L'opinione: il campionato di Serie C è malato, ma non l'abbiamo scoperto domenica
Serviva una partita chiusa sul 20-0 per attirare l'attenzione del grande pubblico, ma la farsa del 'Paschiero' non è che la punta dell'icebergServiva una partita conclusa sul 20-0, serviva una squadra scesa in campo con sette ragazzini nati tra il 2000 e il 2002 (più il “massaggiatore” quasi quarantenne), serviva la più grande farsa mai vista su un campo di calcio italiano per attirare l'attenzione del grande pubblico sulle condizioni disastrose in cui versa la terza serie del pallone del Bel Paese. Da domenica pomeriggio tutti i principali media nazionali (ma non solo, la vicenda è finita anche su As, L'Equipe e sulla Bbc) parlano di quanto accaduto sul prato del “Fratelli Paschiero” di Cuneo, dove i biancorossi, prima del provvedimento del Giudice Sportivo che ha assegnato il 3-0 a tavolino, avevano stabilito un nuovo record: il 20-0 ottenuto era infatti la vittoria più larga nella storia del calcio professionistico italiano.
Una partita che ha inevitabilmente generato scalpore: si tratta di un episodio senza alcun precedente, ed è comprensibile che tutti i principali mezzi di informazione se ne siano occupati. L'errore, però, sarebbe pensare che quanto accaduto al “Paschiero” sia il vero nocciolo della questione, la vera “pietra dello scandalo”. No, la partita di domenica non è che la punta dell'iceberg, la conseguenza di una gestione scellerata, quella dei vertici del campionato di Lega Pro, che negli ultimi anni ha assistito inerme a una serie impressionante di società piombate nel baratro del fallimento: dal Latina al Como, dalla Reggiana al Modena, passando per Fidelis Andria e Vicenza, solo per citare alcuni casi. Casi puntualmente accompagnati dai “mai più” dei vertici della federazione, una federazione che però, alla prova dei fatti, ha sempre risposto con il più totale immobilismo: la riforma più significativa, nella storia recente, è stato il cambio di denominazione del campionato, da “Lega Pro” al classico “Serie C”.
Il fatto che domenica il Pro Piacenza abbia schierato sette ragazzini, insomma, non è il più grave degli episodi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Per inciso, mentre va in scena la mitizzazione di questi giovani aspiranti calciatori, va specificato che non risulta che a qualcuno di loro sia stata puntata una pistola alla tempia per convincerlo a prestarsi alla pietosa buffonata del “Paschiero”. Le cose più gravi, dicevamo, sono altre: società che non pagano stipendi e contributi a dipendenti e a calciatori che di certo non percepiscono cifre stellari, società che accumulano debiti su debiti con i fornitori, che prendono parte al campionato pur essendo prive dei requisiti economici necessari, dirigenti che si barcamenano di fallimento in fallimento, temporaneamente rigettati da un sistema che poi però permette loro di rientrare dalla porta di servizio. Tutto questo meriterebbe la ribalta nazionale concessa al clamoroso 20-0 di domenica, perchè tutte queste sono le cause che hanno condotto allo scempio del “Paschiero”. E ancora, cosa più grave di tutte, probabilmente la causa primaria di tutti i mali: una federazione immobile, che tra un proclama e l'altro resta uguale a se stessa, incappando ogni anno negli stessi disastri, stando a guardare mentre anno dopo anno tante, troppe società colano a picco vittime della malagestione, o nel peggiore dei casi della malafede, di avventurieri ai quali non dovrebbe essere affidata nemmeno una squadra di Terza Categoria.
Anche se per molti sembra essere così, non abbiamo scoperto domenica che il calcio di terza serie, in Italia, soffre di una malattia ormai cronica. E fa sorridere che tra i tanti personaggi che gridano allo scandalo ci siano anche dirigenti che in questi anni avrebbero potuto più volte mettere mano a questo sistema gravemente malato, salvo preferire l'immobilismo. Dirigenti che oggi si indignano, ma che anno dopo anno hanno lasciato le porte della Serie C spalancate a personaggi che hanno condotto al fallimento, dal 2015 ad oggi, ben 25 società. Starà al nuovo direttivo, guidato da Francesco Ghirelli e insediato da pochi mesi, provare a curare concretamente, al di là di proclami e promesse, un sistema che da anni versa in condizioni critiche.
Andrea Dalmasso
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