La paura di ammalarsi e l’ansia per la condizione indefinita in cui ci troviamo: emozioni quotidiane che accomunano ormai un po’ tutti, in questi giorni di difficoltà e incertezze.
Sono momenti accelerati e paradossalmente, al contempo, lenti, in cui l’attesa pare essere insostenibile, in cui ci sentiamo impotenti e dipendenti da notizie incerte e confusive, frustrati per il libero arbitrio dell’altro, che non combacia con le nostre volontà: il passante che sotto casa cammina come se non ci fossero delle direttive ministeriali, persone che escono di casa dicendo “ma tanto non incrocio nessuno” e così via. La scienza al giorno d’oggi più che mai dimostra la sua natura ipotetica, incapace di darci una certezza su una cura e su ciò che seguirà a questi giorni di isolamento. Rimanere in casa, di fatto, pare ridurre il rischio, ma non risolvere il problema. L’ansia, pertanto, è uno stato emotivo assolutamente normale, ma è necessario, tuttavia, monitorarla. Se, infatti, è funzionale perché porta l’uomo ad attivare una serie di risorse per fronteggiare possibili eventi, dall’altra, se elevata, diventa origine di sofferenza e blocco. Alcune persone mi raccontano di soffrire di attacchi di panico, intensa manifestazione della paura, che sorge quasi improvvisamente, dura minuti infiniti e scompare, lasciando uno strascico terribile: la paura che si ripresenti, un angosciante conto alla rovescia, perché così come è andato via, potrà tornare.
Una signora, dipendente in una residenza per anziani, mi riporta l’estrema fatica nel riuscire a scindere fra il rischio reale e il timore infondato, frutto delle sue ansie. Soffrire di attacchi di panico e serbarli, gelosamente, nel proprio cuore, nella propria memoria, nel proprio corpo, ora, si scontra con l’incapacità di trovare posti al sicuro nei quali poter abbassare la guardia e poter rilassarsi. Come lei ci sono tante altre persone che condividono questo stato ansioso e che comprendono perfettamente la sua affermazione “apro la finestra e sento l’aria… questa è vita!”. Il contesto nel quale opera, anche alla luce della quarantena alla quale alcuni degli ospiti sono costretti, inoltre, obbliga i dipendenti a turni lavorativi che mettono a dura prova le loro energie fisiche e mentali: cercare di controllare i propri pensieri, monitorare il battito cardiaco per verificare il rischio di un attacco, esacerba la paura e aumenta la stanchezza.
Oggi più che mai dobbiamo stare con ciò che c’è, con la limitatezza umana e con chi siamo, nelle nostre e altrui fragilità. Non tutto è controllabile, non tutto è prevedibile e proprio per questo ci spaventa.
Quella stessa signora, al telefono, ha concluso con una frase che voglio riportare, perché esemplificativa: “sì però io sono anche una creativa”. Ecco. L’espressività, unita al chiedere aiuto, apre porte e occasioni impensate, apre a sé stessi trovando nel proprio mondo interno le risorse per fare di questo momento qualcosa di fruttifero e di gratificante. Concediamoci di essere umani e non supereroi. Facciamo uscire le nostre emozioni in un diario, al telefono con una persona fidata, in una canzone, in un gesto altruista di ascolto. Affidiamoci a un professionista psicologo: io per prima, così come altri colleghi, offriamo la nostra competenza con solidarietà, perché siamo tutti umani e siamo tutti inseriti in un contesto difficile e capiamo che a fronte di stressors imponenti e costanti, sia faticoso tentare di trovare riposo.
Proviamo a formulare ipotesi alternative ai nostri timori negativi, utilizziamo in maniera funzionale il tempo a disposizione, non concentrandoci solo sul rimuginare e sul ricercare notizie online, abbandoniamoci alla complessità del momento e proviamo a far scorrere le nostre paure e i nostri timori affidandoli ad un orecchio attento, non giudicante e accettante.
Iniziamo a guardarci dentro.
Dott.ssa Elena Rittano
Psicologa psicoterapeuta