La notizia è che YouTube ha deciso di dare un taglio a una delle bufale sul coronavirus che circolano a maggior velocità. Questa, in particolare, è divenuta pericolosa: prendendo a pretesto una supposta (ma mai dimostrata) connessione tra la diffusione del contagio e quella della tecnologia 5G, diverse persone nei giorni scorsi hanno incendiato antenne e centraline in alcune località del Regno Unito.
Attacchi di questo genere sono stati registrati a Birmingham, Liverpool e Melling in Inghilterra e da ultimo a Belfast in Irlanda del Nord. Talvolta vengono accompagnati da video - poi messi in rete - dove i vandali rivendicano le loro azioni al grido di “fuck 5G”. In un’altra occasione, una donna ha filmato e aggredito verbalmente due ingegneri che lavoravano alla posa dei cavi 5G, accusandoli di stare “uccidendo le persone” e postando il tutto su Twitter. Su Facebook, invece, un gruppo che invitava a coordinare assalti alle reti mobili è stato rimosso dal social dopo qualche tempo.
Ma da dove nasce la bufala? Secondo Full Fact, un sito britannico di fact-checking, questa bizzarra teoria circolava già in gennaio proprio su un gruppo anti-5G di Facebook. La tesi è che essendo Wuhan “la prima città in cui è stato sperimentato il 5G” si poteva confermare che le reti di telefonia di nuova generazione indebolissero il sistema immunitario delle persone, esponendole al contagio. Il punto è che questa teoria non è mai stata provata da nessuna fonte scientifica e non è nemmeno corretto dire che Wuhan sia stata la ‘culla del 5G’ - sebbene sia una delle prime 16 città cinesi ad aver sperimentato la rete ultraveloce.
All’inizio di marzo, una seconda e più persistente bufala riguardo alla connessione invisibile tra 5G e Covid-19 ha cominciato ad affiorare fino a venire ripresa da un tabloid inglese, il Daily Star. In questa seconda versione, si suggerisce che il 5G possa agire come ‘acceleratore’ del contagio per il fatto che i batteri riuscirebbero a comunicare e diffondersi in modo più denso e veloce in presenza di un solido supporto elettromagnetico. Questa deduzione poggerebbe su uno studio del 2011 realizzato da tre ricercatori della Northeastern University di Boston e dell’università di Perugia che tuttavia riguarda i batteri e non i virus come il Covid-19 - e che comunque rimane controverso in ambito scientifico.
Altre fonti chiamano invece in causa l’opinione del professor Martin Pall, un biochimico in pensione della Washington State University, che in febbraio aveva avallato la teoria del 5G come ‘acceleratore di contagio’ in un suo intervento. Oppure il corposo studio di Ronald Neil Kostoff del Georgia Institute of Technology dove si sostiene che la rete wireless sarebbe “il più grande esperimento medico non etico nella storia umana”. Kostoff però non è né un virologo né un epidemiologo ma un esperto in scienze aerospaziali che nelle 1086 pagine del suo saggio si limita a citare correlazioni spurie tra elettrosmog e pandemie per poi giungere alla conclusione che “sviluppare vaccini per qualsiasi virus specifico durante un’epidemia o una pandemia (…) è completamente irrealistico, a causa dei tempi di consegna richiesti per lo sviluppo del vaccino, test di efficacia, credibili test di sicurezza e implementazione a medio e lungo termine”.
C’è chi dice no al 5G. Anche a Cuneo
È bene chiarire che l’opposizione alla tecnologia 5G non nasce con l’epidemia. Anche in Italia sono attivi diversi gruppi Facebook sul tema (il più grande, Stop 5G Italia, conta quasi 22mila iscritti) e nel marzo dello scorso anno a Vicovaro, in provincia di Roma, si è tenuto il primo meeting nazionale promosso dall’alleanza STOP 5G, alla quale aderiscono varie associazioni e comitati.
Il focus su cui si concentrano questi contestatori riguarda i possibili effetti sulla salute umana dei campi elettromagnetici più potenti. Due ricerche in particolare avallano tali conclusioni - pur essendo limitate all’ambito della sperimentazione animale: la prima è quella del National Toxicology Program statunitense da cui è emersa “chiara evidenza che i ratti maschi esposti ad alti livelli di radiazioni da radiofrequenza, come 2G e 3G, sviluppino rari tumori delle cellule nervose del cuore”. La seconda, portata avanti in Italia dall’Istituto Ramazzini di Bologna, ha sottoposto le cavie a radiofrequenze della telefonia mobile mille volte inferiori a quelle utilizzate nello studio americano e riscontrato “aumenti statisticamente significativi nell’incidenza degli schwannomi maligni, tumori rari delle cellule nervose del cuore, nei ratti maschi del gruppo esposto all’intensità di campo più alta”.
Nel settembre scorso la questione è stata discussa anche dal Consiglio comunale di Cuneo a seguito della
presentazione di un ordine del giorno a firma del consigliere
Beppe Lauria. L’odg,
approvato all’unanimità dall’assemblea civica dopo un emendamento, invocava una ‘moratoria’ sulla sperimentazione del 5G in città in nome del principio di precazione e cioè in attesa di avere riscontri più certi sugli eventuali effetti cancerogeni delle nuove reti. Sul punto, ha ricordato l’esponente di Cuneo per i Beni Comuni
Ugo Sturlese, esiste solo un parere formulato dal Consiglio superiore di sanità ma mancano tuttora pronunciamenti definitivi da parte dello Iarc e delle massime autorità nazionali in campo sanitario e ambientale: Ispra, Arpa e Istituto superiore di sanità.