolamo Tonduto, datosi al brigantaggio, finisce ammazzato in Lombardia l’anno seguente. Nel frattempo il Comune di Cuneo, ormai libero dalle angherie dei Leoni, ha approvato una riforma che aumenta il numero dei membri del Consiglio a 48, di cui 36 “della piazza” (nobili) e 12 “del popolo”.
Le guerre tra francesi e imperiali infiammeranno ancora per molto tempo l’Italia, compreso il Piemonte del tentennante Carlo il Buono. Sono proprio i francesi a sottoporre Cuneo all’assedio nel 1542, senza successo, e di nuovo nel 1557 subendo una sconfitta ancor più bruciante. Questa volta, però, la musica è cambiata: Carlo II muore infatti nel 1553 in una sacrestia di Vercelli, e tale è il caos della sua corte che ci si dimentica perfino di seppellirlo, lasciando il corpo abbandonato in un baule per anni - non prima di averlo depredato dei gioielli. Al povero ‘duca buono’ succede il figlio Emanuele Filiberto, detto Testa di Ferro, che esercitando il mestiere delle armi riporterà i Savoia al tavolo dei grandi d’Europa.
Andrea Cascioli
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